In queste registrazioni si può chiaramente percepire una necessità che raramente si trova nella musica: un momento nel quale si può veramente sentire un artista in reale contatto con se stesso. Luciano Cilio coglie quell'attimo sospeso nel tempo, come un autentico testamento emotivo, qualcosa da tenere a cuore.
(Jim O'Rourke)
Il 13 giugno 1979 Demetrio Stratos moriva in un letto d'ospedale di New York. Il giorno dopo, un grande concerto organizzato in origine per raccogliere fondi da utilizzare nella costosa degenza del cantante degli Area - metteva sullo stesso palco dell'Arena di Milano artisti provenienti da tutta Italia. Tra questi, per chi non lo sapesse, c'era anche Luciano Cilio. Aspetti musicali italiani degli anni '70, titolo del concerto, divenne anche un disco, un doppio LP pubblicato quello stesso anno dalla Cramps. Sulla copertina, dove vennero riportati i nomi dei musicisti coinvolti nel progetto, figurava anche quello di Luciano, ma il brano, giudicato troppo «trasgressivo e lontano dai canoni sia del rock che della musica contemporanea», venne purtroppo scartato.
Inutile dire quanto una scelta del genere, anche a distanza di trent'anni, appaia opinabile e contraddittoria per un'etichetta come la Cramps che aveva acquistato notorietà proprio grazie a pubblicazioni fuori dall'ordinario come gli album degli Area, i dischi solisti dello stesso Stratos oppure gli esperimenti di Jacodic e Miereanu, solo per citare qualche nome. Eppure, questa piccola considerazione può fornirci in qualche modo la misura di ciò che la musica di Luciano Cilio dovette rappresentare, di quanto fosse distante da ogni tipo di schema, assolutamente non etichettabile e sostanzialmente lontana anche dalla forma mentis dei cosiddetti avanguardisti.
Il disagio di fare musica fuori dai canali istituzionali - e verrebbe anche da dire oltre i canali istituzionalizzati - non è certo un problema legato al recente andamento discografico in cui il criterio perseguito, l'unico, è quello della massimizzazione dei profitti. Nel panorama musicale underground della Napoli anni '70 c'è stato spazio anche per Luciano, tant'è che il suo nome, accanto a quello del violinista Jean-Luc Ponty, è tra i musicisti presenti sul primo album di Alan Sorrenti (Aria, 1972). La produzione personale, tuttavia, proprio a causa della sua completa estraneità a qualsiasi modello predefinito, lontano dai dettami del mercato, incontrò il disinteresse e la freddezza sia del pubblico che della critica specializzata. A testimonianza di ciò basti dire che il disco Dialoghi del presente era già stato composto nel '69, e quantunque vide la luce nel 1977 dovette prima scontrarsi con l'ostinazione e le diffidenze di molte case discografiche.
Luciano Cilio ha composto, orchestrato e diretto personalmente tutte le tracce - le prime quattro intitolate Quadri della conoscenza e l'ultima Interludio - suonando fra l'altro chitarra, basso, sitar, mandola, flauto e pianoforte, mentre le percussioni sono affidate invece a Toni Esposito. Sebbene la strumentazione elencata sul retro del disco potrebbe far pensare a un ensemble esagerato e ridondante, ascoltare questi brani significa percorrere forme inesplorate di raffinato ed elegante minimalismo dove ogni possibile eccesso è assolutamente bandito.
Con una continuità del tutto naturale, e impensabile per l'Italia dell'epoca, viene destrutturata ogni probabile convenzione musicale e stilistica a favore di uno straniante alternarsi di melodie e silenzi, intersezioni vocali e spazi vuoti, percussività e accordi sospesi nel vuoto. Ma dare attraverso le parole una pur minima e vaga idea di cosa siano veramente queste cinque composizioni sarebbe un'impresa del tutto sterile, persino presuntuosa. È musica che va oltre la musica, al di là dei regolari codici espressivi, talmente in anticipo o addirittura divergente rispetto al proprio tempo e alla propria realtà da far pensare che il suo autore sia davvero riuscito a scavalcare d'un sol balzo John Cage o Pierre Boulez come fossero eroi superati, fautori di uno sperimentalismo arido e inespressivo. Forse le parole dello stesso Luciano, meglio che le nostre, potrebbero fornire una pur limitata e approssimativa idea dell'insolubile universo interiore cui ha dato vita attraverso i suoi Dialoghi del presente: «La musica, al di là della propria costruzione di un oggetto sonoro è in fondo proprio la volontà di materializzazione di un universo alternativo, un habitat altro da sé dove la coscienza del tempo reale possa essere addirittura nullificata».
Una doverosa nota di merito va all'etichetta italiana Die Schachtel, grazie alla quale, in seguito alla pubblicazione prima del CD e poi dell'LP Dell'universo assente (2004 e 2013), i quali raccolgono in entrambi i casi sia l'album Dialoghi del presente che sei altre composizioni rimaste inedite, abbiamo oggi l'opportunità di ascoltare tutti i brani scritti da Luciano Cilio fino al 1983, anno in cui si tolse la vita.