In quest’ultimo mezzo secolo, studi storici e archeologici si sono susseguiti con ritmo costante e mi rendo conto come oggi si legga con maggiore chiarezza il periodo della nascita e dello sviluppo del comune di Monterotondo, sino al secolo XIV. Credo che un po’ di rinnovata attenzione al tema non sia pensiero peregrino.
La via Nomentana nel contesto della Diocesi di Nomentum nel secolo XI
Questa antichissima via entra nel territorio di pertinenza della diocesi di Nomentum, con approssimazione, nel luogo ove sorge il cimitero di S. Alessandro [1], prosegue sino a Capobianco [2], ove è emerso il vecchio basolato, e giunge alle Botteghe oscure [3]. Qui vi è il primo dei sacri edifici archipresbiteriali che documentano il percorso della via Nomentana, come tramandata dalle antiche fonti [4]:
- la Chiesa dei Ss. Primo e Feliciano. L’archeologo Eugenio Moscetti, in Annali dell’Associazione Nomentana di Storia e Archeologia, (n. 1. p. 25, quale supplemento “speciale territorio” della rivista “Mezzaluna”, a. XIII, n. 3, Novembre 1995), ha recensito l’opera La pianta dell’architetto Francesco Peperelli (1618), una fonte per la topografia della regione romana [5] di Susanna Passigli. Nella recensione al libro, Moscetti ha scritto: *L’autrice, attraverso un’analisi nei minimi particolari della carta, un’approfondita ricerca storico-topografica e un’attenta perlustrazione dei luoghi, riesce ad illustrare la percezione che l’autore aveva avuto, sia del passato che del presente, della terra da lui disegnata, scindendo tutti gli elementi da lui forniti. Apre il volume la presentazione filologica della pianta e del suo autore seguita da un capitolo dedicato alla percezione del territorio (orografia, idrografia, viabilità). Viene poi offerta al lettore la ricostruzione dell’assetto agricolo, economico, amministrativo e ecclesiastico del territorio dall’Alto al Basso Medioevo e l’analisi delle strutture insediative del Seicento. Concludono l’opera 72 schede delle vignette riportate nella pianta. Nelle schede, che comprendono anche notizie sulla cartografia precedente e la bibliografia dei siti esaminati, compaiono notizie di primo interesse o addirittura inedite, come ad esempio quella che la chiesa dei SS. Primo e Feliciano non è da identificare con quella di S. Maria in Via come si è creduto dopo il 1700, ma si trovava sull’opposto lato O della Nomentana, nella zona del Parco Trèntani ove è ubicato un deposito del comune di Mentana. Il corredo illustrativo del volume, dato il suo carattere prevalentemente topografico, è ricco di tavole; particolarmente utile per la consultazione risulta quella in cui i dati della carta del Peperelli sono riportati sulle moderne tavole IGM (fogli di Settecamini e Mentana). Questa notizia del sito della chiesa dei Santi Martiri nomentani è assolutamente di prima mano e interessante per la definizione del percorso della via Nomentana.
- La Chiesa di S. Antonio abate – Questa chiesa (fig. 2) fu una delle due archipresbiteriali antichissime di Mentana: l’altra era quella sopracitata dei Ss. Martiri Primo e Feliciano. Tali rimasero sin’oltre il secolo XV. Dalla preziosa relazione della visita pastorale del 1343, inoltre, pubblicata da Tomassetti-Biasiotti [6], risulta ancora che il vescovo di Sabina visitò Ecclesiam sancti Antonij de Numentana, quae est archipresbiterialis. Pure questa notizia è estremamente importante, sia per Mentana, sia per il percorso della via Nomentana, poiché conferma due dati storici di rilievo: che ancora nel 1343, cioè sei secoli dopo la nascita del borgo, ancora la via Nomentana rimaneva sul tragitto antico; che i signori del castello non si erano adoperati affinché la nuova chiesa di S. Nicola, già edificata sin dal secolo XII, fosse stata elevata a dignità parrocchiale, né il vescovo aveva avuto interesse a che ciò fosse accaduto.
