Tutto ciò che è profondo ama mascherarsi; le cose più profonde odiano l'immagine e la similitudine (Nietzsche)
Maschera come vuole l'etimologia della parola sta a significare persona. La maschera, nella mostra curata da Antonio Grulli alla Galleria de’ Foscherari di Bologna, diventa luogo autentico di incontro tra tre persone di differenti generazioni.
Il celebre Autoritratto con maschere, 1899, del pittore belga James Ensor diviene l'innesco e il pretesto per un dialogo enigmatico tra Piero Manai e Luigi Presicce, entrambi gli artisti hanno infatti preso come punto di partenza la suddetta opera per alcuni lavori. Si crea così una voce triangolare che trova nell'assimetria geografica e temporale una corrispondenza colta, trasversale, e puntuale, rituale e preziosa.
L'esposizione può essere letta come una riflessione sul corpo, sulla trascendenza, la mancanza e l'enigma imprescindibile che risiede come edera nel profondo substrato dell'esistenza. Lo sguardo pittorico di Presicce e la pittura scultorea di Manai si infrangono l'uno nell'altra in una complessità stratificata che richiama l'essenza e l'arcaicità della materia. È una questione di gesti primordiali, importanti e intrisi di armata e mascherata coscienza.
Come ha affermato in un'intervista lo stesso Presicce "Compiere un gesto è tanto significativo quanto il non compierlo". E ancora: "La fissità è il punto esatto da dove parte o finisce il gesto, l’azione è fatta per chi si annoia, il movimento per chi non ha la pazienza di vedere". L'enigma di Presicce risiede nella bellezza della monumentalità che viene celebrata e ritualizzata con estrema cura nella fissità del tableau vivant. Il sapere dell'artista si denuda e si presenta davanti a noi nella complessità di storie e archetipi che si stratificano con una dignità eloquente.
Presicce performer ci conduce ogni volta in una riflessione sul significato del medium pittorico, e non solo. Enigma è, non a caso, il titolo di due oli su carta intelata di Piero Manai che ben mostrano/dimostrano una delle essenze dell'esposizione. Due corpi frammentati si ergono quasi specularmente per frammenti, e nella mancanza risiede il potere dell'evocazione e la forza del mistero.
Nelle parole di Tilman Osterwold in occasione della mostra monografica dedicata a Manai e tenutasi nel 2005 alla Galleria d'Arte Moderna di Bologna "Nella gestualità e nella fisionomia degli individui tracciati dall'artista corporeità e sensibilità (percettiva) vivono nell'altalena di incertezza e autoconsapevolezza". E ancora: "I suoi colori monolitici, grigi e terrei riportano a quelli del tedesco Anselm Kiefer e la sua modalità compositiva, formalmente e tematicamente tarata sulla scultura all'italiano Enzo Cucchi; il suo nichilismo pittorico quasi monocromo all'austriaco Arnulf Rainer".
Piero Manai, oltre a interrogarsi sempre sulle logiche e sulle funzionalità della pittura ha indagato la storia dell'arte e i suoi maestri, non a caso "la sua autoconsapevolezza artistica trova un parallelo in Goya, Nolde, Brancusi o Bacon, in Géricault, Van Gogh, Schiele o Rainer, Beuys o Medardo Rosso, Cézanne". L'essere colti e consapevoli ha permesso sia a Manai che a Presicce di potere dialogare indagando la profondità dell'immagine, servendosi dei diversi mezzi artistici per riportarci lì da dove eravamo naufragati, dalla pittura, la più antica maschera artistica.
E se corpo e pittura sono due sottili echi che sembrano rincorrersi negli spazi della de’ Foscherari, nei monoliti di Manai la pittura si fa corpo autentico di una fisicità trascendentale, ha scritto sempre Osterwold "Monolitico è l'effetto della figura umana, ma anche l'immaginazione artistica di Piero Manai. La pittura, il processo pittorico, producono un effetto monolitico: la corrispondenza di colore, di forma, spazio nella struttura aperta dello sfondo, dove vibra la pienezza del vuoto". E ancora "La pittura si aggrappa alla sua forma compatta e monolitica, rinforzando, allo stesso tempo, i suoi labili contorni. Poi, quando le linee di colore sgorgano grondanti dalle pietre, pare disfarsi in una liquida melanconia".
E le pietre sono protagoniste di questo dialogo fatto di rimandi e suggestioni rimbalzanti, le pietre tornano bloccate nell'eternità di un attimo fissato per sempre nella fotografia della performance di Presicce Santo Stefano, i coriandoli, le pietre del 2015, sospese in un clima tra l'arcaico e il grottesco, nella trama fitta ma ben costruita dell'atemporalità liquida che costeggia gli interventi di Presicce.
L'enigma sussurrato da Manai viene ripreso e riflesso nelle sculture di Presicce, come un richiamo, come un appuntamento, o meglio come un accadimento dettato dal fato, Nel costato e Nel nome del padre , nelle quali la figura umana si mostra nel sacrificio del frammento, dell'incompiuto e dell'assenza, della ferita come margine dell'altrove. Nella prima la terracotta, nella seconda ottone, gesso, piume, fimo, acrilico e make up, i materiali non sono che veicoli per una sublimata stasi.
La fotografia è un'altra linea che scorge come guida al dialogo tra i due artisti, in Presicce il lavoro fotografico accompagna sempre la ricerca e lo svolgersi dell'atto performativo diventando a tutti gli effetti sia strumento di indagine che opera, in Manai è altrettanto imprescindibile l'atto fotografico, soprattutto tramite la polaroid che permette un'istantaneità, una fisicità, e un'intimità del tutto particolari. Note, infatti, sono le polaroid di Manai attraverso le quali, alla stregua di Arnulf Rainer o Egon Schiele, l'artista si è autoritratto indagando l'espressione psicofisica intervenendo poi a posteriori con gesti pittorici.
Il gesto si ritrova e si identifica come autoritratto nell'opera magna, e fndamentale per il percorso dell'artista, nelle cinquantasei opere, carboncini su carta intelaiata, Autoritratto con maschera, 1899 del 1980. Una moltitudine centrifuga di volti in nero sono stati concepiti come strumenti di indagine, come elementi monocellulari, i carboncini riconfermano l'interesse di Manai per l'analisi del linguaggio del corpo e della mimesi facciale già visibili nella serie delle polaroid.
Una mostra questa, cardiaca, al limite tra la vibrazione e la cessazione del battito, che indaga con estrema complessità e profondità l'identità della pittura, dell'opera d'arte in se stessa e della figura umana, come elementi di una costellazione ancora da monitorare, che scioglie e lega nell'enigma sia l'assenza che la cura.