“Ogni uomo dà la sua vita per ciò in cui crede. Ogni donna dà la sua vita per ciò in cui crede. Spesso le persone credono in poco o niente e tuttavia danno la propria vita a quel poco o niente. Una vita è tutto ciò che abbiamo e noi viviamo come crediamo di viverla. E poi è finita. Ma sacrificare ciò che sei e vivere senza credere, quello è più terribile della morte”.
Questa frase è attribuita a una delle più grandi eroine della nostra storia, diventata simbolo del coraggio e della volontà di sacrificare tutta se stessa in nome di un’ideale: Giovanna D’Arco. Protagonista di moltissimi romanzi e film, in soli due anni (la sua vicenda infatti si consumò tutta dal 1429 al 1431) questa donna fu capace veramente di cambiare i destini della storia, lasciando un segno indelebile del suo passaggio.
Nacque nel 1412 in un piccolo paese della Lorena: in quel periodo, la Francia da circa cinquant’anni era dilaniata dalla cosiddetta “Guerra dei Cent’Anni”. Si trattava di un Paese in completo subbuglio, soprattutto da quando, nel 1420, un re inglese era riuscito a farsi riconoscere sovrano del regno unito di Francia e di Inghilterra, senza che Carlo VII riuscisse a fronteggiare questa situazione. Ed è in questi anni drammatici per la Francia che ha inizio la vicenda di Giovanna, che già dall’età di tredici anni aveva iniziato ad udire “voci celestiali”, come dirà in seguito lei stessa, spesso accompagnate da un bagliore e da visioni dell’arcangelo Gabriele, di Santa Caterina e di Santa Margherita. Decise presto di consacrarsi interamente a Dio, facendo voto di castità, “per tutto il tempo che a Dio fosse piaciuto”.
E Giovanna aveva solo diciassette anni quando, dopo aver percorso 2500 chilometri, si presentò alla corte di Carlo VII chiedendo di poter guidare l’esercito che sarebbe andato a soccorrere Orleans, assediata dagli inglesi. E, nonostante non le fosse stata affidata ufficialmente nessuna carica militare, si pose alla testa dell’esercito francese impugnando la spada e uno stendardo bianco in cui era raffigurato al centro Dio con ai lati gli arcangeli Michele e Gabriele. Fu ben presto soprannominata “Giovanna la Pulzella”, facendosi benvolere da tutti: dall’esercito, che in lei aveva trovato un punto di riferimento forte, e dal popolo. E infatti nel giro di poco tempo, l’esercito francese guidato da Giovanna riuscì a liberare la città di Orleans e a fare in modo che Carlo VII fosse di nuovo consacrato re.
Resta ancora un mistero come, in poche settimane, Giovanna avesse potuto acquistare tanta padronanza nell’arte guerriera; quello che è certo è che, con la fama della santità della sua vita e l’alone di vittoria che si sapeva essere strettamente legato a lei, all’interno dell’esercito riuscì ad attuare una vera e propria rivoluzione sul piano della disciplina e dei costumi. Impose infatti ai soldati di non bestemmiare, li obbligò a pregare e seppe convincerli che la loro era una guerra speciale e che la vittoria era inscindibile dalla conversione.
A un certo punto, però, la fama di Giovanna iniziò a calare, forse per l’invidia che si era creata nei suoi confronti e anche per la paura di molti cortigiani che la giovane pulzella diventasse troppo potente e iniziasse anche ad avanzare delle rivendicazioni politiche. Quello che è certo è che all’incoronazione del Delfino non seguì un’azione militare risolutiva, e Giovanna venne lasciata sola. Dopo aver tentato senza successo di espugnare Parigi, fu catturata in un’imboscata dal duca di Borgogna e poi ceduta agli inglesi. Dalla corte di Carlo VII non giunsero al duca di Borgogna segnali apprezzabili per spingerlo a liberare la Pulzella: essa fu abbandonata e per circa sei mesi venne sballottata da un luogo di prigionia all’altro, tra la Piccardia e la Normandia.
Il 3 gennaio 1431 iniziò così il processo a suo carico che durò fino al 26 marzo successivo: un processo estenuante per Giovanna, che venne accusata di stregoneria e di mentire riguardo alle famose voci che fin da piccola diceva di sentire. Durante il processo, soprattutto nelle sue prime fasi, emerse però con chiarezza come in quell’esile corpo di una ragazza adolescente albergasse una forza immensa: anche le risposte da lei date erano sorprendenti per la loro pertinenza sotto il profilo giuridico e religioso, soprattutto pensando che provenivano da una diciannovenne analfabeta. Poi a un certo punto, forse perché ormai stremata e disorientata, la donna accettò di abiurare durante una cerimonia pubblica, impegnandosi a non riprendere le armi né a portare mai più abiti da uomo e capelli corti.
Successivamente però Giovanna si ricredette: ribadì con convinzione che le voci che sentiva provenivano da Dio e di non aver capito niente dell’atto di abiura che le avevano imposto, che quindi sconfessava. E così Giovanna, dichiarata eretica, fu condannata al rogo dove fu condotta il 30 maggio. Avvolta dalle fiamme, sembra che continuò fino alla fine a invocare ad altissima voce il nome di Gesù mentre intorno a lei moltissimi piangevano, anche coloro che avevano fortemente voluto la sua prigionia, come i prelati, i gran signori e gli inglesi. Era, ancora una volta, il mese di maggio: come quando aveva cominciato a sentire le prime voci, come quando era riuscita a liberare Orleans. Un legame sottile e tenace lega Giovanna allo splendore della primavera. Quasi che, Vergine come Maria, anche lei avesse fatto proprio il mese delle rose.
Figura molto contraddittoria quindi quella di Giovanna: donna fedelissima che però viene bruciata nel rogo con l’accusa di eresia, fiera di essere rimasta vergine ma che nello stesso tempo si presenta ai nostri occhi come una delle figure storiche più adatte a rivendicare il ruolo della donna nella società. Ed è forse per tutte queste contraddizioni che la caratterizzano che la sentiamo così moderna e così vicina a noi, continuando a subirne il fascino archetipico.