- La Catacomba di S. Restituto - Ancora un sacro edificio, edificato in un terreno posto lungo il tragitto della via Nomentana antica [7]. Pier Nicola Pagliara tramandò la chiesa di S. Restituto “come la più antica di Monterotondo, sorta sul luogo di sepoltura di un martire, il cui sito è segnato ancora in piante ottocentesche” [8]. Sulla querelle ‘percorso terminale della via Nomentana verso la via Salaria’ ho scritto molto. Cito qui, ad abundantiam, solo una parte della ‘nota 22’ del saggio di Vincenzo Fiocchi Nicolai [9] , notando, per correttezza scientifica, che sull’argomento è contro questa mia ipotesi l’intera scuola dell’Area Ricerca CNR, Sovrintendenza, di via Salaria presso Monterotondo: La via Nomentana si ritiene oggi ricalcasse, dopo Nomentum, un duplice percorso: uno più occidentale, che raggiungeva la Salaria a Casa Cotta, l’altro, più orientale, che vi si univa a Fabbrica Palmieri [10]. […] Un’ulteriore ipotesi, sostenuta da S. G. Vicario, identifica invece il proseguimento della Nomentana, a nord di Nomentum, proprio con la strada antica che conduceva alla zona di Monterotondo; di qui essa avrebbe poi raggiunto la Salaria sul percorso della via di S. Martino. Qualora questa ipotesi cogliesse nel segno, è chiaro che la localizzazione delle fonti paleocristiane del santuario di S. Restituto «in via Nomentana» andrebbe presa in senso letterale (e questo tracciato si dovrebbe ritenere costituisse, all’epoca della redazione della passio S. Restituti, un terzo ramo della strada romana). Specifico che il percorso da me proposto, rispetta alla lettera quanto tramandò Livio [11]: La via Nomentana era la strada che univa Nomentum con Roma per un percorso di poco più di 14 miglia e quindi proseguiva per altre tre miglia fino a unirsi con la Salaria presso Eretum [12].
- La Chiesa di Santa Maria (detta pure di Monterotondo, o Grande, oggi con il titolo di Santa Maria delle Grazie in Sant’Ilario). È posta sul luogo inteso oggi S. Martino, nel percorso da me ipotizzato come tratto finale della via Nomentana, verso la confluenza nella via Salaria. Nel 1081 il territorio è ricordato come campus confermato all’abbazia di S. Paolo ma in un contesto agrario “costellato da un reticolo di edifici religiosi. […] Lontano dalla piana del Tevere e degli stagni di fondovalle era un susseguirsi quasi continuo di castelli e chiese poste in monticelli che una quasi vedeva l’altra [13]”. La chiesa di Santa Maria nel secolo XI fu una di queste ed era investita pure del titolo archipresbiteriale. Nel XII secolo, pur essendo il sacro edificio extra moenia, ebbe, “dipendenti”, due cappelle intra moenia, cioè edificate nella cinta muraria del primo nucleo della nascente Monterotondo, inteso di monte delle Ginestre: le cappelle di S. Stefano protomartire e di S. Nicola.
Tra il secolo XI e il XIII nasce sul “monte delle Ginestre” il primo nucleo di Monterotondo cinto da mura
Dall’anno Mille sino “al 1286 - quando un castrum [14] e una rocca di Monte Rotondo figurano fra i beni che gli eredi di Matteo Rosso Orsini si spartiscono - le scarse testimonianze sulle vicende del paese si trovano quasi esclusivamente in fonti diplomatiche” [15]. Storicamente tuttavia prese corpo un fatto nuovo: in quei due secoli, sul colle detto delle Ginestre (fig. 1), si creò un abitato cinto da mura (fig. 3). Pagliara notò che “in questo periodo l’abitato principale è di scarsa consistenza, poiché parte della popolazione risiede in villaggi sparsi nella campagna” [16]. Interessante inoltre la notizia che si ricava dall’elenco delle chiese della Sabina del 1343, il quale divide in due parti ben distinte le chiese del castrum montis rotundi: quelle infrascritte alla chiesa di S. Colomba, ancora archipresbiteriale, rappresentate dal gran numero di chiese o cappelle sparse per le terre circostanti; quelle pertinenti alla archipresbiteriale chiesa di Santa Maria di Monterotondo, extra moenia, alla quale erano pertinenti le cappelle di S. Stefano e di S. Nicola, prossime alle due porte della cinta muraria e intra moenia.
