Intervistiamo Mario Fani nel suo studio tra i campi, nella vallata del Casentino in Toscana.
BD: I tuoi quadri rappresentano spesso interni di quelle che sembrano povere case di campagna toscane, con pochi mobili e oggetti quotidiani - il tutto illuminato da una luce straordinaria... Attorno a questi oggetti, fuori della cornice, si intuiscono presenze, storie, dolori: persone e voci di un mondo non tanto remoto, ma ormai definitivamente perso. So che una volta dipingevi figure umane: come spieghi, com’è nato, questo passaggio alla natura morta, o meglio, allo_ still life_?
MF: Si, è vero, una volta c’era posto anche per la figura umana nei miei quadri, ma a un certo punto ho capito che era di troppo, e che sarebbe stato più interessante evocarla anziché mostrarla, mettendo però bene in scena questa assenza. Tolta di mezzo la figura umana, tutto lo spazio rappresentativo rimaneva a disposizione degli oggetti, o meglio delle cose. Erano le cose, allora, a diventare animate, a parlarci delle persone assenti. Le cose, investite dai nostri sentimenti, ricordi e affetti, che oltre a essere se stesse, a ricordarci la loro funzione, venivano caricate di altri significati e valenze simboliche. Gli oggetti che uso come modelli, i piatti, le bottiglie, i bicchieri sono quelli di casa mia, che adopero quotidianamente, e che passano dalla cucina allo studio in base alle priorità del momento. Naturalmente il loro status cambia nel momento in cui da comuni oggetti d’uso si elevano a cose che hanno il compito di parlare in vece mia. Così come gli interni che dipingo sono le stanze della mia casa, a volte un po’ ingrandite o moltiplicate, comunque lo spazio dove si svolge la mia esistenza. Si potrebbe quindi dire che sto dipingendo la mia vita.
BD: La luminosità è una grande protagonista delle tele, che spesso contengono una finestra o una porta che apre sul cielo o su uno squarcio di campagna. Spesso vi si vede un fascio di luce che taglia obliquamente la stanza e cade tra le gambe di una sedia, creando una gabbia di ombre sul pavimento.
MF: La mia casa è situata in collina e in aperta campagna, la luce quindi entra dalle finestre a ogni ora del giorno, senza incontrare ostacoli (per non parlare poi della luce lunare nella notte). È questa luce che cambia di colore e intensità con il passare delle ore, dei giorni e delle stagioni, a indicarmi la direzione, a suggerirmi gli scenari, ad allestire un palcoscenico dove delle persone assenti mettono in scena un dramma che non viene rappresentato. In un’attesa che è anche ricordo, aspettando qualcuno che forse è già passato, e come dici tu, dove tutto avviene altrove, forse proprio appena fuori la cornice.
BD: Il senso di mistero fa sì che i semplici oggetti che dipingi abbiano qualcosa di sacro. Infatti alcune delle tue tele non sfigurerebbero dietro a un altare. Che cosa è il sacro per te?
MF: Per me il sacro è l’anelito a una dimensione dello spirito che si eleva di fronte alla bellezza, sia che si tratti di una sonata di Bach, di un cielo incendiato da un tramonto invernale o di un quadro di Jan van Eyck. Mi rendo comunque conto che, al di là dei progetti e delle idee, qualsiasi sia il soggetto che mi accingo a dipingere e il significato che gli voglio conferire, l’aspirazione mia più profonda è quella di creare un frammento di quella perfezione armoniosa e inafferrabile.
BD: Sei autodidatta, non è vero? Come hai iniziato a dipingere?
MF: Si, sono autodidatta, mi sono formato guardando fin da piccolo i quadri nelle chiese e ho speso molto del mio tempo a contemplare la grande pittura del passato, che qui da noi fortunatamente non manca. Ho fatto svariati lavori per vivere ma, comunque, ho sempre dipinto. All’età di 40 anni ho cominciato a esporre, prima in Italia e poi all’estero.
BD: Quali sono gli artisti che ti hanno maggiormente influenzato?
MF: Se dovessi elencare tutti i pittori che amo e che mi hanno influenzato, la lista sarebbe veramente troppo lunga. Posso dire che negli ultimi anni subisco fortemente il fascino di quei pittori che hanno fatto della luce la loro cifra espressiva principale. Caravaggio e Rembrandt quindi, pittori della luce e dell’oscurità. Mi piacciono molto Zurbaran e Stoskopff per la natura morta, Vermeer e Hammershoi per gli interni, e un po’ più vicino a noi, le atmosfere di Hopper.
Mario Fani è nato nella vallata del Casentino in Toscana, dove vive e lavora tuttora. Tra le numerose mostre, si ricordano quelle personali tenute a Roma, Siena, Arezzo, Poppi, Berna, Monaco di Baviera. Ha partecipato inoltre a mostre collettive a Londra, Amsterdam, Firenze, Roma (La pittura ritrovata), Milano (Arte Italiana 1968-2007 _e _Nuovi pittori della realtà), Francavilla a Mare (58° Premio Michetti), 52° Biennale di Venezia (Lo stato dell’arte. Regioni d’Italia).Le opere di Mario Fani sono presenti in collezioni private e pubbliche, tra cui la Collezione Permanente del Senato della Repubblica.