Se qualche viaggiatore nel tempo si fosse trovato a Roma nel gennaio dell'897, entrando nella basilica del Laterano avrebbe assisto a qualcosa di veramente raccapricciante: un processo in grande stile contro un papa, davanti alla corte di vescovi e cardinali, solo che l'imputato era morto da qualche mese e di lui rimaneva solo un corpo ormai in putrefazione, nonostante una dubbia imbalsamazione. L'imputato era papa Formoso I e l'episodio passò alla storia, per l'appunto, come il "processo al cadavere". Ma come si arrivò a tanta profanazione e crudeltà? Vediamo l'antefatto.
Il 22 febbraio dell'896, l'allora papa Formoso, incoronò solennemente nella basilica di San Pietro, ancora costantiniana, come imperatore degli italiani il tedesco Arnolfo che aveva il merito di aver cacciato da Roma, solo pochi giorni prima, i soldati e i partigiani del duca di Spoleto, liberando così il papa dalle segrete di Castel Sant'Angelo dove lo avevano rinchiuso i suoi nemici. Un atto solenne che doveva avere strascichi negli anni avvenire e causa principale dell'oltraggioso processo al papa stesso. Spiegare come si arrivò a tutto questo non è molto facile sia per le fonti arrivate fino a noi che risalgono almeno a cento anni dopo i fatti e sia perché l'intreccio tra personaggi e fatti di questa storia è assai complesso da sbrogliare, comunque, prima di arrivare al "processo" cominciamo a conoscere i personaggi di questa storia.
La vita di Formoso
Il futuro papa, del quale Formoso sembra essere anche il suo nome di battesimo, era nato a Roma intorno all'816, ma della sua giovinezza non sappiamo quasi nulla se non che doveva appartenere a una famiglia alquanto agiata tanto da potersi permettere di studiare e avvicinare persone importanti, fu così che, non ancora quarantenne, venne consacrato vescovo di Porto, l'antico centro alla foce del Tevere prospiciente alla odierna Ostia e, ancora in tempi più brevi, venne addirittura proclamato cardinale.
Apprezzato da papa Niccolò e dal suo successore, per la sua fermezza dottrinale e per la sua qualità di diplomatico, fu incaricato di delicate missioni in Bulgaria e in Francia dove convinse Carlo il Calvo, già re dei franchi, a solennizzare il suo potere facendosi incoronare solennemente dal papa e addirittura il re di Bulgaria, Boris I, fu così entusiasta di questo diplomatico ecclesiastico da volerlo arcivescovo metropolita del suo regno. Purtroppo, allora era impossibile per il diritto canonico del tempo trasferire un vescovo dalla sua sede originaria per occuparne un altra. Il risultato di questa scelta fu che il regno di Bulgaria tornò sotto il Patriarcato di Costantinopoli e rimase per sempre nella sua storia nell'alveo ortodosso.
Nell'872, alla morte di Adriano II, il nostro era un papabile assai prossimo all'elezione al soglio pontificio, ma il conclave decise per l'arcidiacono Giovanni, allora filofrancese, mentre Formoso rappresentava la corrente filogermanica. Schierarsi così apertamente non era impresa priva di rischi e questo Formoso lo comprese assai bene, tanto da organizzare una fuga da Roma insieme ai suoi fedelissimi.
La situazione non era certo delle migliori per la loro incolumità. La fuga non piacque di certo al papa che gli intimò di tornare subito in città, previa l'immediata scomunica. Sei anni dopo da queste vicende il papa gli tolse finalmente la scomunica, ma con due gravi sanzioni: essere ridotto allo stato laicale e non tornare mai più a Roma. Dovette aspettare l'elezione di papa Martino I, avvenuta nel 882, perché fosse reintegrato nelle sue funzioni di vescovo con tutti gli onori e ciò venne confermato dai papi successori.
Uomo accorto e intelligente, considerata una delle figure più prestigiose della Chiesa per bontà e sapienza, il 14 settembre dell'892, alla soglia degli ottant'anni,aveva ormai 76 anni, fu eletto papa con il suo stesso nome di Formoso I. Un'elezione dovuta anche grazie al sostegno assai smaccato, qualcuno parlò anche di somme cospicue, da parte di Arnolfo di Carinzia, re germanico. Fin dall'inizio però la sua elezione venne contestata da molti giuristi per il fatto che proprio in considerazione del divieto canonico - evidenziato per la questione del regno di Bulgaria - essendo già vescovo di Porto non poteva esserlo anche di Roma. Questo elemento sarà fondamentale per il sacrilego "processo" a lui intentato dopo la sua morte dai suoi nemici. Ma, come vedremo, la questione non era tanto dottrinale quanto politica.
