Nel 2008 Matt Gross scrisse in un articolo pubblicato sul New York Times: “Trecento anni fa i giovani inglesi iniziarono ad intraprendere dopo gli studi ad Oxford o Cambridge un lungo viaggio attraverso la Francia e l’Italia alla ricerca dell’arte, della cultura e delle radici della civilizzazione occidentale. Con risorse economiche pressoché illimitate, legami aristocratici e mesi (se non anni) per girovagare, commissionavano dipinti, perfezionavano le loro abilità linguistiche e si mescolavano con l’alta società del continente europeo”.
Il viaggiatore britannico Charles Thompson parlando dell’Italia nel 1744 si descrive come “impazientemente desideroso di vedere un paese così famoso per la storia, per aver dato per primo le leggi del diritto al mondo; che al momento è la più importante scuola di musica e pittura, che ospita le più importanti produzioni di statue ed architetture ed abbonda di gabinetti di rarità e collezioni di tutti i tipi di antichità”. Questi interessi sono anche le ragioni che hanno portato alla creazione della Reale Academia de España a Roma 143 anni fa. Sotto la direzione del nuovo direttore Maria Angeles Albert De Leon, gli artisti in residenza nel periodo 2015-2016 hanno esposto i loro progetti in una mostra collettiva dove tra gli altri era possibile vedere le opera di Jorge Conde, Alberto Diaz, Inaki Gracenea, Jose Guerrero, Jesus Mandrinan, Clara Montoya, David Munoz, Josep Tornero e Juan Zamora.
A world-Size House è il titolo del progetto di Jorge Conde: davvero una full immersion dell’artista nel contesto socio-culturale romano con documenti d’archivio, interviste, foto, video. Una ricerca sociologica, antropologica, artistica e architettonica sull’impatto derivato dal recupero e dalla trasformazione di edifici abbandonati e aree urbane degradate che di recente sono state riscoperte dando loro una nuova vita come istituzioni culturali. In altre parole il progetto di Conde mostra come arte e cultura possono stimolare la crescita e riattivare aree urbane in declino.
Totalmente diverso è il contesto in cui il regista Alberto Diaz ha sviluppato il suo progetto. Chi di noi non ha sentito storie di luoghi e situazioni del passato? Spesso queste storie sono state così tanto ripetute che anche se non le abbiamo vissute in prima persona abbiamo una loro immagine nella nostra mente. Lembranza è pertanto un cortometraggio sospeso tra realtà e immaginazione creato dopo la scoperta di alcuni filmati Super 8 girati dai parenti dell’artista tra gli anni ’60 e ’70 mentre lavoravano nel mondo del circo. Il punto di partenza del progetto di Inaki Gracenea è l'archivio di Norman Bruce Johnston un sociologo che ha analizzato l’architettura carceraria. Molte delle piante di questi edifici hanno un controllo centralizzato ispirato al Panopticon di Bentham. Questi progetti sono legati da Gracenea alle insurrezioni avvenute in Italia negli anni '70 creando un’installazione di opere d'arte ispirate all'architettura panottica e testi provenienti da insurrezioni sociali dopo averli opportunamente decontestualizzati dal loro contesto di partenza.
José Guerrero ha sviluppato il suo progetto lungo la linea realtà/irrealtà creando fotomontaggi in cui si possono trovare stratificazioni architettoniche e immaginarie della città. Anche se ha lavorato sulle icone dello spazio fotografato, allo stesso tempo ha lavorato integrando riferimenti provenienti da discipline artistiche come la pittura, la scultura, il cinema, e soprattutto in questo caso, l'architettura. Gli stessi fotomontaggi ci ricordano che c'è sempre un punto di vista diverso, che ogni parte è una parte di un tutto, che ogni storia è una parte di una storia universale.
Il contesto in cui Jesús Madrinan ha sviluppato il suo progetto parte dalla ritrattistica classica. Tuttavia, invece di lavorare in studio con tutti i comfort necessari, Mandrinan ha lavorato con una telecamera analogica di grande formato in ambienti complessi come discoteche, piste da ballo o after hours. In questo modo il rumore e le situazioni spesso senza controllo si trasformano in un'atmosfera di calma e serenità. Alcune immagini sono poetiche, altre pesanti, altre ancora elegiache o fantasiose. Anche in questo caso l'arte ha il potere di cambiare la realtà e la percezione.
Clara Montoya mostra una serie di 8 pezzi per parlare di Roma come un continuo mutare, costruire e ricostruire. Il progetto include una scultura-applicazione (per Ipad) che connette l'occhio del Pantheon con il passare del cielo, e una serie di piccole sculture sulla parete relative al kintsugi e haiku. C'è anche una video-scultura su Carrara, e tre sculture-laboratorio con una coppia di elementi ciascuno: un blocco di marmo che si fonde con l'acido e un pezzo di rame che lentamente costruisce se stesso mediante elettrolisi. Infine un suono-scultura con sistema nascosto, in modo che si può solo sentire un mormorio permanente e inarrestabile, sempre lo stesso e sempre diverso.
Il progetto del regista David Munoz parte proprio da Roma, riflettendo sul fatto che quest'anno è un anno particolare: Il Giubileo straordinario della Misericordia, un periodo cattolico di preghiera per la remissione dei peccati e il perdono universale concentrandosi in particolare sul perdono e la misericordia di Dio. Una situazione comune in cui la gente è disposta a parlare, ascoltare, incontrare. Può succedere ovunque. Così in Veloce Vita Munoz trasforma alcune Vespa in veri e propri confessionali filmando e registrando persone che viaggiano in città con la loro Vespa raccontando la loro vita, i ricordi, i sogni.
Josep Tornero nel suo progetto di pittura Gods, animals and Death riflette sul dionisiaco nel Barocco. Da questo punto di vista non possiamo separare l'estetica, l'etica o la metafisica; questi elementi rimangono profondamente impigliati perché separandoli ne sminuiamo il valore e le potenzialità. Secondo la ricerca di Tornero il dionisiaco appare in diverse forme e valori: la metamorfosi, il ritorno, i sogni. Tutto ciò che ci appare sembra muoversi, collassare e rinascere altrove. È l'unione tra la vita e la morte. È la rigenerazione in un altro livello. È l’apertura a interpretazioni e revisioni.
Infine Montorio, il progetto di Juan Zamora. Montorio significa montagna d'oro, e prende il nome dal Gianicolo (dove si trova l'Accademia Reale di Spagna a Roma) a causa del colore dorato della sua terra. Gianicolo deriva dal dio Giano, divinità primordiale di ingressi e uscite, dell'inizio e della fine. Partendo da queste idee il progetto di Zamora vuole santificare i materiali più umili del territorio attraverso la raccolta di elementi naturali autoctoni che fanno riferimento alla condizione di divinità a due teste, portando in mostra una serie di opere che sono una breve nota sull’eternità.