Il 27 novembre scorso è improvvisamente morto Luca De Filippo, attore di rango, figlio del grande Eduardo, proprio mentre portava in tournée la commedia del padre Non ti pago. La prematura scomparsa ha riempito le pagine dei quotidiani nazionali e la rete ha proposto filmati di scene delle più famose commedie, soprattutto della famosissima Natale in casa Cupiello.
Tra le scene più ripetute e viste c'è quella dell’esordio della commedia, con i due attori, padre e figlio, che interpretano nella commedia rispettivamente Cupiello padre e Cupiello figlio, il vecchio Lucariello e il giovane Tommasino detto Nennillo. I due danno vita a un battibecco, diventato celebre, intorno al presepe in allestimento nella camera da letto. L’anziano capofamiglia è alle prime battute della costruzione del presepe, lavorando con solerzia e con entusiasmo a quello che dovrebbe rappresentare l’elemento gioioso e magico di coesione familiare e di unione, per la festa più bella dell’anno. Alla domanda “Ti piace il presepe?”, il dispettoso giovane risponde a muso duro “No, non mi piace”. Nessuno, del resto, in famiglia sembra condividere questa sua passione di sognatore. La tragedia, che sembra incombere e che già dal primo atto annuncia le sue note cupe allo spettatore, ancora avvinto dall’ilarità della farsa, si abbatterà ineluttabile e sarà tanto più dolorosa e dura quanto più in contrasto con la gioiosità magica del presepe finito e scintillante di luci al centro in camera da pranzo.
A Napoli al presepe veniva dedicato, fino a qualche decennio fa, una cura particolare, a volte maniacale, ben diversa dallo sbrigativo acquisto odierno di un presepe già bello e fatto, pastori compresi già incollati sulla scena. La realizzazione richiedeva tempi abbastanza lunghi e s’iniziava addirittura intorno alla festa dell'Immacolata, procedendo giorno per giorno, con alcune sospensioni dei lavori che consentivano alla labile colla di acqua farina adoperata di far presa. Le pause intervenivano per lo più tra la costruzione di una prima struttura e la modellatura dei rilievi montani; tra l'allestimento della stalla e la tinteggiatura con colori a tempera; tra la sistemazione dei ciuffi di muschio e il posizionamento delle statuine e delle luminarie.
E tutto diventava rito: la preparazione della colla, la mescola dei colori, la ricerca della scatola nella quale erano stati conservati i pastori, la verifica di quelli che si erano rotti nell'incauto imballaggio, la programmazione dell'acquisto di quelli che s’erano rotti, se si trattava di pezzi irrinunciabili come San Giuseppe, la Madonna, il bue e l'asinello; e, alla fine, il più bello dei riti, quello della disposizione delle statuine intorno alla capanna per completare la scena. E ognuno s’inventava la sua Betlemme, che di volta in volta era pianeggiante e desertica o montuosa e ombreggiata, con una stalla con tetto a spioventi di legno o ricavata in una grotta, in alta montagna innevata o, invece, addirittura vicina al mare.
La Betlemme dei nostri presepi era non di rado somigliante a un popoloso quartiere cittadino nostrano, con tipiche osterie, negozi popolatissimi di venditori e acquirenti, con rampe e scalinate come quelle delle nostre città collinari. Un presepe affollato il nostro. La folla non è quella dei palestinesi che sono andati nella città di David per il censimento e hanno affollato alberghi e locande, costringendo Maria e Giuseppe a riparare in una stalla. E' una folla, risvegliata dall'eccezionalità della stella che ha rischiarato la nottata, che non si limita a visitare Gesù bambino, ma festeggia e vive e si diverte; folla di gente che continua a lavorare in quest’affollatissima e improbabile Betlemme nei giorni tra il Natale e l’Epifania. E stanno insieme, spesso a stretto contatto di gomito, angeli e pastori, personaggi in abiti orientaleggianti con sfavillanti turbanti e poveri contadini in abiti dimessi, pescatori e zampognari, opulenti commercianti e mendicanti. Ogni regista del presepe di casa prepara la sua notte magica senza alcuna preoccupazione di realizzare scene di affascinante incongruenza storica, con l’inserimento perfino di personaggi contemporanei famosi. C'è non solo la magia, ma anche l'allegria della nascita. E ai personaggi storici come il bue e l'asinello, i re magi e i pastori se ne aggiungono altri di fantasia e di attualità.