L’insediamento di ‘monte delle Ginestre’ ha un ulteriore documento in Domenico Pichi [17], il quale scrive:
«Non vi è ne anco una piazza capace dentro la terra et una strada serve per piazza e così è chiamata, ma fuora della Porta vicino alla piazza vi è un lu[o]go che lo chiamano piazza nova» (616, fasc. 55, cap. VI). In realtà non doveva trattarsi solo di una strada se Ghisleri distingue la via da Porta Romana a San Nicola dalla piazza che ne è attraversata (605, f. 589r); questa era a un tiro di sasso dalla Porta Romana (f. 587r), su suoi lati erano il palazzo del Comune e Santo Stefano: «nella piazza di S. Stefano vi sta a canto alla chiesa una casotta con orologgio e sotto con l’Archivio della Communità» (f. 589r e 604, f. 304v). La piazza davanti alla vecchia sede del comune probabilmente aveva subito poche modifiche fino a quando è stata registrata nel Catasto gregoriano».
Tutto questo ci dice che - ancora nel 1343, malgrado ‘Monterotondo’ fosse integrale giurisdizione dei signori Orsini - la vita della comunità, politica e religiosa, si svolgeva esclusivamente nel primitivo insediamento di ‘monte delle Ginestre’; ci dice che fra le sue mura di cinta vi erano le due cappelle infrascritte alla chiesa di S. Maria extra moenia, quella di S. Nicola e quella di S. Stefano, con la sua epigrafe dedicatoria del 1152; ma ci dice ancora che alla stessa data sul ‘Monte Rotondo’ svettava solo la rocca. Altra notizia importante è che ancora nel 1343 non era stata edificata la chiesa di S. Ilario, divenuta successivamente parrocchiale del nucleo originario di Monterotondo, quello delle Ginestre, dopo l’inizio dell’ampliamento del centro abitato, avvenuto con l’edificazione del castello Orsini che inglobò la rocca [18]. “La mancanza di una piazza capace per tenervi mercato e adunanze sarà uno dei motivi per cui nel Seicento si amplieranno le mura per includere un luogo già ammattonato fuori Porta Romana, (fig. 6) corrispondente all’attuale piazza dei Leoni” [19].
Monterotondo dal secolo XIV al XV: Chiesa di Santa Maria Maddalena antica
Il saggio redatto da Pier Nicola Pagliara è stato un pilastro per la storia comunale di Monterotondo, purtroppo poco letto o letto male [20]. Il Pagliara scrisse infatti, per chiarire al meglio un periodo poco documentato: La chiesa di Santa Maria Maddalena, che conclude una schiera di case nell’estremità più vicina al castello, appare per posizione e dimensioni - se non per funzioni - quasi una cappella di quest’ultimo, per quanto ne sia al di fuori. Anch’essa del tutto insufficiente per le riunioni della comunità nonostante le fosse stata trasferita la funzione di archipresbiteriale [21], sarà sostituita dalla cattedrale costruita dai Barberini. Adibita quindi a granaio e infine ad abitazione, è stata riassorbita dal tessuto edilizio tanto che se ne era quasi perso il ricordo nonostante restino in piedi i muri perimetrali. Insufficiente la piazza, radunati intorno alla rocca gli edifici degli istituti religioso e giudiziario (poiché anche le carceri e la sede del governatore erano in una sua propaggine) questa tende a configurarsi come la sede di un potere assolutamente preminente. La preminenza del castello, in veduta frontale da questa strada, doveva apparire ben maggiore finché il confronto avveniva con schiere omogenee di case basse e prima che i Barberini ne demolissero l’ala rivolta verso il centro del paese.L’altro polo, formato dal Palazzo del Comune, dall’attigua chiesa di Santo Stefano e dalla piazzetta mercantile antistante rispecchiava nelle dimensioni e nell’ubicazione sul colle inferiore la subordinazione al primo (fig. 4). Modificato in seguito il palazzo del Comune e demolita la chiesa per ampliare la piazza, solo la planimetria del Catasto gregoriano consente di immaginarne l’aspetto primitivo.
