Parlare di Roberta Manzin è come dire "Uno, Nessuno, Centomila" per prendere a prestito Pirandello. Instabile e lunatica di natura, si lascia travolgere dalla curiosità inconsapevolmente attratta dal "durante". Il tempo è un concetto astratto, che perde spesso di mira anche nel quotidiano. Sconfinare tra la realtà e il sogno è partenza e arrivo di molti suoi "moti". La parola scritta per lei è come scrigno segreto deve sono custoditi i pensieri. Non come "diario segreto" ma come deposito fertile delle emozioni. Sono le parole che cercano le emozioni. O forse sono le emozioni che bussano al regno delle parole. La parola è il ponte tra un inconscio e un consapevole.
Roberta si è trovata a fare una scelta lavorativa per caso e, nel tempo, ha amato quel caso. La passione in quello che fa è il suo propulsore, la passione è un bene e un male perché espone anche a pericoli e questo, lei, lo sa bene. Come alcune scelte di vita che Roberta Manzin non ha mai rinnegate non per incoscienza ma per un grande desiderio di incontrare la Vita. E poi c’è "lei", un’amore paziente e soprattutto fedele, la macchina fotografica. Roberta sceglie la macchina fotografica quando le sue amiche adolescenti sceglievano i fidanzati. A quel tempo, aveva solo la macchina fotografica e la pallavolo. Le bastavano.
Roberta Manzin nasce in pieno Delta. La curiosità per la psicologia le deriva da esperienze diverse e da incontri significativi. Studia a Padova, città storica per l’Università, ma soprattutto, per lei, città-crocevia di amicizie e di autonomia. Terminata l’esperienza universitaria, Roberta si apre a linguaggi nuovi. Le idee sul suo futuro, in quel periodo, non sono affatto chiare e così si trasferisce a Bologna, in attesa di costruire basi più precise per la sua definizione.
Roberta ama inventare, ed è affascinata dal linguaggio della pubblicità. Ma soprattutto le interessa scoprire come costruire il messaggio vincente, quello che rispetta un po’ il goal, l’obiettivo. Ecco che allora le nebbie si diradano e diviene più chiaro cosa vuol “fare da grande”, Roberta vuole occuparsi di messaggi che funzionano, occuparsi pertanto di comunicazione e, senza saperlo, aveva già posato la prima pietra inerente la comunicazione. Ma la psicologia del lavoro di cui si occupa a Bologna non le attiva quella creatività che si aspettava. La definita creatività e l’attivazione di circoli di idee, arriveranno solo più tardi. Così, demotivata e di nuovo con diversi punti di domanda, ritorna al suo paese dove comincia un tirocinio “clinico” che, invece, influenzerà poi l’evoluzione della sua professione. È proprio vero che la non aspettativa di qualcosa, sapendo “guardare bene”, evidenzia invece l’accadimento di esperienze significative.
In questo frangente si occupa di psicologia dell’età evolutiva; segue per un lungo periodo una situazione di autismo grave inserito in un contesto scolastico e… interagisce. La relazione con persone e contesti nuovi, mette in discussione certi giudizi che aveva, come ad esempio che “il problema è della persona che lo manifesta” oppure che “certe patologie non hanno evoluzione” pregiudizi per cui per lei l’interesse per il comportamento umano era prettamente per la comunicazione, le emozioni, le idee, le relazioni nei contesti di cosiddetta “normalità”.
E così comincia ad allargare il suo orizzonte. Ecco allora che il primo incontro significativo è proprio nella sua tutor, che all’epoca, aveva appena iniziato un percorso psicoterapeutico in teoria sistemica a Padova. Parlare di sistemi e di paziente designato e di patologia delle relazioni era un settore nuovo, ma apriva anche una finestra sull’osservazione del mondo in modo “alternativo”. Avida del nuovo interesse per le difficoltà del comportamento umano, si lancia letteralmente nel gruppo. Si è sempre pensata riservata e poco esuberante nelle relazioni, e si scopre con questa nuova risorsa, e nel gruppo si sente finalmente a suo agio. Si iscrive alla prima scuola di specializzazione: approdando così a Roma, per approfondire il linguaggio del corpo, nella scuola quadriennale di Medicina Psicosomatica dei docenti Biondi e Pancheri. Acquisisce tecniche molto pratiche quali l’utilizzo del Biofeedback e applica tecniche comportamentali a situazioni importanti di somatizzazione e non solo. Il contesto – cioè Roma - la stimola a lavorare su questi aspetti e “carica” di nuove letture ed esperienze, riapproda nel suo paese, con la voglia di sperimentare. Da lì – ed era l’anno 1990 - inizia la sua attività di psicologa nel territorio, dapprima in punta di piedi e poi “a spada tratta”.
Il suo compito di psicologa/psicoterapeuta è quello della complessità: delle relazioni, dei punti di vista, con l’obiettivo di orientarsi meglio nel territorio della mente, senza pensare di aver individuato l’ipotesi assoluta. Capire per allargare e superare il dato di realtà osservato. Un pensiero in continua evoluzione che diventa allora circolare e la comunicazione sempre nuova e carica di “meraviglia”.
L’idea di “stare con” è l’idea portante: il bisogno per Roberta di uscire dal contesto più privato e la voglia di confrontarsi in contesti diversi, è un motore di crescita. La sua passione per la vela, è coerente con l’idea del movimento e di cambiamento attraverso una collaborazione (con l’equipaggio), la curiosità (della meta e della manovra), la relazione tra le parti (riuscire implica un impegno comune e una conoscenza comune).
Con queste parole Roberta parla di sé: "Mi definiscono eclettica, nel mio lavoro quotidiano. Ci ho messo 52 anni a uscire dalla prigione degli schemi. L’arte è stata accolta pian piano anche nel mio lavoro, dove faccio fare esperienze di self portrait ai pazienti nonché li invito a "connettersi" a se stessi attraverso la scrittura, il disegno, le foto, la musica ovvero strumenti "loro" per tradurre il mondo interiore.
Io, Centomila. Per una curiosità quasi infantile nell’ascolto.
Io, Nessuno. Rispetto all’ambizione.
Io, Uno. Rispetto al "rispetto" di un senso che "sento" di voler comunicare.