Il modello è sempre, per lo più molto alla lontana, il presepe settecentesco napoletano riprodotto approssimativamente e dimessamente nelle nostre case con le limitate possibilità di spazio, di tempo, di soldi, sostituendo alla ricchezza di mezzi e alla genialità di grandi artisti l'inventiva e la fantasia, e all'opulenta arte del Settecento, l'abilità di arrangiarsi con quello che si può trovare in casa. Le statuine si sono fatte nel tempo sempre più economiche, di terracotta, di cartapesta, di plastica. I personaggi che le statuine interpretano sono rimasti nel tempo, perdendo, tuttavia, la loro originaria simbologia. Il trasportatore di botti non ha più niente a che vedere con la simbologia del vino, è solo lo scanzonato e paffuto Ciccibacco, forse un po' alticcio, che seduto sui barilotti caricati sul carretto, sprona, con ampio gesto delle braccia, il bue sottoposto al giogo. L'osteria, che in origine riecheggia il dovere e il piacere dell'ospitalità, è un solo posto dove allegri commensali pranzano, poco importa se per festeggiare l'evento o solo per godersela. Il pescatore, in origine d'anime, è divenuto un normale uomo con la lenza, che ha fatto disperare generazioni di “presepiari” domestici per realizzare uno specchio d'acqua.
E che dire di Benino? È il pastore che dorme saporitamente, all'aperto, e alla luce più sfavillante che si possa immaginare, nonostante il prodigio che gli accade intorno, sordo all’annuncio degli angeli. I venditori, che in origine hanno rappresentato con le loro mercanzie il susseguirsi dei mesi e delle stagioni, diventano semplicemente i rumorosi imbonitori di un mercato in piena attività in una piazza nell'ora di punta. Stupendi e spettacolari gli antichi presepi artistici presenti d’Italia, nelle chiese, nei musei, nelle sontuose collezioni private! Ma sarebbe assai interessante anche una rassegna dei presepi fatti in casa, alla buona, organizzati con un po' di sughero, di cartapesta e ciuffi di muschio, con ossature di cartone e carta di giornale modellata con colle di acqua e farina.
Mio padre era un gran mago del presepe. Noi piccoli avevamo il permesso solo di osservare e non di toccare, soprattutto nelle fasi di necessaria pausa della lavorazione; potevamo intervenire solo se c’era richiesto e nei modi militarmente stabiliti da mio padre. Era un bel grande presepe! Fatto di cartapesta con grotte su ben tre livelli del colore delle nostre colline appena fuori porta. Ogni anno il presepe, dopo un lungo letargo di undici mesi nello scantinato, risaliva al secondo piano la sera dell'Immacolata, per gli aggiusti, la riverniciatura, la riparazione delle piccole luci, la sistemazione dei pastori. Era bellissimo. L'amico Antonio dissentiva, dicendo che la Palestina era altra cosa, era quella del presepe fatto da suo padre: una lunga area pianeggiante ricavata da un foglio marroncino di carta vetrata, che imitava la sabbia, sulla quale c'era sola e desolata una capanna, verso la quale accorrevano i pastori.
Ma l'uno e l'altro presepe, pur diversissimi, avevano molto in comune. Tutt’e due erano festosi e magici. Tutt’e due erano storicamente assai discutibili e improbabili. Tutt’e due rappresentavano, sia pur diversamente, una terra sovranazionale, sovra etnica, sovra linguistica, felicemente fuori da qualunque panorama storico, politico o geografico e perciò sempre attuale e di tutti. Se quelle statuine, messe intorno alla grotta della Betlemme dei nostri presepi, per qualche prodigio momentaneo, avessero parlato, sarebbero venute fuori tutte le lingue del mondo. La bellezza di quei presepi costruiti alla buona, proprio come quello della commedia di De Filippo, stava proprio nel fatto che erano fatti in casa, anche con la collaborazione di noi piccoli. E se rovistando tra le cose di famiglia balza fuori una fotografia dei Natali di qualche decennio fa, ci sembra che le natività caserecce fossero assai più affascinanti di quelle straordinarie e strepitose dei grandi pittori di tutti i tempi.