Quanto si sa della chiesa di Santa Maria Maddalena antica [22] ci viene da Antonio Ghisleri, medico degli Orsini [23], dal Pichi e dal Pazzaglia. Sappiamo che la chiesa fu edificata dopo il 1343, presumibilmente durante l’ampliamento Orsini, quindi intorno alla metà del secolo XIV; che fu edificata di fronte alla dimora dei signori Orsini; che assunse la funzione di parrocchia dopo il 1449, subentrando in tale funzione alla chiesa di S. Maria f 1. m., rimasta “sine cura”; che fu costituita da un’unica aula, di circa 20 metri per 10, nonché dotata di un profondo coro e di alcune cappelle; che ebbe un òculo in facciata e, nel fianco verso il castello, due finestre “all’antica" [24]. Ne arredavano l’interno: sull’altare maggiore un quadro raffigurante la S. Maria Maddalena della Buffala (?) del cavalier d’Arpino, e nelle cappelle un’immagine della Vergine di Scipione Pulzone e quadri dei Ss. Pietro e Paolo e del Salvatore [25].
Un documento di Alessandro VI del 1503 accenna ad inadempienze del card. Battista Orsini relative alla erezione di S. Maria Maddalena antica in collegiata; al tempo la chiesa ebbe un arciprete - la cui elezione, nel 1520, con bolla di Leone X, era di pertinenza del signore del castello con un appannaggio di 300 scudi -, quattro canonici poveri, con lo stipendio di 25 scudi e due cappellani [26]. Nel secolo XVII la chiesa, divenuta insufficiente per le necessità della comunità, fu alienata e sostituita con l’attuale duomo; dell’antico edificio sacro andò quasi tutto disperso; è pervenuto e conservato sino ai nostri giorni solo: la bella statua lignea della Madonna della Purità, posta sull’altare del transetto di sinistra, alla quale purtroppo mani sacrileghe hanno asportato il Bambino poggiato sul braccio destro [27]; una delle due finestre “all’antica”: una bifora, oggi murata nell’edificio di civile abitazione costruito al posto della chiesa; la lapide funeraria posta a me¬moria del fanciullo Cornelio Vannicelli, morto all’età di nove anni nel 1494 e attualmente nel duomo barberiniano, nonché alcune pietre tombali orsiniane, poco leggibili e poste nei suoi depositi. Il palazzetto Ramarini occupò l’area della vecchia chiesa: restò in situ ancora, da me visto e murato all’interno, un frammento di epigrafe funeraria quadrilatera irregolare, in cui si leggeva: … ILIVSSE …/ … AX EX TEST … / … AEM … e il grande arco che, forse, era quello delimitante il sancta sanctorum. La soppressione della vecchia chiesa avvenne con breve di Urbano VIII, in data 10 maggio 1638 con il quale breve, contestualmente, venne eretta la nuova collegiata.
