" I tuoi germogli sono un giardino di melagrane,
con i frutti più squisiti,
alberi di cipro con nardo,
nardo e zafferano, cannella e cinnamomo
con ogni specie di alberi di incenso;
mirra e aloe
con tutti i migliori aromi ”
(Cantico dei Cantici, 4, 13-14)
Spezie, aromi, fragranze: è difficile dire se vi sia qualcosa di più efficace di tali volatili essenze odorose nell’accendere i luoghi dell’immaginario e aprire porte arcane nello spirito. Ne erano consapevoli anche i nostri antenati, i quali sulle sacre note aromatiche hanno saputo costruire il proprio simbolismo religioso, le liturgie, picchi altissimi di poesia.
Dalle cerimonie, ai templi, alle abitazioni private, le spezie avevano addomesticato i nasi degli antichi. Il loro uso era diffusissimo: si aggirava tra i meandri dei saperi religiosi, magici, medici, cosmetici, gastronomici. I greci e i romani le identificavano attraverso una terminologia articolata: “aròmata” erano i profumi in senso generico, “thumiàmata” gli aromi più adatti alla fumigazione, “theriacà” le droghe che rientravano nella composizione degli antidoti ai veleni, “condimenta” le spezie e le erbe utilizzate in cucina o per aromatizzare i vini. Ciò che più importa, questo genere di merce era considerata bene di lusso, indicatore di status sociale per chi ne deteneva certe quantità, che venivano tesaurizzate nei magazzini dei palazzi signorili al pari delle pietre preziose o dei tessuti più raffinati. Se nell’Antico Testamento Ezechia è rappresentato nell’atto di mostrare ai suoi nobili invitati la stanza del tesoro, dove sono riposti “l’argento, l’oro, gli aromi e l’olio fino” (Re, 20, 13), un’immagine straordinariamente simile si materializza dalle pagine dell’Odissea, dove l’opulenza della casata di Ulisse è descritta dall’elenco dei beni conservati nel palazzo, dove
...oro e bronzo giacevano a mucchi,
e vesti nei cofani, e molto olio fragrante:
e vasi di vino vecchio, dolce da bere. (Od II, 337-341)
Il termine latino “species”, da cui il nostro “spezie”, bene indicava l’accezione di merce “speciale”, di valore riconosciuto rispetto ad altra mercanzia generica. Non ci stupisce che ai tempi dell’imperatore Diocleziano un documento importante come l’Edictum de Maximis Pretiis ci confermi che alcuni tipi di spezie, a parità di peso, avevano un valore più alto delle pietre e dei metalli preziosi. E già due secoli prima Plinio il Vecchio rilevava come ogni anno, grazie ai commerci degli aromi, Cina, India e Arabia beneficiassero dalle casse dell’impero romano dell’introito di cifre da capogiro, stimate intorno ai 100 milioni di sesterzi!
Ed ecco che la storia di spezie e profumi viene ad intrecciarsi indissolubilmente con quella dell’esplorazione e di una geografia economica che potremmo definire di scala mondiale, se rapportata ai parametri delle conoscenze antiche. Le cosiddette vie degli aromi hanno infatti disegnato nel tempo affascinanti intrecci sull’intera mappa dell’universo geografico allora conosciuto: alla ricerca delle fragranze e del sapore esotico delle loro terre di provenienza si è liberato l’ingegno e lo spirito di scoperta dell’uomo antico, aprendosi un varco verso l’ignoto attraverso la ricerca di vie carovaniere e itinerari marittimi.
