Immaginiamo di trovarci all’improvviso a Vienna, in un salotto borghese tra la fine ’700 e i primi decenni dell’800. Quasi sicuramente, oltre all’arredamento tipico dell’epoca, troveremo un fortepiano: la musica in passato non era praticata solo da chi lo faceva per professione, ma era estremamente diffusa anche a livello dilettantesco. Per avere un'idea di questo fatto si pensi che i governatori di Vienna nell’800 sentirono l'esigenza di promulgare una legge che impedisse di suonare dopo le 23, tanto era il frastuono che proveniva dalle abitazioni. Altro strumento molto diffuso dell’epoca era la chitarra. Un po’ come oggi, era uno strumento che si prestava a eseguire ogni genere di musica, accostandosi quindi ai più svariati gusti: poteva fungere talvolta solo da accompagnamento e allo stesso tempo aveva scritta per lei diversa letteratura di stampo virtuosistico.

Il fortepiano è lo strumento a tastiera che succede al clavicembalo, dal quale si differenzia principalmente per il tipo di meccanica, per il modo in cui la corda viene fatta vibrare: nel clavicembalo la corda viene pizzicata mentre nel fortepiano la corda viene percossa da un martelletto (esattamente come nel pianoforte moderno) e a seconda della forza esercitata si ottengono appunto il forte e il piano. Il fortepiano è nato alla fine del ’600, con Bartolomeo Cristofori, e vede durante tutto il ’700 e l’800 un grande sviluppo: i modelli sono innumerevoli e mutano, oltre che di nazione in nazione, molto velocemente, perché la ricerca di nuovi effetti, nuove soluzioni di suono era costante e spesso erano i compositori stessi (Beethoven ne è un esempio) a esprimere ai costruttori le loro esigenze e a far costruire nuovi modelli. Le principali differenze col pianoforte (il modello Steinway nasce a fine ’800) stanno nei materiali utilizzati e di conseguenza nel suono: fino a un certo periodo i fortepiani sono stati costruiti esclusivamente in legno, i martelletti erano in pelle, il numero di corde per tasto variabile (prima due, successivamente tre negli acuti come oggi), tutte caratteristiche che rendevano il suono dello strumento un po’ meno voluminoso rispetto a quello moderno e più brillante. Il suono dei fortepiani si smorza molto velocemente (contrariamente al suono del pianoforte che è nato nel periodo romantico, per sostenere ed eseguire lunghe melodie cantabili e legate) e ogni nota raggiunge il suo massimo picco di intensità immediatamente dopo l’attacco: è quindi perfetto per eseguire brevi fraseggi, piccole articolazioni, tipiche del repertorio del suo periodo.

Rispetto al pianoforte poteva inoltre avere più pedali: oltre al pedale di risonanza e al pedale a una corda (richiesto da Beethoven) che sposta la tastiera in modo che il martelletto colpisca solo una delle due corde, vi erano anche il moderatore, che interponendo una striscia di feltro tra martelli e corde, genera un suono tenue, quasi magico, molto adatto ad alcuni passi della musica di Schubert; il “fagotto” che interpone invece una striscia di pergamena che a contatto con le corde produce un suono nasale che ricorda quello del fagotto e ancora il bizzarro pedale “turcherie”, che attiva un meccanismo che simula il suono di piatti, campanelli e grancassa. Un aspetto su cui è importante porre attenzione secondo noi, è che il pianoforte non deve essere visto come l’evoluzione del fortepiano e di conseguenza, il fortepiano, non deve essere considerato come un modello “primordiale” e limitato di pianoforte. Il fortepiano ha la sua storia, ha segnato un periodo storico e tutta la più grande letteratura fra la fine del ’700 e la fine dell’800 è stata scritta per la sua sonorità e “cucita addosso” alle sue particolarità tecniche. Molto del repertorio che abitualmente eseguiamo sul pianoforte è stato pensato per il fortepiano: Mozart, Clementi, Beethoven, Schubert…