Torniamo all'inizio del suo pontificato dove, pur essendo filo-germanico, dovette fare il classico buon viso a cattivo gioco e accettare la protezione dell'allora potente duca di Spoleto, Guido II: l'unico che per forza di armi e per denaro erano in grado difendere il papato. Ma chi era il duca di Spoleto e perché aveva assunto così grande potere nell'Italia centrale?
I duchi di Spoleto
Il 21 febbraio 891 era stato incoronato imperatore a Roma da Stefano V come primo imperatore dei Franchi occidentali, pur non essendo direttamente discendente di Carlo Magno del quale in poco più di un secolo non esistevano più famigliari diretti. Figlio secondogenito di Guido I, già duca di Spoleto e di Itta, figlia di Sicone I di Benevento, faceva parte del potente lignaggio dei Guidoni imparentati alla larga con la dinastia Carolingia attraverso il matrimonio di Adelaide di Lombardia, figlia di Pipino d'Italia e futura nonna di Guido. Alla deposizione di Carlo il Grosso da parte di Arnolfo nel novembre dell'887 e per l'assenza di eredi legittimi, grazie al suo sangue carolingio, fu invitato nella Francia occidentale dal vescovo di Reims, e anche suo parente, perché reclamasse la corona di quel regno, cosa che accettò di buon grado. Come motto adottò "Renovatio Regni Francorum", mirando a stabilire evidentemente una nuova dinastia e unire tutto l'Impero franco d'Oriente e di Occidente sotto il suo potere. Gli mancava però la corona d'Italia e così, mal volentieri, il 30 aprile dell'892, Formoso lo incoronò anche imperatore degli italiani e, nella stessa cerimonia, incoronò come futuro imperatore designato, affinché non sorgessero nei tempi a venire problemi dinastici, il figlio dodicenne Lamberto presso la basilica di sant'Apollinare a Ravenna.
I Duchi di Spoleto conoscevano bene Formoso, quando in fuga da Roma, trovò ospitalità e amicizia presso di loro e questo fece sperare con la sua elezione al Soglio, di avere delle ricompense, ma Formoso per motivi non chiari non amò mai la cosiddetta "fazione italiana" e quanto prima li avrebbe sostituiti con i germanici alla prima occasione anche per non rischiare di lasciare lo Stato Pontificio nelle mani dei potenti duchi.
La discesa di Arnolfo germanico
Ma le cose in breve tempo possono cambiare, e così Formoso stanco di questa pressione dei spoletini decise di chiamare in aiuto Arnolfo per liberarsi una volta per tutte da questa situazione. L'imperatore tedesco discese in Italia e in breve costrinse all'obbedienza i principi dell'Italia centro-settentrionale, ma lasciando intatti i veri nemici del papa, gli spoletini. Intanto, il duca Guido II moriva tra il dicembre e il novembre dello stesso anno dell' 894, lasciando al figlio Lamberto II la cura del regno, forte dell' investitura ricevuta appena due anni prima dallo stesso papa Formoso.
Il giovane reclamò così la sua incoronazione a imperatore, e questa volta a Roma. Il papa ufficialmente riconfermò l'incoronazione dell'892, ma solo a parole, perché da buon diplomatico, in segreto, trattava già con Arnolfo che l'anno successivo attraversava nuovamente le Alpi per combattere definitivamente i nemici del papa e ridisegnare il potere nei domini vaticani. Lamberto, forte del suo esercito e della vicinanza a Roma, scoperto il tradimento di Formoso non esitò occupare Roma e imprigionare presso le segrete di Castel Sant'Angelo lo stesso papa. Giunto però a Roma, Arnolfo sbaragliò gli occupanti facendoli tornare in breve in Umbria e Formoso incoronò il suo salvatore nel febbraio dell'896.
Non contento della vittoria e per dimostrare al papa la propria amicizia, inseguì l'esercito fuggitivo fin quasi a Spoleto, ma qui ebbe un grave malore e fu costretto a tornare in patria, lasciando il papa in balia dei suoi avversari. A sottrarlo a una feroce vendetta sopravvenne la morte dopo una brevissima malattia. Il conclave elesse subito suo successore Bonifacio VI che regnò però per soli 10 giorni, gli succedette allora Stefano VI, acerrimo nemico di Formoso che proprio da quest'ultimo era stato però elevato a Vescovo di Anagni. Il nuovo papa evitò di assumere una posizione netta in favore dei duchi di Spoleto fintanto che non fu certo che Arnolfo avesse oltrepassato le Alpi. Fu solo allora che manifestò apertamente la sua sudditanza al duca Lamberto, re degli italiani, il quale, insieme alla madre Ageltrude, aveva sete di vendetta nei confronti di Papa Formoso anche adesso che era morto, ma ciò non placava di certo i loro animi e fu quindi deciso di fare il macabro "processo" al defunto pontefice, accennato all'inizio di questo racconto.