Una lastra marmorea e due epigrafi
Il contesto storico della nascita di Monterotondo, in assenza di prove d’archivio, nelle mie precedenti opere lo ipotizzai sul filo del buonsenso, sfruttando alcune testimonianze storiche sia dirette che indirette; e poiché a tale quadro non mi sembra di dovere apportare sostanziali variazioni e - confortato dagli studi di Pagliara, passati al vaglio da nomi come Giovanni Previtali e Federico Zeri, e dall’epigrafe ora conservata nel Duomo - a quelle coerentemente rimando [28]: qui mi limiterò a stimolare la curiosità degli studiosi descrivendo proprio questa lastra marmorea.
Il primo motivo del contendere, storicamente, fu quello interpretativo dell’epigrafe metrica conservata nella sacrestia del duomo che, a mio parere, è il documento fondamentale per la storia del comune (fig. 5): rappresenta infatti l’atto di consacrazione della cappella di S. Stefano, edificata dalle fondamenta entro le mura di cinta del nuovo insediamento e dal vescovo di Sabina pro tempore infrascritta alla chiesa archipresbiteriale di S. Maria (attenzione: “Santa Maria” extra moenia, quella edificata su via S. Martino!). Il percorso bimillenario di questa lastra marmorea è davvero mitico: fu ritrovata e conservata nella chiesa archipresbiteriale di Santa Colomba, “una santa del III secolo il cui culto è poco comune” [29]: da questa chiesa “dipendeva un ricco gruppo di chiese” [30]; fu incisa nel verso nel 1152 (a mio parere, per la cappella di S. Stefano) [31]; giunse, non si sa come, nel Duomo barberiniano di Monterotondo [32]; qui fu smurata nel corso dei lavori di ristrutturazione del Duomo (1992-93); con somma meraviglia, per la prima volta, si scoprì che la tavola marmorea era incisa su tutti e due i versi: l’iscrizione più antica era nota al Corpus Inscriptionum Latinarum, vol. XIV, n. 3940 e studiata e integrata, fra gli altri, dal prof. Silvio Panciera dell’Università “La Sapienza” di Roma [33].
Il recto dell’epigrafe è metrica, fu vista e letta solamente dal Doni, data per dispersa, e da me pubblicata [34]. È metrica, ripresa dal Doni e tramandata dal Muratori; ancora con riferimento al Doni, la riprese e la inserì nel C. I. L. Herman Dessau, in Iscrizioni del Lazio, vol. XIV, Berlino 1887, n° 3940 [35]. Al termine della trattazione di questo argomento non può che sconcertarmi quanto scritto, con leggerezza e forse con un pizzico di presunzione, dal Marchetti [36]:
“ … Si passa così alla seconda fase, quella che abbiamo chiamata dell’incastellamento, con cui si fissa un nuovo rapporto di occupazione del territorio e degli spazi precedentemente coltivati. Di questa seconda fase è testimonianza palpitante la lapide murata nella attuale sacrestia del duomo. Forse la lapide più importante che ci è restata della storia di Monterotondo. Essa, oltre che interessante cimelio di latino medioevale, riveste una importanza eccezionale sotto l’aspetto storico. In essa viene riportata una data: 15 agosto 1152. Una pietra miliare nella storia di Monterotondo. Con versi latini di un sapo¬re ormai decadente, ci viene trasmesso un avvenimento importante: la consacrazione della prima chiesa di Monterotondo, la chiesa di S. Maria Maddalena [37] e con essa l’avvenuto completamento di quel graduale processo di trasformazione socio-religiosa iniziato attorno all’anno mille […]. L’importanza, quindi, della costruzione e consacrazione della chiesa di S. Maria Maddalena supera i confini della cerimonia divenendo storia nella vita di Monterotondo. È in questo momento, infatti, che i cittadini di Monterotondo prendono coscienza di essersi costituiti in comunità stabile e avvertono l’urgenza di darsi una strutturazione definitiva sia a livello civile che religioso. Il successivo sviluppo urbanistico di Monterotondo è strettamente legato a questo binomio socio-religioso. Possiamo individuare con chiarezza tre grandi fasce di sviluppo: a) Il primo nucleo è quello sorto sulla sommità del ‘mons rotundus’. Pochi gli elementi: la rocca, la chiesa, il borgo e modeste mura di cinta. È la fascia urbana che possiamo localizzare nel sito ove è posto l’attuale palazzo comunale e nelle immediate adiacenze. Rarissimi gli elementi ancora conservati, anche se di notevole interesse; b) Quando col passare degli anni, l’incremento demografico rende angusto il primo centro abitato, nasce la seconda fascia urbana da ubicare lungo la via Mattonata. La realizzazione dei due poli del binomio, quello civile, porta alla necessità di realizzare anche quello religioso: viene costruita la chiesa di S. Stefano protomartire nei pressi della piazza dell’Orologio. Siamo nel secolo XVI...”. Una verità storica sconvolta, questa tramandata dal Marchetti, che mi duole dovere rimarcare ma che reputo doveroso per rispetto alla comunità per la quale mi prodigai pure professionalmente [38].
