Si apre il 26 maggio presso Palazzo Rasponi delle Teste a Ravenna la bella mostra Giulio Ruffini da collezione. Opere della Raccolta ‘Luca Zambrini’ alla città di Ravenna, in corso fino al 2 luglio. Zambrini è uno dei più grandi collezionisti delle opere di Ruffini, opere che scandiscono i vari periodi che hanno caratterizzato lo stile del pittore ravennate, momenti espressivi variegati, tecniche di realizzazione diversificate e sempre più espressione del viaggio interiore dell’artista, della sua maturazione, dei suoi incontri con i classici e con l’arte contemporanea, manifestazioni soggettive delle nuove ispirazioni, di nuovi solleticanti linguaggi di cui si innamorava, ma che dopo un elaborato lavoro di introiezione e metabolizzazione, sono stati reinterpretati, risognati, nel suo stile assolutamente personale.
Zambrini ha saputo cogliere, accogliere e raccogliere la bellezza delle opere del suo caro amico proteggendole in un abbraccio affettivo, fatto di ammirazione, riconoscenza e sensibilità estetica. In questo minuetto che ha scandito i passi della loro vita, insieme hanno attraversato gioie e sofferenze. I dolori più acuti sono state separazioni irreversibili e, proprio per questo, strazianti: la scomparsa di Ida, moglie amata di Giulio e la morte prematura di Luca, adorato figlio di Primo, strappato alla vita in maniera impietosa, ingiusta data la giovane età, una stonatura inaccettabile, impensabile nella partitura della vita.
E proprio per ricordarlo e per immortalare in immagine il figlio amatissimo dell’amico, l’artista gli ha dedicato un quadro dal titolo Omaggio a Luca Zambrini, un sommesso olio su tela creato con affetto e rispetto, dipinto che ci permette di entrare in punta di piedi nell’intima stanza di Luca. Le tonalità sobrie rendono l’atmosfera pacata, ma non triste, perché, anche se il grigio è il colore predominante, allegri rossi, verdi, gialli la animano con garbo, dando vitalità e senso alla storia che il quadro racconta. Il personaggio principale, l’eroe della narrazione, è un giovane uomo, dal volto serio e intelligente, lo sguardo è pensoso e profondo, sembra mirare dritto senza esitazione per sorprendere e guardare in faccia la verità, niente sembra impedirgli di capire il perché della vita, della sua vita e le labbra sono socchiuse in un sorriso pensato, segreto, da indovinare. Il viso illuminato ha anche una parte in ombra, come se adombrasse qualche pensiero buio, pensiero randagio che pare non aver ancora trovato un’adeguata abitabilità. Quel viso così intenso appare come la fotografia interna di Luca, o meglio, rappresenta il Luca interno di Ruffini, per come l’ha sognato, percepito, intuito.
Ma Luca, in questa tela, non è solo, è con la musica che ha scandito i passi di crescita e di scoperta di sé, è in compagnia dei musicisti che l’hanno affiancato e hanno ritmato i battiti delle sue gioie e dei suoi affanni, Beethoven, Mozart, Verdi, spartiti musicali, involucro sonoro da cui si è lasciato cullare e con cui ha intrattenuto un discorso intimo, quasi riecheggiando quel primo intendersi di un neonato con la sua mamma, dove c’è il fluire di una conversazione unica, speciale, ineffabile, esclusiva, fatta di un sentire che è solo di quella coppia. Ma sul tavolo di Luca ci sono anche i riconoscimenti del suo cammino sociale, delle sue passioni politiche, compaiono i libri letti e le parole-pensieri impresse nel suo libro “Il sapore del sole”: l’ultimo saluto, la testimonianza, il regalo, il segno di presenza, sempre. Questo quadro è l’opera affettivamente più significativa della mostra e non è un caso che apra il percorso che narra sì di Ruffini, ma dove si percepisce un riverbero sensibile anche nella storia di Luca a cui la mostra è dedicata. Ma anche Triste presagio e Lo spaventapasseri, sono dipinti che sollecitano fantasie narrative che intuiscono la presenza sottintesa, ma pregnante, di Giulio e Luca.
