Devi disimparare ciò che hai imparato - Yoda
Il successo di Star Wars deriva da tre fattori: 1. la semplicità di un “modulo narrativo base”, moltiplicabile all’infinito come una sequenza di frattali 2. il cocktail romantico delle polarità opposte, tanto amate dai ragazzi: ipertecnologia e primitivismo (esseri cavalcanti, mostri, Chewbecca con la sua balestra, ecc.), ultramodernità ed etica cavalleresca, tecnica ed epica, “alieni e medioevo”, insomma 3. quell’ambiguità e indeterminatezza pop tali da permettere a chiunque di immedesimarsi nella vicenda senza tanta fatica.
Il primo fattore si evidenzia confrontando Una nuova speranza, il numero zero dell’epopea, con tutti gli altri sei episodi: si tratta del medesimo racconto rimodulato variando condimenti e accessori. Star Wars come il bollito alla piemontese: carni semplici e sempre le stesse ma con molte e variegate salse stuzzicanti. In questa variazione continua della matrice originaria è facilissimo notarne le costanti: l’eroe buono che passa al “lato oscuro” (Dooku, Anakin, il figlio di Han Solo), gli Jedi minacciati, l’arma segreta dell’Impero (come quelle di Hitler), il covo nascosto dei ribelli (i partigiani, l’aviazione britannica nella II WW), il passaggio iniziatico dal maestro all’allievo Jedi, e il tema dell’“eletto”, che sarà molto forte, fino all’ossessione non a caso anche nella saga di Harry Potter. Tutto è doppio e duale.
Il secondo fattore lo riscontriamo concretamente nei gusti dei bambini della nostra società di massa. Cosa amano di più fra i 4 e i 7 anni i maschietti? Dinosauri e pirati, mostri e spazi siderali pieni di alieni e astronavi. Gli estremi. Le polarità dell’Astratto e del Selvaggio. Il genio di Lucas è di aver reso più intriganti questi ingredienti da cocktail di prevedibile e programmato successo con alcuni “sfasamenti” etico-estetici ancora più conturbanti e che denotano una logica tipica del pensiero gnostico e del manicheismo e che ritroveremo in parte, in modo più ideologico, anche nella trilogia di Matrix, mentre in Star Wars restano più impliciti, contribuendo all’eleganza quasi neoclassica, arcadica, canoviana di questa magnetica epopea. Notiamone alcune evidenze.
Il male non è un potere/dimensione del tutto opposto o alieno alla Forza, sorta di energia vitale cosmica e impersonale (molto simile allo Spirito o Sostanza divina delle filosofie e religioni orientali) ma ne è il lato oscuro, cioè un rischio degenerativo insito nella stessa Forza per chi non riesce a salire correttamente nell’ascesi iniziatica propria degli Jedi. Evola e Guenon sottoscriverebbero! Si tratta di una versione laica della “via della mano sinistra” rispetto alla vie tradizionali alla partecipazione di uno Spirito e di una Tradizione vista quale Sapienza perenne, sovrastorica. Ebbene questo pensiero è tipico dello gnosticismo e del manicheismo, come pure lo ritroviamo nell’esplosione ottocentesca e novecentesca della Teosofia e delle sue varie diramazioni.
Il lato oscuro viene nutrito da paura, rabbia, odio. Yoda e Obi Uan Kenobi quindi “a contrario” sembrano insegnarci che la via filosofica alla Forza, assai simile al Taoismo e al Buddismo Zen, nel comune culto dell’essenzialità e dello svuotamento depersonalizzante, si percorre praticando l’atarassia e il distacco per accogliere e sentire la Forza universale. Lo stesso Mito della Forza è ben conosciuto nella storia della cultura: l’ideale della Forza unica in alchimia (Tabula smaragdina), il concetto di Vril nella teosofia ariana e nazista, il “campo unificato delle forze”, da sempre ricercato dai fisici nucleari dagli inizi fino ad oggi. Gli Jedi del passato appaiono come i “corpi astrali” delle religioni orientali, ripresi dalla Teosofia. Il maestro di Anakin appare a un Luke arrabbiato per non essere stato avvisato che il nemico è suo padre, insegnando la necessaria relatività delle prospettive di lettura della vita.