Note:
[1] Nel V secolo la diocesi comprendeva pure Ficulea (lettera di Innocenzo I al vescovo Ursus [405, Ep. XL, ad Florentinum, P.L. t. XX, col. 606]; il santuario di S. Alessandro fu venerato fino al IX secolo e abbandonato dopo la traslazione delle reliquie sotto il pontificato di Pasquale I (823); fu ritrovato nel 1854 (O Marrucchi, Le catacombe romane, Roma 1933, p. 412 sgg. Cfr. pure L. Chiumenti, F. Bilancia, La campagna romana antica. Medievale e moderna, vol. VI, ed. Banco Roma, 1977, pp. 202-205; P. Fumasoni Biondi, Ficulea e la basilica di S. Alessandro, Roma, 1943, p. 279 sgg; R. Lanciani, Storia degli scavi, IV, p. 202; G. Belvederi, La basilica e il cimitero di S. Alessandro al VII miglio sulla via Nomentana, Rivista di archeologia cristiana, 1888, p. 19 sgg; Vicario, S.G., La Nomentana, strada di Roma per la bassa Sabina, Rotary Club Monterotondo Mentana, 1994, pp. 28-30.
[2] Vicario, Riaffiora un tratto della via Nomentana, Il Tempo, 09 dic. 1978, p. 9 - È stato sempre un cruccio quello di assistere impotenti all’annientamento dei documenti archeologici dell’hinterland nomentano. E’ di appena una settimana fa la constatazione che il bel mitreo (così fu interpretato il reperto da Zeri, esaminando le mie foto del tempo), trasformato in chiesa cristiana nel secolo XI con affreschi rupestri - da me identificato qualche anno addietro al km. 19 della via Palombarese, trecento metri circa oltre l’inizio, da questa via, della via Tacito della nuova toponomastica, e regolarmente segnalata a chi di competenza, nella veste di ispettore onorario alle Antichità per Monterotondo e Mentana (Vicario, Alla scoperta dei reperti, Il Tempo, 10 apr. 1976, p. 10) - è stato completamente distrutto. Con atto vandalico inqualificabile, gli stessi affreschi sono stati letteralmente martellati e asportati. Intanto un altro ritrovamento è balzato agli onori della cronaca: è un tratto di basolato della via Nomentana, venuto alla luce tra il mercoledì e il giovedì della scorsa settimana, azzannato dalla ruspa nel corso di lavori per la posa di un cavo lungo il suo margine sinistro, al km. 15: esattamente alla biforcazione fra la via Nomentana e la Palombarese, dinanzi al Casale di Capobianco. È ovvio che non s’è neppure prospettata l’idea di sospendere i lavori, per consentire l’accertamento della consistenza del ritrovamento: già è tanto che i basoli siano stati scavati e poggiati ai margini della via... Non si sa la fine che farà questa massa di basoli escissi dalla loro antichissima sede; abbiamo tuttavia provveduto alle segnalazioni del caso. Qui interessa ricordare invece come questo ritrovamento venga ancora a confermare la teoria sulla sede della Via Nomentana pressappoco rimasta invariata rispetto a quella attuale, sino al km. 17; è variato invece l’inizio della Palombarese, che in origine si dipartiva dalla via Nomentana, all’altezza dell’attuale quartiere di S. Basilio, nonché alcuni tratti del percorso della stessa Nomentana, tra il km 17 e 20.
