“Lunga vita a Clare Benedict” inizia così uno dei rari riferimenti che leggo a proposito di una donna nota per la sua attività di mecenate ancor più che per i suoi scritti letterari, poetici e i suoi viaggi in tutta Europa. Con quella frase un gruppo di giocatori di scacchi ringrazia la benevolenza di questa intellettuale americana che sostenne per ben 25 anni la Coppa Clare Benedict tenuta nelle sei più forti nazioni dell’Europa Occidentale.
La profonda affezione alla letteratura e all’arte fece sì che destinò buona parte del suo lauto patrimonio al sostegno degli scrittori indigenti. In Italia la sua memoria spezzata, vista l’assenza di una sola traduzione delle sue opere, saggi e romanzi, è emersa recentemente a Venezia dove nei depositi della biblioteca Marciana tornano alla luce dei lasciti che raccolgono prime edizioni di libri e oggetti di Lord Byron, lettere inedite della zia materna Constance Fenimore Wolsoon, anch’ella scrittrice, intima amica di Henry James.
La mostra Sorprese e inediti: da Byron a Constance Fenimore Woolson. La donazione Clare Rathbone Benedict alla Biblioteca Nazionale Marciana si è tenuta alla Biblioteca Marciana nel maggio 201. Tra coloro che hanno contribuito a fornire documenti risulta l'attuale proprietà di Villa Pisani (del Doge) di Vescovana, sita vicino a Padova, uno dei siti prediletti nella seconda metà dell’Ottocento da nobili, intellettuali di mezza Europa, e soprattutto scrittori anglosassoni. Il collegamento con Clare Benedict è presto fatto: il misterioso giardino che avvolge la Villa del Doge è noto per la sua collezione di tulipani voluta dall’ultima inglese che abitò la dimora, Evelina van Milligen, che vivrà lì quasi tutta la sua esistenza.
Il tulipano diventa emblema di quel luogo grazie alla passione di Evelina Contessa Pisani moglie dell’ultimo della casata patrizia veneziana. Il suo giardino islamico, in onore della sua città natale, Costantinopoli, era noto nella seconda metà del secolo XIX per contenere una grande collezione di tulipani. Posso supporre che la frequentazione della villa e della sua proprietaria da parte di Clare Benedict, che trascorre lunghi periodi in Italia con la zia Constance, possa averla indotta ad appassionarsi al tulipano tanto da volerne uno che portasse il suo nome Tulipa eichleri ‘Clare Benedict’.
Il tulipano che ricorda Clare ormai non è tra i più noti ma la sua provenienza è certa, le regioni caucasiche e iraniane. Il Tulipa eichleri è una specie botanica spontanea in quelle regioni da cui è stata ottenuta questa varietà, poi dedicata a Clare. Non è il classico tulipano coltivato, cosmopolita, che popola aiuole uniformi di giardini pubblici, ma con la forma di quelli selvatici a petali appuntiti, tipici dell’Iran e della Turchia. Di un rosso vivo con screziature gialle nella parte interna alla base del fiore, un occhio più chiaro quasi invisibile, raggiunge l’altezza di trenta centimetri e si diffonde spontaneamente con estese macchie fiorite in prati naturali.
Anna Pavord [1], esperta di questa grande famiglia botanica, le liliacee, scrive nel suo testo a proposito di questa specie : “has enormous, showy flowers […], a clear bright crimson-scarlet with a brilliant sheen on the inner surface of the petals.” La varietà a dedicata a Clare è stata introdotta nel 1956, cinque anni prima della sua morte. Molte le coincidenze tra la storia, i significati di questo fiore e alcune note biografiche della scrittrice. La fama del tulipano in Occidente è dovuta alla sua improvvisa apparizione quando l’ambasciatore degli Asburgo alla corte di Solimano il Magnifico, Ogier Ghislain de Busbecq, ne spedì una partita poco dopo il suo arrivo a Costantinopoli nel 1554. Con un nome piuttosto improprio essendo fatto derivare probabilmente dal termine turco dulbant, turbante, “è il fiore più giovane” a differenza della rosa che “è il più antico dei nostri fiori canonici”. E per di più è mortale al contrario delle rose, poiché di solito una linea genetica tende a estinguersi se non viene ripiantata perché i bulbi non fioriscono necessariamente ogni anno. In natura quindi le specie si incrociano, si riproducono, si modificano e si diffondono creando nuove specie mentre altre scompaiono.
Le specie più antiche e anche quelle dell’areale dell’Anatolia sono solitamente rosse, più raramente gialle o bianche. Ma la sua variabilità di forme e colori, portamento, altezza e colore delle foglie è notevole e questo fu apprezzato sia da api e insetti, che contribuiscono a incrociarne caratteri e forme, che dall’uomo che pensò di sfruttare questa possibilità per creare specie sempre più accattivanti e favorire i suoi interessi, tanto da far scoppiare in Olanda a metà del Seicento il “delirio collettivo” conosciuto anche come “tulipomania”.
Ma la storia inizia ben un secolo prima a Vienna, dove arrivò il primo tulipano. Il responsabile di tanto interesse sul tulipano sembra essere attribuito a un grande botanico, medico e umanista: il fiammingo Charles de l’Ecluse, meglio conosciuto come Carolus Clusius (1526-1609), grande luminare della storia della botanica e del giardinaggio. Clusius, direttore del secondo Orto botanico del mondo dopo l’Orto Botanico di Padova per data di fondazione, il 1587, spinge a Leida le collezioni di piante verso le specie ornamentali e in particolare le bulbose provenienti dal Medio-Oriente. I parterre arabescati dei giardini saranno invasi da questi fiori modificando lo stile del giardino del Nord Europa. Indusse così una tale fama sui tulipani in tutta l’Olanda al punto che venivano addirittura trafugati da parchi, giardini e dallo stesso Orto botanico per riprodurli e metterli in commercio, tanta era la richiesta di questo fiore.
