Quando si inizia a raccontare della Grande Guerra durante qualche conferenza o in occasione di qualche incontro con gli studenti, uno dei primi argomenti che vengono illustrati è come gli eserciti europei entrarono nel conflitto. La prima cosa che viene messa in evidenza, ma che salta subito agli occhi anche di chi è completamente a digiuno di conoscenze militari, è senza dubbio l’inadeguatezza delle uniformi e delle attrezzature con le quali i soldati partirono per il fronte. Su tutte, le uniformi dell’esercito francese con i loro calzoni rossi e pastrano blu, con il chepì blu e rosso come copricapo, uniformi che rendevano i fanti francesi dei bersagli visibilissimi sullo sfondo del terreno mentre andavano all’attacco delle trincee tedesche.
Tutti gli eserciti nel ’14 entrarono in guerra senza un elmetto metallico, anche il famoso pickelhaube tedesco era in cuoio bollito, ma anche l’esercito italiano ebbe i suoi primi elmetti modello Adrian, tra l’altro forniti dall’alleato francese, solo nell’ottobre del 1915, gli austriaci addirittura furono forniti dall’alleato tedesco di un elmetto metallico solo nel 1916. Ma non solo le uniformi rendevano quella che poi sarà considerata come la prima guerra industriale, ancora una guerra molto simile a quelle ottocentesche, se non con reminiscenze più remote fino ad arrivare al medioevo, negli attacchi corpo a corpo con l’uso di mazze ferrate e corazze di ferro.
L’arma principale della fanteria era come un secolo prima il fucile con la baionetta. La cavalleria che fu impiegata fino agli ultimi minuti del conflitto, come descritto in un mio precedente articolo, era armata delle stesse sciabole e delle stesse lance di cento anni prima, e il cavallo era ancora largamente usato da generali, stati maggiori, comandanti di truppa anche in combattimento, prima che il conflitto si infossasse nelle trincee, e solo i comandi più elevati disponevano di autovetture. I reparti del Genio usavano per i loro ponti barconi e travature simili a quelli usati nelle guerre napoleoniche, e prima che il telefono facesse la sua apparizione soprattutto quando la guerra di movimento si trasformò in guerra di posizione, le comunicazioni avvenivano con il telegrafo da campo che era già stato impiegato nel 1870 nella guerra franco-prussiana, con le stazioni radiotelegrafiche ingombranti e non sempre funzionanti con dispacci radiotelegrafati che arrivarono anche con più di venti ore di ritardo. I pochi aeroplani dell’inizio del conflitto in tela e legno erano impiegati per soli scopi esplorativi. Anche l’artiglieria, nonostante si impiegassero cannoni a tiro più rapido e gittata maggiore, era ancora al di là da diventare così micidiale e soprattutto attrezzata con diversi calibri come lo fu nel seguito del conflitto.
Gli eserciti europei quindi entrarono in guerra del tutto impreparati, sia strategicamente che materialmente, convinti che la guerra come quasi tutte quelle che l’avevano preceduta sarebbe durata poco e che ognuno avrebbe potuto dimostrare il suo coraggio e la sua forza sul campo dell’onore, che però subito diventò solo un immenso mattatoio.
Anche l’esercito italiano non fu da meno di tutti gli altri, solo che entrò in guerra quasi dieci mesi dopo l’inizio del conflitto e quindi avrebbe dovuto fare tesoro delle notizie e dalle esperienze che arrivavano dai fronti del resto dell’Europa. La guerra di Libia del 1911 aveva prosciugato in buona parte i magazzini militari quindi si dovette ricorrere a nuove commesse e produzioni. Quando si richiamarono i nati nel 1894 ci si accorse che mancavano 220.000 capi di vestiario sia per l’esercito che per la marina. L’arma individuale era il fucile modello ’91, dall’anno della sua fabbricazione il 1891, tra l’altro un’ottima arma, ma abbastanza ingombrante con i suoi 4 chili di peso e il suo metro e mezzo con baionetta innestata, ma quelli degli altri eserciti in quanto peso e ingombro non erano da meno.
Peggio armati erano i soldati della Milizia Territoriale con il vecchio fucile Vetterli del 1870 a colpo singolo. Mancavano le mitragliatrici che nel proseguo del conflitto diventeranno l’arma principale di difesa durante gli innumerevoli assalti alle trincee in tutto il fronte. L’esercito italiano entrò in guerra con appena 618 di queste armi, rispetto alle preventivate ma sempre poche 1246. Nel 1914 ne vennero ordinate circa 900 modello Maxim agli “non ancora” alleati inglesi. Ne arrivarono poco più di 600. Alla richiesta del saldo dell’ordine da parte del ministro degli esteri Sonnino, Lord Kitchner rispose secco: “Non siamo certi da che parte spareranno quelle diaboliche armi a ripetizione”.
Mancavano completamente strumenti per il taglio dei reticolati, anche se dieci mesi di guerra in Europa avevano dimostrato che i grovigli di filo spinato erano il più grande ed efficace ostacolo alla conquista delle trincee nemiche. Si sopperirà alla mancanza con una prima fornitura di cesoie da giardiniere. La guerra tra Italia e Austria iniziò con la battaglia dei forti, il primo colpo del conflitto fu sparato dal forte Verena, che si dimostrarono da subito inadatti a resistere ai colpi dei nuovi calibri dell’artiglieria nemica. Inoltre gran parte del fronte italo austriaco si trovava in montagna oltre i 2000 metri, e visto che mai si era combattuto a simili altitudini, si dovettero risolvere in fretta e furia tutta una serie di problemi per poter far sopravvivere e combattere i soldati a quelle altezze, con soluzioni a volte anche molto approssimative (vedi un mio precedente articolo sulla guerra in montagna).
Molti altri furono i problemi di armamento ed equipaggiamento che si presentarono nel corso del conflitto ma in seguito gli Stati si organizzarono e le industrie fornirono equipaggiamenti e soprattutto armamenti sempre più sofisticati e sempre più micidiali, come i gas, i lanciafiamme, i mortai a tiro curvo ed altro ancora, usando i soldati come cavie per creare armi sempre più letali e definitive, confermando il concetto che per uccidere e nuocere agli altri, l’uomo, tra tutti gli esseri viventi non ha uguali.