[3] Solitamente il nome viene dato a locali commerciali ottenuti dal riuso di antichi manufatti in abbandono: chi per primo parlò di Botteghe oscure si sarà riferito ai ruderi della chiesa dei santi Primo e Feliciano?
[4] Fonti citate e confrontate in Vicario, S. G., Monterotondo in Sabina, ed. La Rondine, Roma 1970, pp. 20-35.
[5] Miscellanea della Società Romana di Storia Patria, XXXI, Roma 1989, pp. 1-156, figg. 29, tavv. 3.
[6] Tomassetti, G., Biasiotti, G., La diocesi di Sabina, Roma 1909, p. 92.
[7] Una Passio narra che Restituto, martirizzato in Roma, fu portato da certa Giusta nella sua terra, sita in via Nomentana, dopo che ella ne ebbe prevenuto il vescovo Stefano, perché il podere era nei suoi domini” (Vicario, Monterotondo in Sabina, cit., p. 31).
[8] Pagliara, Pier Nicola, Monterotondo, Storia dell’arte italiana, vol. 8, Inchieste su centri minori, Torino 1980, p. 238, 8n.
[9] Fiocchi Nicolai, Vincenzo, La Catacomba di S. Restituto a Monterotondo (Roma): un monumento recentemente ritrovato, Rivista di Archeologia Cristiana, a. LXXIV, n. 1, Città del Vaticano, 1998, pp. 63-92.
[10] S. G. Vicario, Monterotondo in Sabina, cit., pp. 23-24; Idem, La Nomentana, cit., p. 120. Posto così il quesito, non posso esimermi dal rimandare il lettore al mio: Vicario, Eretum a Casacotta? Una incertissima certezza, Ed. Zuccarello, S. Agata di Militello 2010.
[11] T. Livio, III, 52: se questo cosiddetto “terzo ramo della strada romana” fosse confermato come la propaggine terminale della via Nomentana, le altre due ipotesi perderebbero totalmente la loro consistenza. Decideranno i posteri.
[12] Secondo la sequenza degli studi da me fin qui condotti, rimango dell’idea che Eretum vada ricercata nei paraggi della confluenza – ancora attuale – della via Nomentana nella via Salaria.
[13] Pagliara, cit., p. 235.
[14] Abitato cinto da mura.
[15] Pagliara, cit., p. 235.
[16] Ivi.
[17] Dall’Archivio Barberini, il Pagliara riporta a nota 4 (p. 237) notizie ricavate dalla descrizione della terra di Monterotondo fatta da “da Domenico Pichi di Monterotondo, vescovo di Amelia (riprese e citate. Pichi 604 e 616), riguardanti questo primo momento dell’insediamento.
[18] Pagliara, cit., p. 242: una pagina attenta e rigorosa, questa, rivolta allo studio dell’insediamento antico e ai primi sviluppi del nuovo ampliamento Orsini. Credo sia da rivedere la reprimenda, diretta a Pier Nicola Pagliara e allo scrivente, con “nota 53” del testo di Bruno Marchetti in “Monterotondo”, Grottaferrata 1981, p. 68 (supplemento al n. 61, settembre 1981, di “Monterotondo oggi, documenti”). È da rivedere soprattutto, dal Marchetti, la sequenza dello sviluppo storico del comune e delle chiese, di Santa Maria Maddalena in particolare.
[19] Pagliara, cit., p. 245.