Il processo
Il papa, senza alcuna vergogna per l'atto che stava commettendo, istituì dunque un processo dandogli anche grande visibilità e citando il papa defunto a comparire davanti a siffatta assise per discolparsi. Il povero papa certo non poteva presentarsi alle udienze e, così, con tanto di citazione in giudizio venne aperta la sua tomba, preso ciò che rimaneva del corpo e portato per i piedi in Laterano nell'aula giudiziaria.
Vestito dei paramenti sacri, fu fatto anche sedere sul seggio pontificio con accanto addirittura un avvocato difensore, il quale, narrano le cronache, era più intimorito di stare accanto a un cadavere che degli atti processuali. Tutto l'episodio si svolse in una atmosfera a dir poco allucinante con fumigazioni ingenti di incenso per soffocare almeno in parte il puzzo che emanava il cadavere dell'imputato. Con grande veemenza il pubblico accusatore rinfacciò al papa defunto tutte le sue malefatte e al silenzio di questi prese spunto per affermare che proprio il suo tacere era dovuto all'accettazione delle sue colpe. Ma non potendolo incolpare di mancanze dottrinali o politiche, avendo il papa per queste ultime potere assoluto e insindacabile, lo si volle allora accusare di ambizione sfrenata avendo acconsentito di accettare di diventare papa e, dunque vescovo di Roma, in dispregio canonico che un vescovo titolare di una città non poteva essere trasferito a nuova sede.
Se Formoso avesse potuto parlare avrebbe ricordato al suo accusatore, Stefano VI, di essere anche lui vescovo di Anagni, anche se il suo accusatore per non essere a sua volta incolpato, affermò di ritenere nulla siffatta nomina perché ricevuta da un papa indegno, ma ancora non contento lo accusò, tra l'altro, di spergiuro per aver violato il giuramento di non tornare mai più a Roma fatto nelle mani di Giovanni VIII, dimenticando che il successore papa Marino I lo aveva perdonato e riammesso nella Chiesa con tutti gli incarichi.
Il processo proseguì su questo tipo di accuse e, constatato l'"assenso-silenzio" dell'imputato, la giuria presieduta dal papa in persona, ne decise la condanna. Il suo cadavere venne spogliato di ogni paludamento sacro e dopo averlo martoriato tagliandogli le tre dita della mano destra, con cui impartiva la benedizione, e gettato in una discarica nelle vicinanze del Tevere. Si incaricarono di questa ultima vergogna alcuni del popolino che presero a trascinare i resti del povero corpo tra le vie della città fino a gettarlo ormai a brandelli nel fiume.
La riabilitazione
I resti dello sfortunato papa furono ritrovati, almeno in parte, da un monaco, ma dovettero passare ancora alcuni anni perché i successori di Pietro riconoscessero tale sacrilegio e ridare degna sepoltura a Formoso. Di questo gesto di risarcimento morale fu papa Teodoro II, successore nel giro di poche settimane di Stefano VI e di Romano, vissuto solo 20 giorni, e a restituirgli la dignità postuma dopo tanta infamia. Fu proprio in questa occasione che si procedette a togliere dal diritto canonico il divieto per chi era già vescovo designato di non poter ottenere un altro vescovado. Inoltre, come in una nemesi storica, il papa volle condannare tutti coloro che ancora in vita erano stati attori in questo processo esecrabile. Molti di coloro che parteciparono si pentirono e chiesero perdono al papa, gli altri fuggirono in Toscana per non rinnegare un atto secondo loro di giustizia. In una solenne cerimonia in San Pietro il papa maledisse i fuggitivi che perirono in seguito tutti in gravi sventure.
Alla fine di questa storia una curiosità. Nessun papa che si succedette negli anni volle mai portare il nome di Formoso, quasi per scaramanzia, solo il cardinale veneziano Pietro Barbo alla nomina a pontefice espresse il desiderio di prendere il nome di Formoso II, per omaggiare questo suo predecessore, ma anche in questo caso fu sconsigliato dalla corte papale e così salì al Soglio pontificio con il nome di Paolo II nell'anno di grazia 1464.