Ero in classe seduta al mio banco. I banchi erano staccati l'uno dall'altro, l'aula sembrava un mare in tempesta e le persone parlottavano. Sulla cattedra c'erano strane attrezzature tecnologiche, davanti ad esse un chirurgo. Accanto al chirurgo la mia prof. d' inglese sorrideva: “Ok ragazzi, ora state attenti”, disse.
Il chirurgo cominciò a muovere le sue lamette sui sensori di un computer, e prima che potessi protestare mi accorsi che ero rimasta senza maglietta. La mia pelle, più nivea e morbida del solito, veniva incisa. Mi ricordai che in effetti dovevo subire un'operazione, ma diamine se m'avevano presa alla sprovvista. “Scusate... l'anestesia?” sussurrai.
Non mi sentirono e decisi di restare zitta, perché temevo che parlando più forte qualcosa dentro di me si sarebbe mosso, allora le lamette sarebbero scivolate nel mio cuore, o il mio cuore sarebbe scivolato fuori dal petto. Stetti a guardare i lembi della pelle che si schiudevano, rossi e sottili. Non mi faceva male, sentivo solo un po' freddo, e una distanza infinita aprirsi nel mio corpo. Alcuni organi rossi furono estratti dalle incisioni. Avevo la percezione di essere in bilico, ma tutto era perfetto: il sangue al posto di sbavare disegnava linee armoniche, belle, precise.
Giusto il tempo di ammirare i progressi della tecnica, e in un momento tutto era finito. Sulla mia pelle nuda rimanevano le righe rosse. “Ok ragazzi, ora dovete rispondere alle domande riguardo l'operazione, avete venti minuti,” disse la prof., e ci distribuì dei fogli con alcune domande in inglese.
Cominciai subito a scrivere perché avevamo solo venti minuti. E' facile, troppo facile, pensavo tra me e me, ma non dobbiamo permettere che la prof. lo capisca. Quando finii di rispondere mancava un minuto allo scadere del tempo: "Bene, ora ricontrollo", mi dissi. Ma scoprii, con indicibile orrore, di aver risposto a tutte le domande in italiano. Le linee sul mio corpo tremavano. Mi gettai sul foglio con impeto e disperazione: "Devo tradurre tutto! Tutto!" urlavo dentro di me mordendomi le labbra e contorcendomi sulla sedia.
La campanella suonò, e la prof. venne da me per prendere il foglio. “No! No!” strillavo mentre il compito mi veniva strappato dalle mani. Caddi a terra, e la pelle tenera tenera sembrava sul punto di riaprirsi. Con le lacrime agli occhi m'alzai in piedi, furente. Per un attimo restai interdetta, poi lanciai un grido: “Troia! Sei una troia!” il mio indice puntava la prof. d'inglese.
Ero confusa, perché l'urlo emesso dalle mie labbra mi giungeva alle orecchie ovattato e lontano. Vidi le facce dei miei compagni di classe storcersi; anche il chirurgo era strano, con la bocca spalancata come in una maschera di Halloween. La prof. si guardava attorno, sembrava incredula. La mia vita era finita. Provai a dire qualcosa: “Non ne posso più! Mi scusi, mi scusi. Non ho sentito cosa ho detto! Sarà l'operazione... eh?”. Intanto pensavo a com'era stata cattiva: sottopormi a un test subito dopo l'operazione non era carino. Ci fu un attimo di confusione, poi la prof. sorrise.
Ricordo che qualche tempo dopo mi trovavo in un grande centro commerciale. Con me c'erano alcuni vecchi compagni di classe, quindi volevo apparire figa. “Sara, ti ricordi di quando hai dato della troia alla prof. d'inglese?” sorrise Edoardo, un ragazzo dalla faccia piatta. “Sì,” risi. “Sei stata grande, ormai sei una leggenda. Dove hai trovato il coraggio?” “Ci sono nata,” alzai le spalle. Pensai per un attimo alle perfette linee rosse. C’era qualcosa di strano, qualcosa fuori posto. Ma al momento ero abbastanza contenta e avevo voglia di fare shopping in quel luogo liscio e perfetto. Avevano dimenticato di estrarre il mio cuore caldo, che batteva senza risposta sotto la pelle fredda.