[20] Redatto negli anni 1978-80 e pubblicato nel 1980, studiato come meritava, avrebbe evitato di incorrere in errori capitali nella redazione del testo di Bruno Marchetti, sopra citato.
[21] Vicario, La Nomentana, strada ... , cit., p. 144, riporta: “Prima del 1449 la Chiesa di S. Maria extra muros era ormai senza cura di parrocchia, sostituita in tale funzione dalla chiesa di S. Maria Maddalena antica, da poco edificata nell’area dell’espansione orsiniana della metà del secolo XIV. Però Nicolò V, al fine di impedire il deperimento dell’antichissima chiesa, nel 1449 concesse indulgenze per recuperare fondi necessari per la costruzione di un convento accanto alla chiesa.
[22] Id., p. 147.
[23] AB, III, 604 (copia con varianti 605) ff. 295-340v, in Pagliara, p. 237, 4n.
[24] Vedi Vicario, La Nomentana, strada …, cit., fig. 15 a p. 154).
[25] L’immagine del Salvatore, nel Seicento, alla vigilia dell’Assunta, portata in processione, veniva fatta incontrare con quella della Madonna che si venerava nella chiesa di S. Maria Grande (oggi delle Grazie).
[26] Bruno Marchetti, cit., p. 26.
[27] Vicario, Furto sacrilego nel Duomo di Monterotondo, Mezzaluna, a. VI, n.1, gennaio 1988, p. 14.
[28] Oltre alle fonti fin qui citate, cfr., ancora da me redatte: Quattro epigrafi metriche nell’estremo lembo della bassa Sabina, pp. 71-75 e Alle origini di Monterotondo, Fascina, pp. 75-81; Epigrafe del XII secolo in Monterotondo, Lazio ieri e oggi, a. XI, n. 5, maggio 1975, p 283, 2n; I misteri di due epigrafi, Monterotondo oggi, n. 76, nov.- dic. 1984, pp. 10-11, La Nomentana, strada …, cit., p. 115, 4n.
[29] Pagliara, cit., p. 238.
[30] Ibid.
[31] L’epigrafe sciolta è in Fascina, p. 75-81.
[32] Al primo apparire del verso della lapide, mi feci sostenere nell’interpretazione dai sommi cultori dell’epigrafia del tempo che mi onoravano della loro amicizia: al termine di un convivio in casa mia, la esaminai con il supporto dei prof. Guido Barbieri, Scevola Mariotti, Francesco Della Corte e Augusto Campana.
[33] Vicario, La Nomentana, strada …, cit., p. 115, 4n.
[34] Pubblicata prima in Lazio ieri e oggi (a. XX, n. 10, [1984], p. 302) e poi in Fascina (1991, p. 72, § 3). L’epigrafe interessò inoltre Pieter Burman (1714-1778) che la inserì nella sua Anthologia Veterum Latinorum Epigrammatum.
[35] L’epigrafe sciolta (Franz Bücheler) è in Vicario, La Nomentana, strada …, cit., p. 122 e 4n.
[36] Marchetti, cit., pp. 12-14.
[37] Questa chiesa fu invece edificata intorno alla metà del secolo XIV!
[38] Il danno per le giovani generazioni non è stato di poco conto. Infatti lo studente Vittorio Antonini del IV Liceo Scientifico Peano di Monterotondo, al quale è stato meritatamente assegnato il Premio Andrea Durantini 2014 (Annali 2013-2014, ANSA onlus), ritenendo autorevole il testo del Marchetti, iniziando a trattare del Palazzo Ducale e delle Mura, a p. 6, ha scritto: “Credo, a tal proposito che sia opportuno iniziare col parlare del Palazzo Ducale, poiché ci troviamo nel cuore della prima fascia urbana realizzata nella fase di incastellamento intorno all’XI secolo” (Marchetti, Monterotondo, cit., p. 36). E’ l’unico neo, incolpevole, di un lavoro rigoroso e coerente e giustamente premiato.