Siamo nel 1518, a Firenze, quando Niccolò Machiavelli scrive La Mandragola (anche se si è incerti su questa data e alcuni fanno risalire l'opera al 1524) in occasione delle nozze di Vincenzo de' Medici. Parliamo di una delle più grandi commedie del teatro del '500.
In quest'opera divisa in cinque atti, che rispettano l'unità di tempo, di azione (inizia la mattina e finisce la mattina del giorno seguente) e di spazio (l'ambiente non si sposta mai da Firenze e da quel luogo), Machiavelli dà prova della sua grande maestria drammaturgica. Ma cos'è questa preziosa mandragola? Perché è stata scelta?
La mandragola è una pianta medicinale, con una radice a forma di pupazzo e a cui venivano attribuite proprietà fertilizzanti e virilizzanti per l'uomo; dunque possiamo dire che la comicità è già contenuta nel titolo: vi è qualcuno che non può avere figli. Tutta la commedia è infatti fondata sul procedimento della beffa.
Machiavelli scrive La Mandragola in volgare perché è la lingua del popolo, quindi è la più funzionale. La cosa straordinaria è che l'autore, attraverso lo strumento della beffa, porta avanti una vera e propria denuncia e critica dei costumi della società del tempo, in particolar modo della Firenze di quegli anni. Machiavelli si rivolge a una precisa cerchia di destinatari che sono proprio i fiorentini e lo fa colpendo il clero, ormai sempre più corrotto, disposto a tutto pur di ottenere somme di denaro (ricordiamo la nota pratica delle indulgenze); così come colpisce la figura dell'intellettuale, ormai sempre più asservito e dipendente dalle volontà del principe di turno. Ci sono più categorie nel mirino.
Il suo scopo è denunciare la perdita di valori a cui sta andando incontro l'individuo, sempre più alla deriva, inerme, senza alcun tipo di virtù. Tutti i personaggi che compaiono sono stereotipi con una loro interiorità, non i soliti personaggi buffoneschi e basta. Ognuno rappresenta una determinata classe sociale con i suoi atteggiamenti tipici e le sue influenze di pensiero.
Nicia, ad esempio, rappresenta gli ottimati, ossia i ricchi di antica data che il tempo e l'età ha reso sciocchi, Callimaco la nuova borghesia rampante che pensa al successo e alle donne e che preferisce usare l'inganno per derubare la classe politica più antica, Frate Timoteo la chiesa che fornisce servizi malavitosi, Ligurio le classi artigiane che devono lavorare per conto di terzi, Siro il popolino asservito ma non insoddisfatto della sua condizione sociale, e infine ci sono le donne, considerate semplicemente prede da conquistare. In fondo, poco diversa da quella che è la società di oggi, divisa al suo interno, frazionata e per nulla rassicurante.
Molto, troppo, ci sarebbe da dire su questa grande commedia. Alcuni hanno voluto vedere in quest'opera una parodia della tragedia di genere (il trattato politico), altri invece vi hanno letto una sorta di rassegnazione mista a disprezzo e sfiducia (spesso sfociata in misantropia) dell'autore nei confronti della realtà e della natura umana. Lo scrittore ci parla di decadenza in termini moralistici (e solo perché, sappiamo bene, è stato messo da parte dai nuovi padroni), decadenza di cui l'uomo può liberarsi ribellandosi, opponendo ad essa la ragione, la virtus (intesa come il valore militare degli antichi romani) e tentando quel riscatto definitivo in cui Machiavelli aveva sempre creduto.