Triste presagio è un olio su tela del 1967. Siamo immersi in un mare di colori forti, liquidi, che danno la sensazione di un movimento catastrofico, le pennellate, come onde, trascinano in un sommovimento inarrestabile: che tipo di turbolenza sarà? Abitano lo scenario inquietante le gambine rosse di una bambina, testimoni irremovibili dell’accadere, sono lì come personaggi della storia che si sta svolgendo, tentando di resistere a ciò che succederà: un temporale? un maremoto? o forse un incendio? Qualcosa di spaventoso è in atto, in forma inarrestabile. Rende impotenti. Sembra una visione apocalittica: un mare frustato dalle onde insanguinate, il cielo sporcato dall’intemperie, la luna che sta cadendo rovesciata nella colonna nera di una colata fumosa o di un cataclisma. La bambina è esposta a questa visione terrifica, ma le gambe non appaiono spaventate, hanno una loro forza e stabilità, non sono piegate dal vento, ma sono lì ferme, testimoni dell’annunciata catastrofe. In realtà, nell’incubo di Ruffini le gambe della bimba sono quattro, quale meraviglioso paradosso si cela dietro questa apparente mostruosità? Ci sono anche una gonnellina rossa e una nera: due aspetti della bimba? cigno bianco e cigno nero? Amore e morte? La parte superiore del suo corpo sembra adagiarsi informe sulla sedia di cui si intravvede la spalliera verde, diventa confusa, quasi svanisce e perde di identità, il viso è stravolto, irriconoscibile sotto l’incombenza delle nuvolone nere che paradossalmente nascondono o forse trattengono un volto, ancora di più, nella striscia buia si potrebbe intuire la figura di un uomo supino, in balia di quella corrente, il cui viso rovesciato sembra cadaverico. Siamo nel dramma. Qual è il triste presagio che preannunciano? Quale avvenimento irreversibile e inarrestabile può succedere? È un sovvertimento meteorologico, un infortunio, o il presagio nefasto riguarda un cambiamento emotivo ustionante, così intollerabile che può portare alla distruzione? Ruffini sta forse mettendo in scena la preconcezione di una morte, ancora nascosta, nebulosa, ma lì da scoprire? Sta parlando di lui, della morte di sé come padre di una figlia che sta crescendo e non sarà più la sua piccolina? Ma possiamo anche intendere, proprio per quella misteriosa congiunzione di legami emotivi, che Triste presagio possa essere la raffigurazione della scomparsa di Luca con tutto lo sconvolgimento che scatena nell’atmosfera affettiva dei suoi cari…
“…non puoi far nulla/quando il cielo minaccia brutto tempo/e continua il balenio dei lampi/e scroscia l’acqua che viene di vento/a battere sulla finestra …” (N.Spadoni)
Lo spaventapasseri è un quadro dalle dimensioni notevoli (135x171 cm), opera singolare che ospita sul suo lato sinistro un colorato spaventapasseri, i cui estremi sono un cappellaccio che non protegge nessuna testa e un paio di scarponi slabbrati che non calzano nessun piede. Il corpo senza tridimensionalità è stranamente piegato in avanti, forse battuto dal vento, ma in una postura che ricorda quella di un seminatore. L’ambiente appare desertico, cielo e terra si confondono in pennellate energiche generando un’amalgama di chiaroscuri, la pancia di paglia si tinge d’incendio: anche qui si presagisce una turbolenza. La solitudine connota il campo. Lo spaventapasseri-seminatore ha una funzione protettiva delle messi, anche se il suo nome adombra un significato terrifico, è lì per spaventare.
Ruffini gli dedica uno spazio che sembrerebbe sproporzionato, sia rispetto alla dimensione della figura che al significante: come mai tanta importanza a un uomo finto, a un corpo non corpo, a una vita impagliata, che non esiste? Sembra che l’artista invece gli abbia attribuito un grosso peso, una notevole valenza, lo considera un contenuto molto importante che necessita di un’immensità spaziale per poter essere degnamente e adeguatamente contenuto. Lo Spaventapasseri del Mago di Oz alla domanda di Dorothy: "Come fai a parlare senza cervello?" risponde con sorprendente acutezza "Ah, non ne ho idea … ma c’è un mucchio di gente senza cervello che chiacchiera sempre" e intraprenderà il suo viaggio iniziatico con lei e gli altri compagni finché alla fine dell’avventura, proprio lui, quello della testa di paglia, diventerà re di un nuovo regno.
E forse allora è per la sua regalità che il Mago Ruffini onora il suo Spaventapasseri-Seminatore di tale spazio nella tela, spazio vitale dove elargisce le sue pagliuzze dorate che si diffondono eleganti nell’atmosfera, pulviscolo energetico, moto perpetuo che si espande in una profusione senza fine, rendendosi così parte integrante del creato, fondendosi con la natura da cui proviene e di cui è formato e che, allo stesso tempo, contribuisce a formare in una circolarità generativa che diventa creazione, germinatrice di vita, in uno spazio-tempo di eternità.
“… dove sono quegli occhi col loro verde marino/si sono chiusi per sempre, ma per sempre?” (N. Spadoni, Ricordo di Luca).
Una vita, non importa se lunga o breve, perché se pienamente vissuta ha trovato il suo senso, è valsa la pena, ha dipinto fino in fondo il suo mandala, si è guadagnata la libertà interiore di lasciare che le sue polveri colorate si dissolvano nell’aria fecondando l’atmosfera e godendo lo scorrere fluido del proprio potenziale energetico nell’universo, lasciandosi andare nell’armonia del fluire della vita e della natura, la cui bellezza risiede appunto nella caducità …
I versi del poeta e la poesia per immagini della pittura si incontrano straordinariamente all’unisono cantando lo strazio dell’impotenza di fronte alle catastrofi della vita, ma anche la gioia della percezione di una presenza che è resa eterna da un ricordo cosi concreto che la rende tangibile, vera. Viva.