De pluribus unum
In quindicimila anni di civiltà, dalle grotte di Altamura ad oggi, l’unica notizia nuova è stato e resta il Cristianesimo. Per il resto ancora oggi dominano gli archetipi. La vita è lotta tra simboli. La politica non è mutata dai tempi della guerra di Troia, dall’epoca dell’Iliade di Omero. Trump è la Fenice. Dato per morto tante volte tra fallimenti economici e sondaggi tendenziosi risorge splendente con capelli rosseggianti che ricordano simbolicamente la Fenice, quella specie di aquila infuocata che oggi è lo stemma dell’Arizona. La Fenice è un’aquila speciale. Rinasce dal fuoco che sembra distruggerla, ha lunga vita, si nasconde introvabile e colpisce all’improvviso, è sfuggente, si nutre di resine e ne secerne. Sorvola anche i deserti.
Così Trump e il suo trionfo. Doppio trionfo. La rivincita di Ross Perot. Il sistema politico americano è il primo sconfitto, prima ancora di Hillary. I papaveri tra i Repubblicani non esultano. Si sentono svuotati dentro, derubati di un’immagine, “l’America Grande Nazione”, data troppo tempo per scontata come loro giocattolo e ora indossata da Trump come la pelle di leone da Heracle. Trump incarna l’archetipo del patriarcato. Sembra crederci più di tutti. Se Hillary ricorda Artemide e l’eleganza da leopardo di Obama ricorda l’ambiguo e fascinoso Hermes, certamente con Trump ritorna Zeus tonante, armato di fulmini. La sua foto con un’aquila dalla testa bianca mostrata sul braccio parla chiaro. Zeus è la luce del giorno. Secca, senz’ombra. Implacabile squarcia le nuvole e si impone contro tutto e tutti. Zeus nell’Olimpo rappresenta il primo tra gli dei. American first. Zeus ascolta gli altri dei nelle loro assemblee sul Monte Olimpo, primo modello di democrazia. Ma rispetto a tutti gli altri possiede una catena d’oro che attraversa cielo e terra e che solo lui può reggere. Se anche tutti gli altri dei tirassero questa catena solo Zeus potrebbe muoverla, insegna l’Iliade. Zeus è la stabilità, la certezza.
Penso che tutti, rivedendo i discorsi elettorali d Trump non possano che stupirsi, anche con ammirazione per la sua lucidità e capacità politica, per la grande sicurezza mostrata e ostentata. Nessuno è mai stato così sicuro della vittoria. La sua convinzione ha convinto. Zeus non ha dubbi. La luce solare è semplice, chiara, e incarna l’idea di vittoria, anzi di quella speciale vittoria che chiamiamo “trionfo”, cioè una vittoria senza ombra di dubbio, spesso improvvisa e inaspettata. Il concetto di trionfo che arriva a noi dalla Grecia tramite l’antica Roma che fa sfilare eserciti, trofei e vinti tutti insieme nella stessa via imperiale, alla luce del sole, sotto gli occhi di tutti. Washington viene costruita sul modello di Roma con il suo obelisco e la forma curva del Campidoglio.
Il pianto sconfinato di Miley Cirus richiama anch’esso il mito greco. Un pianto singhiozzante così profondo non può non riportarci agli archetipi, forma di sopravvivenza psichica del Mito greco. Miley è Kore, la ragazza che non cresce, che non vuole crescere. La ragazza che incarna la danza che non vuole smettere. A lei appartiene il trauma. Kore non esce mai dal suo trauma. L’eros di Miley vuole rendere pubblico ciò che è intimo. Una democrazia fondata sull’eros di Dioniso il liberatore. Ma così l’energia si dissipa, si depotenzia, e Kore viene rapita sottoterra. L’eros di Miley profuma di thanatos, la rende Persefone la regina del regno delle ombre. L’assenza di veli spegne il mistero e il magnetismo, trucchi del Mito per muovere le cose. Zeus giudica, inflessibile. Miley piange come traumatizzata, come persa, orfana di ogni riferimento. Le manca la mamma virago, la mamma Amazzone: Hillary. Il Padre non lo ha mai conosciuto. Lo conosce ora: è Trump. Il Padre fa piangere quando ci sgrida, quando sembra insensibile. Obama è femmineo. È una cosa sola con Hillary. Il Padre da tempo non si sentiva più. Ora la voce paterna ritorna.