Il commercio del cinnamomo ha giocato un ruolo fondamentale nella costruzione di questa geografia economica dei profumi. Questa pianta della famiglia delle Lauracee, che gli antichi conoscevano nelle due varietà di cinnamomum (la nostra cannella), e cassia (una specie meno pregiata) insieme alla mirra e all’incenso era tra le spezie più ricercate e costose. Ricavata dalla corteccia secca del Cinnamomum zeylanicum, deve il nome di “cannella” alla caratteristica forma di canna con cui giungeva sui mercati. Nell’Esodo compare tra gli ingredienti prescritti da Dio a Mosè per la composizione dell’olio per l’unzione sacra. Nella tradizione classica, la sua origine divina e la natura solare l’hanno posta al centro delle complesse mitologie legate agli aromi, in particolare a quell’immaginario fortemente ancorato ad un’idea mitica che ricerca la natura e l’origine degli aromi in un paesaggio fantastico più che reale, e che ne lega i momenti della ricerca e della raccolta a pericoli quasi iniziatici. Il carattere rituale della raccolta del cinnamomo emerge dal resoconto riportatoci dallo storico Erodoto, che ci racconta come questo crescesse lungo le pendici di burroni custoditi da serpenti letali. In Arabia, invece, si tramandava come il cinnamomo venisse trasportato da enormi uccelli e da loro utilizzato per la costruzione dei nidi, che anche in questo caso erano collocati lungo luoghi scoscesi e difficilmente accessibili. I raccoglitori abbandonavano in prossimità di tali burroni grossi pezzi di carne tagliati dalle carcasse di animali morti; i rapaci se ne impossessavano e li portavano all’interno dei nidi: questi, incapaci di reggere il peso della preda, cedevano lasciando cadere al suolo i frammenti del cinnamomo, che solo in questo modo potevano essere recuperati.
Il profumo delicatamente odoroso e denso della cannella ne faceva anche una protagonista indiscussa di raffinate fragranze cosmetiche. La scia profumata della Via del Cinnamomo si snodava lungo un percorso misto di terra e di mare, lungo rotte dove commercianti e avventurieri sfidavano i pericoli di territori impervi, di mari dagli umori imprevedibili, degli imprevisti ignoti che erano la bellezza e il terrore di ogni viaggio antico. Si intrecciava con i percorsi di altre strade commerciali, con la via dell’Incenso e la via della Seta, che dalla Cina, passando per l’India e la Persia, raggiungeva Bisanzio, ricamando sulla mappa dell’Asia e del Medio Oriente percorsi, varianti, divagazioni, ricongiungimenti.
Sebbene Ceylon e le isole dell’Oceano Indiano fossero le terre originarie di questa spezia, è assai probabile che essa arrivasse fino ai porti del Mediterraneo partendo dai lidi asiatici dell’Indonesia e di Giava, attraverso rotte marittime che, facendo tappa in Madagascar, giungevano a Rhapta; da qui la merce proseguiva fino ai porti della Somalia, da dove veniva presa infine in carico dai mercanti dell’Arabia meridionale, che controllavano i traffici del Mar Rosso ed erano i fondamentali intermediari verso le coste del Mediterraneo. Vastissime distese marine venivano solcate sfruttando la forza di propulsione stagionale dei monsoni, che accompagnavano con venti propizi la rotta stabilita per poi invertire la propria direzione per i successivi sei mesi. E ancora miglia e miglia di strade si intrecciavano o coincidevano con i percorsi di altre merci, distanze che di volta in volta cammelli, dromedari, elefanti, asini o cavalli calcavano nel mutare di climi e paesaggi, in una lunga staffetta commerciale.
La convinzione di molti autori antichi secondo la quale il cinnamomo provenisse dall’Arabia riposa su un equivoco che confonde il produttore con l’emporio. L’Arabia, che godeva dell’appellativo Felix (Felice), era per l’immaginario antico la terra di tutte le spezie e delle più soavi fragranze; per Erodoto; “il solo paese che produca l’incenso, la mirra, la cassia, la cannella ed il laudano”. Ma Plinio, citando la costa della Trogloditica, antistante la penisola arabica, era ben consapevole che lì il cinnamomo arrivava dopo un viaggio per mare dalle molte peripezie. Il tutto, aggiunge, per alimentare la fedeltà delle donne di Roma alle mode cosmetiche!
Tale la scia
di profumo tu lasci
che pare che il profumiere Cosmo stia traslocando
e dai flaconi versati a terra
la cannella scorra via.
(Marziale, Epigrammi, III, 55)
In collaborazione con: www.abocamuseum.it