Studiosa, esegeta e scrittrice d’arte, Anna Torterolo svolge la sua principale attività a Brera, collaborando con la Biblioteca e la Pinacoteca. Promotrice di progetti di turismo culturale, è guida di numerose istituzioni milanesi e internazionali.
Dott.ssa Torterolo, ci parli un po' di sé e del suo rapporto con l'arte
Dominata dal desiderio di un rapporto libero e senza vincoli burocratici con le arti, ho seguito un percorso vario di insegnamento e di divulgazione, cercando di avvicinarmi al pubblico più vario, senza filtri di generazione o di classe sociale. Considero la vita uno straordinario strumento musicale da cui, in genere, nella vita quotidiana tendiamo a trarre pochi suoni, sempre gli stessi. L'arte ci fa cogliere una gamma sonora molto più ricca:scopriamo sensazioni ed emozioni inedite, che spesso fatichiamo a tradurre in parole. Credo che insegnare storia dell'arte voglia dire aiutare il pubblico a drizzare le antenne, a sviluppare la propria sensibilità, a cogliere punti di riflessione e, quindi, di piacere, perché la comprensione dà un ineffabile e insostituibile piacere. Purtroppo, oggi il discorso artistico è profondamente inquinato dal contatto con la sfera mercantile e, se è pur vero che anche Michelangelo veniva pagato, mi sembra che il committente odierno sia spesso un'anonima entità finanziaria, che chiede all'arte di produrre denaro e consenso. L'opera d'arte, uscita dai luoghi di culto e infinitamente riproducibile, perde il suo rapporto con la dimensione metafisica che ha caratterizzato il suo passato. Proprio Charles Baudelaire, poeta "maledetto", autore di blasfemi inni satanici, ha sentito l'arte come spinta verso la trascendenza, senza alcuna etichetta confessionale, ma certamente anche senza cartellino di prezzo affisso. Penso che la scuola dovrebbe sviluppare e valorizzare la tensione romantica della giovinezza verso l'Ideale (naturalmente un ideale di bellezza e di piacere condiviso), sottraendo i giovani a una visione di desolato materialismo che li rende fragili e autodistruttivi. Resta per me importantissimo il "guardare un quadro" insieme, contro il solipsismo da cellulare: vedere confrontandosi, cercando di avvertire le vibrazioni che ciascuna sensibilità produce a uno stimolo esterno e magari provare a capire come un'immagine sia stata letta nel tempo. Ancora una volta si tratta di usare tutta la meravigliosa, infinita tastiera che la vita ci mette a disposizione.
È legata a Brera da oltre vent’anni…
Lavoro a Brera da oltre vent’anni. Per me Brera è in primo luogo la "mia" Biblioteca, dove si può seguire, nel succedersi delle stanze, il passaggio dalla cultura dei Gesuiti della sala cosiddetta Teologica alla civiltà dell'Illuminismo nella splendida sala Maria Teresa. Un tempo, prima delle assurde spartizioni ministeriali postunitarie, la Biblioteca e la Pinacoteca erano unite, e quadri e libri potevano dialogare fra loro, offrendo agli studenti dell'Accademia spunti di pensiero e di emulazione. Il palazzo di Brera (la Biblioteca, la Pinacoteca, l'Accademia, l'Orto Botanico, l'Osservatorio Astronomico) è il luogo dove ho passato e passo una buona parte dei miei giorni. Brera per me è fatta di luci e ombre, in senso fisico e metaforico insieme. Le luci sono: le mattinate quando i rondoni volano in cerchio sopra le corti e i gelsomini delle terrazze intorno profumano intensamente, i giorni in cui arrivano visitatori dallo sguardo curioso e affettuoso, le sere in cui gli studenti dell'Accademia fanno circolo e chiacchierano e, qualche volta, cantano. Le luci, soprattutto, sono gli scaffali pieni di libri e i lampadari di cristallo della Sala Maria Teresa che preziosamente riflettono i raggi di sole e le storie di gentilezza fra colleghi che conosco da tempo e di cui riconosco i gesti e le parole. Le ombre di Brera sono: quando il quartiere è invaso da un turismo insensibile e cieco, quando si sente un penoso distacco fra ciò che quadri e libri dicono e la chiusura del mondo attorno, quando gli studenti dell'Accademia appaiono disorientati e un po' vacui. Le ombre sono per me soprattutto nei momenti di tensione e incomprensione fra gli Istituti del palazzo, nei giorni in cui piccole ambizioni sovrastano l'attenzione verso gli altri e quindi la cultura vera. Nella Biblioteca di Brera ho incontrato l'uomo che ho sposato e di cui sono sinceramente innamorata. Credo sembri un'affermazione "politica", ma non è così. Posso dire quindi di vivere a Brera momenti di grande felicità, pur conoscendo anche difficoltà e scoraggiamento. Brera mi ha consentito di confrontarmi con la cultura del Meridione d'Italia, da cui provengono molti miei colleghi: anche questo è stato importante per me, per capire un po' di più dell'arte e della sua fruizione. Ho visto opere d'arte riflesse in universi mentali molto differenti e questo mi ha molto aiutato.
