Capita talora, ed è un dono, che una parola, appoggiata al parapetto di una pagina, richiami la nostra attenzione: si sporge verso di noi, ci pare di vederla per la prima volta in tutta la sua bellezza, ne incrociamo lo sguardo luminoso e seducente in una sorta di “coup de foudre” e allora quella parola, che prima se ne stava quietamente incastonata tra le altre sorelle di foglio, inizia la sua danza di corteggiamento, accompagnata da immagini, suoni, voci che ne raccontano la lunga storia, che ne accrescono la meraviglia, che nuotano insieme a lei nell’oceano del tempo. Come il volto dell’amata tra la folla, emerge e si staglia in tutto il suo fulgore tra le tante parole che le si stringono attorno.
Questa volta è l’osservazione che è riuscita a farsi notare, sì, proprio questa parola all’apparenza così priva di eroismi linguistici e culturali, sperduta tra le voci del quotidiano, una creatura che passa inosservata e della quale ci si serve senza particolare riguardo: non è altisonante, non evoca sentimenti potenti, non scatena emozioni, non rimanda a grandi ideali, scorre quieta e senza pretese quasi inconsapevole della propria natura colma di rimandi e di intrecci. Eppure l’osservazione è una cornucopia dalla quale si versano inaspettati tesori: l’attenzione vigile e discreta con la quale ci rivolgiamo verso qualcosa che suscita la nostra curiosità; la cura che mettiamo nel considerare ogni particolare quando crediamo che dal nostro osservare possa dipendere l’esito fausto di una decisione da prendere.
L’osservazione favorisce il rispetto che è anch’esso un atteggiamento dello sguardo che ‘si volge indietro’ come per assicurarsi di non dimenticare il contatto con chi percorre la medesima via. Il rispetto predispone a cogliere i segnali che vengono dall’altrove, si dà pensiero di riflettere sulle ragioni dell’altro, si mette in attesa e, con *riguardo, si dispone a comprendere.
L’osservazione non è soltanto un guardare fisico: c’è nella parola un aspetto intimo, sacro, quasi che attraverso lo sguardo si possa custodire e accogliere nell’anima ciò che si è veduto. E non è forse questo un termine che accompagna il cammino della spiritualità che chiede di osservare il silenzio, di impegnarsi all’osservanza della regola, di essere osservatori delle cose del mondo senza per questo lasciarsene irretire?
C’è quella deliziosa particella ob che ci viene dal latino, là dove l’osservare si presenta come ob-servare, che ci ricorda con grazia e leggerezza che quel guardare ha un fine, è rivolto verso (ob) qualcuno che si vuole tener d’occhio benevolmente, riempire d’attenzione, o verso qualcosa che potrebbe avere conseguenze sul nostro agire. I naviganti osservano il mare per chiedere la sua benevolenza, i viandanti osservano il cielo per procedere sotto la sua protezione, gli uni e gli altri osservano l’orizzonte ‘il cerchio che separa’ che, con la sua bella etimologia, sembra sottolineare il confine oltre il quale l’uomo spinge sempre lo sguardo nel tentativo di oltrepassare la propria infinita piccolezza: horos per i Greci era il ‘limite’.
C’è anche un osservare che ci conduce nei territori dell’antica religio laddove gli aruspici divinavano esaminando prodigi e folgori, leggendo il reticolo delle emozioni depositate sul fegato degli animali sacrificati per trarre auspici, mentre gli àuguri osservavano il volo degli uccelli e ne ascoltavano le voci per indovinare il volere degli dei.
Osservare è premessa del ricordare, del custodire le tracce di ciò che si è disegnato nella memoria attraverso l’impegno che abbiamo messo nell’esaminare ciò che è passato davanti ai nostri occhi, nel considerare ciò che ha toccato il nostro cuore o colpito i nostri sensi.
I luoghi, le città vanno ineluttabilmente perdendo la propria facies fino a rendersi irriconoscibili e diviene dunque quanto mai preziosa l’osservazione che permette, con una estrema operazione di salvataggio, di allungare la vita a ciò che è destinato all’oblio. Come i salvatori di libri del profetico Bradbury di Fahrenheit 451 gli osservatori attenti adempiono al loro compito di difensori del tessuto dei ricordi sempre più divorato dalle tarme della dimenticanza.
L’osservare ha a che fare con la protezione, il velo delicato e materno che si stende a coprire amorevolmente coloro che ci stanno a cuore, poiché, quando dedichiamo loro la nostra piena ed intensa attenzione così da cogliere le infinitesime sfumature del loro umore, allora riusciamo ad intuirne le richieste, i desideri, le attese e ci rendiamo disponibili ad avvolgerli con il manto del nostro sguardo protettivo.
L’osservazione sa farsi ascolto, accoglienza e allora puoi sentire il fruscio della lingua senza parole che collega i fili delle percezioni e dischiude inattese visioni sensoriali. L’occhio si predispone a cogliere i dettagli per affinare una “consapevolezza diffusa” ovvero quella concentrazione che rende udibili anche i suoni di sottofondo e non soltanto quelli che si impongono allo sguardo o all’orecchio per la loro centralità.
Questo modo di “interessere” con ciò che ci sta attorno diviene un’indicazione a cercare di dare valore alle piccole cose il cui riflesso è nelle grandi, poiché macrocosmo e microcosmo sono inscindibili: “c’è tutta la primavera nel filo d’erba che spunta dalla neve!” Ogni cosa esiste solo nella relazione e noi ci muoviamo su un tappeto nel quale ogni piccolo nodo ha contribuito a formarne il disegno mirabile.
Osservare ci aiuta ad avere fiducia poiché l’ampliamento dello spazio percettivo accresce la consapevolezza del nostro stare nelle cose, della nostra collocazione, ci fa sviluppare l’intuizione che viene prima del pensiero strutturato, e ci mette in rapporto agli accadimenti con una pienezza di sentire che amplifica la nostra padronanza e la nostra disponibilità ad accogliere ogni mutamento, ad individuare segni e tracce.
Per essere nell’osservazione bisogna confrontarsi con il tempo di cui abbiamo bisogno per “mettere a fuoco” i paesaggi che la vita ci offre e intuire quale tipo di inquadratura ci darà la fotografia più bella, l’immagine più potente. Osservare spalanca l’occhio dell’immaginazione e, guardando intensamente, si possono ancora vedere gli animali fantastici che prendono vita dalle nuvole che scorrono in cielo come figure del teatro delle ombre: castelli evanescenti e draghi che ingaggiano magiche battaglie.
Nelle notti stellate osserviamo le costellazioni che ci narrano di antiche dee e favolosi eroi, ritroviamo la pienezza dello sguardo che cerca il suo punto luminoso nell’infinita vastità del tutto. Osserviamo i nostri passi per essere rispettosi di ogni creatura che incontriamo sul nostro cammino.
Osserviamo i gesti pieni di circospezione e di abilità dei gatti, amici preziosi, compagni amabili di solitudini e abbandoni, osserviamoli mentre dormono il loro sonno pacifico e pieno di incanto, osserviamoli mentre guardano il mondo da un tetto sicuro, vicino al cielo, scaldati dal sole, in silenzio, in ascolto: è un bel punto visuale, una condizione da condividere.
Soffermiamoci a considerare che non ci sono parole meno importanti, come non ci sono esseri meno importanti: tutti hanno storie da raccontare, vite spesso vissute senza clamore, sentimenti da esprimere ed è lo sguardo paziente del cuore che aiuta a svelarne i segreti, a ritrovarne la meraviglia.
A cura di Save the Words®