L'ideazione della tragedia Mirra ad opera di Vittorio Alfieri risale al 1784 ma la sua versificazione si conclude solo due anni dopo. La fonte a cui si ispira Alfieri è da individuare nelle Metamorfosi di Ovidio (esattamente il Libro X), dunque il modello di riferimento non ha una struttura drammaturgica, dato che non è né storica né tragica-antica.
Al centro di questa tragedia in cinque atti vi è l'amore incestuoso che Mirra prova verso il padre, il re Ciniro e che la porterà dritta alla pazzia e alla morte. Mirra sconta le pene di un oltraggio commesso dalla madre Cecri nei confronti della dea Venere. Mirra è, forse, più bella di Venere? Di cosa può essere davvero colpevole un'innamorata che segue il proprio cuore? Quali sono le sue colpe? Quale punizione le spetta? La giovane Mirra viene destinata a Pereo, re dell' Epiro, che in nome del suo amore è disposto a tutto anche a rinunciare a lei, quando si accorge che è sempre più scossa e sofferente. Pereo, vittima in questa tragedia, alla fine si suicida per il troppo dolore.
Alfieri attua un procedimento di moralizzazione per tutto il tempo della tragedia. Il presupposto è che la protagonista sia cosciente del suo peccato. Mirra si uccide perché si auto-punisce per la propria colpa che non è quella di amare il padre ma di averlo dichiarato. La parola, dunque, concretizza un sentimento considerato impuro. Dal punto di vista dell'azione, non ci sono vere trasformazioni della condizione esistenziale dei personaggi. Mirra rimane a lungo nella condizione di non-dichiarazione e gli altri personaggi sono statici. Tutto è fermo.
È una tragedia che funziona sulla parola, sulla comunicazione ma anche sui silenzi e sui gesti eloquenti dei personaggi. E sono personaggi incapaci di agire a vantaggio di Mirra che resta sola dall'inizio alla fine, con quel sentimento che la tormenta e che si sviluppa dentro di lei e basta. Un'eroina sola, perplessa e in conflitto con se stessa. Mirra vive un grande conflitto intrapsichico, tale da rendere a pieno tutta la sofferenza psichica presente nella tragedia. Divorata dalla disperazione, agisce contro se stessa. Dovere e amore si scontrano nel momento in cui le tocca sposare Pereo per volontà paterna e salvare se stessa e la famiglia ma poi vince quell'amore incontrollato che le fa dimenticare cos'è il dovere e che la devasta.
Solo alla fine della tragedia noi sappiamo di quale colpa si è macchiata Mirra e sicuramente l'Alfieri ha avuto le sue buone motivazioni. La sua passione sessuale così scabrosa, impensabile e violenta, viene fatta emergere solo nel delirio finale, come in un crescendo. Il padre Ciniro e gli altri restano inorriditi. Questa passione irrefrenabile viene letteralmente trafitta. La follia della protagonista esplode nel momento della celebrazione nuziale, momento in cui tutto si sgretola e chi assiste si trova difronte a una catastrofe umana, affettiva e amorosa.
Mirra è cosciente che l'unica soluzione sia la morte. Incompresa dai genitori, chiede alla sua confidente Euriclèa di essere uccisa, chiede una spada, vuole morire "pura" prima di commettere il proprio peccato: confessare. Ma, alla fine, muore colpevole. Sola e condannata. Abbandonata nel cuore e nel corpo.
Mirra muore senz'amore.