La chitarra dell’800 presenta diverse differenze dalla chitarra classica moderna. La prima che salta all’occhio è sicuramente la dimensione dello strumento: quella dell’800 è infatti più piccola e grazie a questo, è possibile suonarla anche in piedi tramite l’uso di una tracolla. Ci siamo rese conto che, suonare in piedi, cambia talvolta l’intenzione espressiva: aiutarsi con il corpo nell’andamento di una frase o in un particolare passaggio tecnico è qualcosa che i chitarristi moderni (seduti su una sedia con la gamba sinistra sollevata) sono impossibilitati a fare. Questo porta sicuramente il musicista a reagire in modo diverso alla musica e alle sue sensazioni. Oltretutto la posizione in piedi evita che fra l’esecutore e il pubblico sia interposto il leggio, migliorando la diffusione del suono. Riguardo le caratteristiche fisiche della chitarra nell’800, c’è da specificare che se oggi la chitarra classica ha una forma standardizzata, lo stesso non si può dire degli strumenti dell’epoca. Di paese in paese cambiavano notevolmente i loro connotati, con grandi trasformazioni e sviluppi anche a distanza di pochi anni (come nel fortepiano). La differenza più sostanziale rispetto allo strumento moderno riguarda sicuramente le corde. Infatti il materiale usato nell’800 e che tutt’ora si usa su questi strumenti è il budello. E’ un materiale molto diverso al tatto, sia per la mano destra che per la sinistra, che crea più attrito rispetto al nylon, utilizzato sulle chitarre moderne. Per suonarlo non è previsto l’uso delle unghie nella mano destra, elemento determinante del suono per ogni chitarrista moderno. L’uso delle unghie prevederebbe il consumarsi molto veloce del budello, corrodendo a sua volta più velocemente le unghie, rovinando il suono. Il non utilizzo delle unghie per suonare (oltre a generare un suono diverso rispetto quello della chitarra moderna e a determinare un diverso approccio mentale allo strumento) induce anche a un lieve cambiamento di impostazione della mano e all’uso di altre tecniche, come ad esempio lo sfruttamento del movimento del polso per i passaggi veloci con la mano destra o l’uso del pollice della mano sinistra sui bassi (riportando tali tecniche sulla chitarra moderna non si ottengono gli stessi effetti e gli stessi risultati che si hanno invece sugli strumenti antichi).

Riguardo il repertorio per chitarra è curioso vedere come a differenza degli altri strumenti gli unici a scrivere musica per essa siano stati quasi esclusivamente chitarristi: emergono Giuliani, Carulli, Sor e diversi altri, ma non un Mozart o un Beethoven. Di conseguenza buona parte della musica da camera per chitarra è stata scritta prevalentemente da chitarristi compositori. Tra le formazioni da camera spicca il duo fortepiano e chitarra: è stata una sorpresa scoprire quanto repertorio sia stato scritto per questa formazione e come sugli strumenti d’epoca trovi la sua vera identità. Lo stesso repertorio eseguito sugli strumenti moderni infatti (chitarra classica e pianoforte) crea diversi ostacoli nella fusione, nel suono e nell’equilibrio. I due strumenti devono arrivare a continui compromessi che portano allo snaturarsi del suono (la chitarra deve suonare spesso troppo forte a discapito delle sue possibilità timbriche, mentre il pianoforte per non sovrastarla non può quasi mai sfruttare pienamente le sue potenzialità sonore). Affrontare il repertorio dell’800 su strumenti d’epoca, invece, restituisce loro e al repertorio la propria identità, mentre i problemi legati al suono e alla fusione timbrica e dinamica svaniscono lasciando spazio agli esecutori di esprimersi liberamente e nel pieno delle loro possibilità. Una volta presa confidenza con la meccanica di questi strumenti, risulta anche più semplice l’approccio al repertorio e alla prassi esecutiva. I limiti e le potenzialità propri di questi splendidi oggetti, insieme a uno studio mirato sulla prassi esecutiva, ci facilitano nella comprensione della musica di questo periodo. A cura del Duo Savigni.