Ci parli dei suoi gusti e delle sue preferenze
Come tutti, tra le opere della Pinacoteca, ho le mie favorite, che lo sono non necessariamente per criteri qualitativi, ma spesso solo perché si legano alla mia storia. Così amo le Ofelie di Arturo Martini, due sculture arrivate a Brera per via di donazione: mi sembrano struggenti e liriche e una, quella già appartenuta a Claudia Gianferrari, è vicina a due ritratti di El-Fayyum, in un sommesso discorso sulla morte e sulla speranza. Prediligo anche Il pergolato del macchiaiolo Silvestro Lega, un quadro che ha il ritmo classico del Quattrocento e spira forza e quiete, raccontando un pomeriggio afoso in Toscana,quando solo le donne vegliano e par di sentire le cicale nella calura. La mia natura appassionata e la mia formazione avvenuta sui grandi romanzi del Romanticismo europeo mi fanno essere spesso disordinata, caotica e purtroppo, a volte, inconcludente: quasi ad arginare questo mio carattere, amo un'arte equilibrata che mescoli "esprit de geometrie" ed "esprit de finesse". Forse per questo, al Museo del Novecento di Milano, accanto alle opere del mio diletto Arturo Martini, guardo con particolare attenzione l'elegante musica visiva di Fausto Melotti e comprendo perché, secondo Baudelaire, è l'artista il vero Eletto, colui a cui è stata concessa la vita in tutta la sua pienezza.
Donna e arte…
Per me l'arte è strettamente connessa con la seduzione. Affascinare ed essere affascinata mi rendono profondamente felice. Spesso collego le emozioni che ho provato davanti alle opere d'arte a presenze importanti femminili o maschili. Non sono ambiziosa, ho pochissima attrazione verso il potere, quindi non sono entrata in collisione con il mondo maschile, anzi ho trovato nel mio lavoro figure paterne, fraterne e amorose. Cerco di imparare qualcosa anche dai più giovani, anche se, ovviamente, con più difficoltà. Mi interessano molto le avventure delle giovani donne di oggi che passano attraverso continenti e culture: l'aggiornamento totale è evidentemente impossibile, ma, per il tempo che mi sarà dato, farò del mio meglio. Non ho figli e quindi, libera da tormenti individuali, posso guardare con curiosità e attenzione alle nuove figure sociali che l'arte contemporanea sta generando. Spero di non cadere mai vittima dei luoghi comuni e inseguo l'intensità e la profondità anche nel mondo presente, a prima vista così superficiale. Forse tra le artiste-donne che sento più vicine c'è Berthe Morisot, che ha amato Manet e ne ha compreso profondamente l'arte e ha dipinto quadri che sono delle autentiche dichiarazioni di amorosa affinità. Berthe è stata anche amica dei maggiori poeti del suo tempo e a loro ha affidato, morendo, la figlia Julie, cui ha scritto delle lettere di squisita ma affettuosa lucidità.
Donna tra le donne milanesi…
Non mi identifico certo nel modello della donna milanese, perennemente di fretta e assorbita dal proprio lavoro, e forse questo stereotipo è recente e non proprio milanese. Nella casa dove abito, in via Corelli, c'era una simpaticissima signora settantenne, la Amelia, che parlava uno splendido meneghino e che raccontava, con la luce negli occhi, della propria giovinezza trascorsa a ballare alla Balera dell'Ortica. Oggi non c'è più, ma me la ricordo mentre accompagnava al parco un bambino figlio di vicini rumeni. Io corro, è vero, ma direi più per passione e e per sentirmi viva che per denaro o per ambizione.
È animatrice di molte associazioni culturali…
Il mio lavoro mi consente di vedere cose meravigliose (opere d'arte, paesaggi... ) e incontrare persone interessanti. È per questo che continuo a occuparmi di turismo culturale: per vedere e rivedere luoghi come Chartres o Naumburg e per confrontare le mie emozioni con quelle dei miei compagni di viaggio. Le associazioni culturali per le quali svolgo attività di guida culturale sono importanti e prestigiose, come l'Associazione Amici di Brera, Cultura e Natura, il Fondo Ambiente Italiano: tutte cercano di ridare al turismo il suo senso originario di scoperta e di verifica del sé e combattono un falso edonismo dilagante, che crede sia sufficiente curare il corpo per combattere solitudine e infelicità.
Quali luoghi di Milano le stanno più a cuore?
Due luoghi milanesi, molto diversi fra loro, mi stanno nel cuore. Il primo è un posto tanto nobile da incutere soggezione, conosciuto ma spesso dimenticato: la Pinacoteca Ambrosiana. Qui è possibile seguire percorsi incantevoli: si può ad esempio riflettere sul fascino assoluto delle nature morte, dal paniere con fiori e frutti nella pala del Bergognone, al Sorcio e la Rosa di Jan Brueghel, alla cesta di frutta del Caravaggio. Un grande esercizio di filosofia della visione. Il secondo luogo è il quartiere dell'Ortica, reso celebre da una geniale canzone di Enzo Jannacci. Lì, seppur sempre più sbiadito, resta il colore della Milano operaia, che è stato per me un mito, quasi una fiaba della mia prima infanzia. E nel Santuario di San Faustino c’è un’antica e schietta Madonna del Duecento! Ma dovrei citare anche il giardino all'inglese dietro Villa Belgiojoso o certe vie inattese, come via Lincoln o via Turrone, che con piccole case colorate, fanno pensare a quelle fiabe in cui, svoltato l'angolo, comincia un mondo diverso.