Darth Fener non è Anakin Skywalker: la metanoia prevale sul concetto di persona. Se la Forza è un Dio olistico e monistico, panteista, impersonale, il male è tale perché è solo “un lato” della Forza, ossia una sua riduzione, degradazione. In questo resta un lontano eco di Agostino e della sua visione teologia, poi tomistica, del male quale “diminuzione del bene”, privo di una sua ontologia autonoma. Qui non abbiamo però racconti sull’ontologia o la necessità né della Forza e né del Lato oscuro. Il teatro dell’avventura lascia sullo sfondo le domande prime, pur alluse e presupposte, come ogni saga richiede, altrimenti avremmo un trattato di filosofia!
L’icona deve restare “vuota” altrimenti non tutti potranno identificarsi con essa ricreando la “loro idea” della Forza e del suo epos. Lo scopo della Forza sembra perpetuare se stessa; il suo Valore massimo pare l’Equilibrio, non la vittoria definitiva sul Lato oscuro. Comico, involontariamente, il rimprovero dell’Imperatore contro Darth Fener sul suo non avere una visione chiara su Luke (nel Ritorno dello Jedi). Una visione chiara dentro il Lato Oscuro! Sia la Forza che il suo opposto appaiono dialetticamente necessarie per le dinamiche di sviluppo del cosmo.
Un esempio emblematico di questa dualità monistica lo troviamo in Darth Fener e in Luke che si tranciano entrambi le mani fra il terzo e il sesto episodio, e anche nel settimo la ragazza futura Jedi ferisce il figlio di Han Solo. La Forza appare come un oceano calmo e indifferente che garantisce una regolare oscillazione fra male e bene, fra Impero e Repubblica. Altro paradosso: gli Jedi hanno un rapporto passivo con la Forza, mentre i Sith presentano un’etica ascetica attiva nel cercare di usare e manipolare la Forza. Nel primo scontro fra Luke e Darth nell’Impero colpisce ancora Luke sembra un Sith, aggressivo e collerico, mentre Darth Fener mostra la calma e il distacco di uno Jedi! Non solo: Darth Fener cerca di “convertire” Luke più di quanto Luke cerchi di farlo con lui! Lucas ama le inversioni dialettiche! Un Yoda morente infine insegna a Luke che per essere uno Jedi gli manca l’incontro/scontro finale con il nemico/padre. Un Lucas freudiano? Oppure la necessità di un’iniziazione che inverta la contro-iniziazione di Fener?
La bellezza estetica di questa storia è una bellezza per “sottrazione”, per semplificazione di vari altri immaginari e stilemi. Anche nei dettagli abbiamo un sinusoide di ondulazioni, sovrapposizioni riecheggiamenti complementari: le spade Jedi sono di evidente origine samuraika, nonché simili ai bastoni del Kendo, i vestiti degli Jedi ricordano i monaci e gli Jedi sembrano anche una versione futuribile dei monaci guerrieri Templari, mentre i “cattivi” soldati dell’Impero vestono belle ed eleganti armature bianche, colore tradizionalmente tipico dei buoni, e i loro capi sono tutti ex buoni.
Un contrabbandiere e truffatore diventa eroe, Ian Solo, e Dart Fener indossa un casco fra il samurai giapponese e l’elmetto nazista e mostra una sua solennità misteriosa di chiaro fascino, indossando infine il mantello come gli Jedi. L’inversione dialettica appare massima nella sequenza degli episodi. Prima Anakin diventa Dart Fener, poi abbiamo un soldato disertore dell’Impero che si rivela decisivo nell’ultimo episodio. Come far dialogare mondi opposti se non con il tradimento? Non parliamo delle varie “Morti” bianche e nere e delle varie identiche minacce dei “piani di attacco”… fino alla quarta generazione di Jedi con il settimo episodio, del tutto pedantemente ricalcato sul numero zero di Una nuova Speranza, con identico deserto e uso del piccolo robot per celare i piani di attacco.