Trump è il suo gesticolare forte e preciso. Guardate i suoi gesti. Tranciano l’aria come spade, come vittoriosi fulmini. Definiscono nuovi spazi mentali. Pongono dei limiti vitali. Irradiano energia. Tutto sembra possibile. Zeus è il Limite. Il Muro. La civiltà non può fare a meno del Muro. La muraglia cinese e il vallo di Adriano lo dimostrano. Senza il senso del Limite non c’è diritto, non c’è ordine. La società fluida non può crescere ma solo stagnare. L’acqua si ferma sempre sul livello più basso. Lo cerca. L’aquila cerca invece le altezze. Il muro si eleva verso le altezze. Con Trump il Sogno ritorna. Il Sogno di Hillary/Obama era un sogno individuale, l’utopia di un Individuo che vuole essere padrone assoluto di infiniti diritti. Il sogno dei democratici è la somma di innumerevoli sogni individuali.
Trump incarna un altro tipo di sogno che da anni sembrava essere evaporato, ma l’inconscio profondo ne sentiva la mancanza. Il Sogno collettivo. Il Sogno della Nazione che vola alta come solitaria aquila. Il Sogno del Popolo che si identifica nella sua guida. Un Uomo e un Popolo che si guardano specchiandosi. L’America come sogno dal basso del lavoratore che vuole crescere. La produzione è immagine maschile. La distribuzione è femminile. Con Trump rinasce il concetto di maggioranza. Quella di Obama/Hillary era un’insieme di minoranze, non una maggioranza. Il Sogno dei democratici si fondava sull’esclusione del concetto di maggioranza. L’individuo non sopporta l’idea di una maggioranza se non come massa di un Individuo allargato, moltiplicato, replicato. Per questo giovani con il pugno alzato (simbolo comunista) sfilano come replicanti gridando che Trump è fascista. Non hanno volto. Non hanno idee. Rifiutano la democrazia che si fonda sull’accettazione della sconfitta. L’idea stessa di maggioranza è fascista per i discepoli di Dioniso i quali amano annullarsi nella massa che è l’Individuo anonimo.
Trump è il suo viso, il suo volto rosseggiante come Fenice, come Volpe. Sansone distrugge i campi dei Filistei con file di volpi infuocate. Firefox. Trump è anche Hefesto, il grande lavoratore sotterraneo. L’artigiano che inventa cose nuove. Il demiurgo che plasma nuovi meccanismi. Sua sposa è Melania, cioè Afrodite. Silenziosa e dolce nella sua bellezza. Hillary parlava con il cervello incantando con sogni cerebrali, freddi. Trump parla con un cuore maschile, caldo, virile. Zeus ama mascherarsi da toro, oltre che da veloce aquila. Zeus è colui che toglie i veli alle ninfe, cioè colui che domina la natura e la smaschera. Con Trump l’America ha il suo Putin. Un Putin democratico, occidentale. Mancava un modello virile di dominio e di controllo. La rabbia degli sconfitti è grande. Per un soffio non è tornato il matriarcato.
Anche la politica internazionale è una lotta tra simboli e immagini antiche. Trump ha cambiato improvvisamente tutti gli equilibri geopolitici. È come un giocatore di poker che avesse ribaltato il tavolo per riscrivere nuove regole di gioco, per non farsi fregare da chi bara. La Russia e la Cina stavano per prevalere a livello politico e militare sugli Usa e sul mondo intero. La sola vittoria di Trump ha fermato questo rischio, ha invertito la tendenza. Solo con la sua presenza. Una barriera psichica si eleva ora e magnetizza Prima ancora di fare alcuna scelta. Ora tutto il mondo si chiede cosa farà l’America. Già questo rafforza il predominio Usa nel mondo. Psicologicamente. Gli Imperi si dividono in Imperi solari e Imperi lunari. America, Russia, Giappone, India, Inghilterra sono Imperi solari il cui carisma è celato nelle immagini dell’Aquila, del Leone, del Sole.
La Turchia è tornata amica della Russia. Un’eccezione tra i regni della Luna, spiegabile con il fatto che i Turchi discendono da un miscuglio tra Ittiti, Assiri e guerrieri come fu l’asiatico Tamerlano. Gli Assiri furono i primi ad utilizzare l’Aquila a due teste quale segno imperiale. L’Arabia Saudita e la Cina sono Imperi lunari. Amano le acque, i venti, i commerci. Le loro forme sono fluide, sfuggenti, criptiche. Il drago cinese è umido, serpeggiante. La Cina è Gea, è Idra, è Tifone. L’Islam è Ares. La Cina ha un grande amico: il Pakistan. Se Trump avvicinerà gli Imperi delle Aquile e del Sole tra di loro, allora è naturale che gli Imperi della Luna faranno parallelamente lo stesso e si creeranno quindi nuovi legami, opposti rispetto a quelli degli ultimi anni. Se Trump non lo farà comunque prima o poi questo accadrà. Non si sfugge agli archetipi. I simboli non perdonano e legano e sciolgono secondo leggi di armonie prestabilite.