Oltre all’orgoglio nazionale l’Olanda riuscì ad avere una tale varietà di forme e colori di questa specie, avendole propagate da seme, che il fiore divenne oggetto di culto e di sicuro non più alla portata di tutti. La botanica divenne il sogno nazionale, poeti, scrittori dedicarono fiumi di pagine a questo fiore che poi campeggiò nei più bei quadri dei maestri olandesi e fiamminghi; in particolare dal ‘600 in poi, al centro di nature morte con esemplari a petali fiammeggianti, screziati, esageratamente lunghi fino a raggiungere una punta sottile come un ago, metaforicamente associati alla forma di uno stiletto, come nell’ideale estetico del gusto ottomano. Il fenomeno della tulipomania scoppiato nella prima metà del Seicento in Olanda fu un vero e proprio terremoto per l’economia del paese quando, in base al classico meccanismo della domanda e dell’offerta, i bulbi di tulipano divennero il bene più prezioso esistente sul mercato nazionale. L’offerta non riusciva a soddisfare la crescente domanda a tal punto che, pur essendo un fiore assolutamente inutile – non aveva alcuna proprietà, a differenza di molti, se non la mera bellezza – e privo di profumo, tra il 1630 e 1640 le contrattazioni trovarono sede nel palazzo del mercante Van der Burse a Bruges. Dal cui nome deriverà il termine “Borsa” per indicare i luoghi di contrattazione di monete e titoli azionari.
La speculazione ebbe il suo termine ma da allora la fama del tulipano, come emblema della bellezza apollinea, non tramonterà più. Immortalati da autori neerlandesi come Jan Brueghel il Vecchio, Ambrosius Bosschaert, Roeland Savery e Jacques de Gheyn, all’interno di composizioni di fiori negli esemplari più raffinati e bizzarri, con screziature a volte di pura invenzione, dal rosso fiammante, al viola e al blu sul bianco candido, i tulipani entrarono nell’iconografia mentre il loro prezzo salì alle stelle quando giardinieri esperti tentarono di ottenere gli incroci più improbabili con tecniche sperimentali che a volte rasentavano la magia, non immaginando che queste bizzarie provenissero da un semplice virus che si era propagato proprio nel Seicento nei giardini di mezza Europa e che agiva sui meccanismi di colorazione dei preziosi bulbi. Si tentò di ottenere come avvenne con tutti i fiori, anche con la rosa, il colore nero, e sarà il primo tulipano a portare un nome femminile, The Queen of Night, sebbene l’effettiva colorazione sia un viola-marrone molto scuro, quello che nel romanzo di Alexandre Dumas per la sua rarità la città di Haarlem offre 100.000 fiorini.
Forse perché è privo dei profumi conturbanti che connotano i gelsomini, le rose, i gigli, le fresie, accomunati da una romantica fascinazione olfattiva e da portamenti dei fiori diversi e variabili anche in un'unica pianta, il tulipano trasmette certezza immutabile nelle forme e nell’indole. Una bellezza altera e distaccata che riporta all’ordine e alla logica austera. La simbologia del fiore attiene ai valori dell’amore, e secondo alcuni studiosi è emblema dell’amor divino che per essere alimentato ha necessità di luce, ma entra nell’iconografia soprattutto a rappresentare la vanitas, la caducità delle cose insieme ad altri classici simboli di memento mori.
Non ci è dato sapere esattamente cosa spinse Clare Benedict a farsi attribuire una specie di tulipano, è possibile fare solo delle congetture in relazione alla sua biografia da cui traggo l’immagine di una donna colta, autonoma, coraggiosa viaggiatrice, cosmopolita e sprovvista di attaccamenti terreni tanto da condurre una vita itinerante tra un albergo e l’altro. La sua generosità e il suo filantropismo ne fanno una mecenate della cultura, dell’arte e del sociale. Anche un giardino godette dei suoi generosi lasciti: il noto Cimitero Acattolico di Roma dove tra i grandi artisti e poeti giacciono anche Keats e Shelley, e dove nel 1961 furono sistemati i giardini con una nuova irrigazione e messi a dimora nuovi alberi. Il tulipano è estraneo all’utilitarismo, è bellezza della natura in sé, simbolo di costanza e sobrietà, rappresenta quanto di più essenziale e perituro un fiore può significare. In questo trovo il filo conduttore che riconduce a Clare, la sua benamata Austria, patria di adozione, dove forse per la prima volta arrivò da Oriente il tulipano, quella regione da lei conosciuta e vissuta nei suoi viaggi alla ricerca della quintessenza di paesaggi e umanità diverse. La storia di questo viaggio del fiore simbolo dei sultani, ripercorre gli itinerari della scrittrice anticonformista che viaggiando come donna sola e facoltosa, appartiene a quella piccola élite di scrittrici espatriate, non schierate con un’America emergente, ma fedeli alla vecchia Europa e alla sua cultura, alla sua arte e al suo paesaggio.
[1] Pavord A. Tulip. The story of a Flower that has made men mad, 2009, Bloomsbury Pub Plc, USA