Il tema fondamentale della saga in realtà non è quindi la sconfitta del male ma la perpetuazione di un’iniziazione da parte di ciascun aspetto della Forza, in modo che l’adepto, l’eletto, continui la catena ascetico-sapienziale e la tramandi nel futuro. In altre parole, mutuando il linguaggio politico, possiamo dire che il tema è l’autoselezione per cooptazione di una classe dirigente. La specularità perfetta fra Impero e Repubblica li legittima reciprocamente. L’Impero è l’Impero, si fonda sull’autoidentificazione. Assomiglia un po’ all’Impero romano e un po’ al nazismo: cerca l’ordine e l’unità, ma si mostra spietato e intollerante, come ogni Impero.
La Repubblica di Lucas è come ogni Repubblica: caotica, multipolare, instabile, corrotta, mercantile-commerciale. Lucas è bravo a giocare pattinando sui modelli-base, archetipali. L’Impero non può che vedere nella Repubblica un fattore di erosione e di ribellione e la Repubblica non può vedere nell’Impero un’oppressione pericolosa. La lotta fra Impero e Repubblica è una lotta fra due distinte utopie internazionali, totalizzanti, tra due distinte ma non separate modalità di gestione sociale di un universo che resta cosmopolita, vario, caotico, multipolare. L’utopia imperiale è quella di conferire un ordine, ossessione di ogni Impero, mentre l’utopia della Repubblica è quella di trovare sempre soluzioni nel mercato dei compromessi del Senato e degli accordi galattici.
Gli universi di Guerre Stellari sono sostenute dal permanente conflitto fra tradizione e tradimento, dalla tensione fra fedeltà e distacco, fra Identità e Ricerca. Libertà di ricerca o difesa dell’identità? Questione sempre attuale. La Forza è come un sismografo che registra le oscillazioni e le ondulazioni nella lotta fra i due aspetti di se stessa, restandone sostanzialmente indifferente. Prova ne è che sia Darth Fener che Luke avvertono reciprocamente la loro presenza e vicinanza percependo una “perturbazione nella Forza”. Ci saranno sempre, nel mondo coerente di Guerre Stellari, reciproci tradimenti che dialetticamente sosterranno la dinamica del cosmo in una sorta di predestinazione semiprovvidenziale e semideterministica. Simile in questo Matrix, dove Zion (cioè: Sion) è previsto che resista fino al suo rifiorire e la storia dell’universo è, come per Star Wars, un ciclo inesausto di nuove albe e nuovi ritorni, continue emanazioni e riassorbimenti, come la concezione gnostico-neoplotiniana degli eoni.
Già Eraclito aveva teorizzato il fuoco e la guerra quali principi creativi del cosmo. Dopotutto anche nel valore simbolico dei nomi troviamo conferme della simile derivazione gnostica di Matrix: i Sith originali erano una specie di umanoidi dalla pelle rossa nativi di Ziost, ancora una volta il Mito di Sion, la Città regale e sacra, il nuovo Eden che ciclicamente rifiorisce o si riocculta.
La bellezza classica e futurista della saga deriva anche da queste modulazioni trasversali di canoni narrativi molteplici. E pluribus unum. Per questo genera un culto feticistico che ricorda il culto per gli oggetti di design. Star Wars è il design dell’Epos, il format totale e totalizzante che permette all’Epos di sopravvivere omologandolo in una dualità gnostica, pragmaticamente adattabile ad ogni contesto tecnico e stilistico. Luke non vince l’Imperatore: è l’Imperatore che perde per la ribellione di Darth Fener. Né la Forza né il Lato oscuro possono vincere definitivamente uno sull’altro, ma restano in continua tensione fra latenza e rivelazione dando così un futuro a due stirpi iniziatiche contrapposte. Star Wars forever!