Giace in legno di rosa il mio amore. Giace riposto nell’armadio e sta per essere indossato. Attorno a me un silenzio contemplativo. Templare, laudativo. Solenne più che mai, raro come un pensiero bianco, quando l’ora si arresta e l’arsura campeggia sui campi screpolati dalla canicola che sbava e che sbaraglia, dentro al precipitato degli eventi straordinari. E’ uno di quei silenzi che precedono il cataclisma, formicolante in ogni dove. Anche gli angeli tacciono e l’andamento del bosco brulicante si acquatta accovacciato prima di farmi compiere un balzo illimitato. Sono caverna magica, luogo consacrato, posto in maestà. Sono atmosfera ricercatissima. Il movimento è interiore, fa da dottrina e contrappasso spostando il piano del prodigio in ciò che mulinella dalle mie viscere.
Si stenta a crederlo, come se gli sparvieri comparissero a branchi sui presepi colmando di traumi il mondo. Il mistero si scrive nuovamente, senza riserve di volta in volta. Il copione non cambia, la placenta è tardiva. Come un buon rampicante pronto a raspare il rapinoso avvento non è un fuggiasco in me ma il fuoco che si incammina nel facimento. Luminarie di grembo nel golfo delle mani, divino aggrappamento al mare delle nuvole e la fatica dello stare a terra con le radici mentre sono libellula nel cuore, comandamento con la luce attorno, falce di luna. Sono un fauno destro e sinistro, non accigliato. Un fauno volante al centro esatto della casa del fauno. Una Ninfa immobile.
Sì lo so, assomiglio alla Sant'Anna Metterza di Masolino e di Masaccio, imponente più di una trinità. E mi inserisco nel solco delle grandi cattedrali, insieme alla gloria vulnerabile. Ma la mia stirpe è più antica, il mio sangue è più antico, le mie ossa, la mia discendenza, molto di più. Sono totemica, siderale, bizantina di catechesi, ierofanica e ierofantica, annuncio il fluire celebrandone il moto anche se in me tutto sembra sospeso congelato raggrumato dentro a una soglia irraggiungibile. Sono il contenuto abbreviato, la forma magnificante. Sono la medicina magica di ogni guarigione e tutto in me è filo e tutto è filiera tessitura progressiva spudoratezza preghiera di altrove e di qui canto del presente. Sono l’oracolessa che è qui a zittire il mondo e a lanciarlo in avanti ad occhi chiusi, un polipo gonfio dentro l’acqua con maschera bianca di annullamento, un clown abdicante pronto a far posto al disvelamento. L’onda si percepisce nel mio abbellirmi di volo.
E’ tutto un labirinto bulbonato a cunicoli, tutta una nervatura in festa di strade e snodi che si incrociano e partenze e ritorni e tondi e tutto è scritto tutto è un oltrepassare di cerchi tutto un monopolio di stazioni celesti indicative allusive contenitive tutto un piano di musica biologica stellare molecolare di un tornante in visitazione che impasta i segni della terra dentro a quelli di cielo e fa da culla prenatale. Nel corpo dell’orsa è l’aggirarsi del tempo, nel corpo dell’orsa è l’Orsa Maggiore e il firmamento che veglia sull’addensare. E veglia l’orsa sui rami ramificati veglia su tutte le stelle stellate all’improvviso veglia su tutti i colori del colore e tutto è nuovo di fresca convocazione e tutto è in covazione dentro al suo compiersi totemico di milioni di anni e di tutte coloro che mi hanno preceduta e dei milioni di anni del creato dissolto e ricreato che per far nascere una vita è tutto il lavoro del mondo fin da Altamira della musa bella, fin dalla Valcamonica, dai petroglifi, dalle pance tondute di ogni dea, dai seni abbondanti di latte.
Dicono che ogni nascita sia programmata da sette generazioni, sette generazioni di presidi di anime, chissà quante mila unità di entità. Ordini esausti e superiori che reggono il nostro mondo sbrindellato tra stringhe di miracoli che in coro cantano la loro estensione, affinché tutto si compia nell’obbedienza, come una favola di talento virtuoso, fruttuosa nel dono congiunto. Tutto è scritto, tutto è già, tutto è; c’è solo da compiere il resto estrapolante. Nel Tutto, per destinale profezia. Per questo ti invoco ancora e dico:
“Vieni mia Bastet, mia Signora dal muso di gatto, Nostra Signora delle Bende che conforti la luna del sentire. E vieni Tu, mio sposo felino che hai cuore palpitante e mano ferma, mio lume d’aramaico troneggiante alle spalle con l’amorevolezza che non ha smancerie, mia carezza che sa placare tutti i cuori, mio veggente parsimonioso, mio signore dello spirito dove prendono campo le stagioni, mia vivezza, mio sovrano, mio scorrimento di profezia che muove tutte le acque, generoso sciamano guaritore, mio scarabeo stante. Tu che tutto sovverti e che ti manifesti nel ribaltare, tu dalle forti braccia e sguardo silenzioso, mia onda aperta, mio temporeggiare senza raggiro, mio tempo dell’avvento che avviene e sta avvenendo, mia curva benedicente, nel mio ventre si sta tatuando un volto, tra spazi e spazi caracollanti, mio passo di oceano azzurro, mio composto sorriso, anima mia”.
Campeggia nella piramide il mio amore per te che sei l’amore e mi sei figlio e mi sei sposo e amante, mia malachite verdeggiante con blu oltretomba scoperchiata che più tomba non è ma prato verdeggiante nel suo sorpasso. Perché il nostro trittico non esploda in poltiglia raggelata, perché la tristezza danzi all’incontrario senza padrone e ridiventi gioia senza il combattere, perché ammirevole sia sempre il mio occhio, amorevole la schiena e la tua maestà di portamento, io sono qui. Mentre compongo il mio essere polmonare nella carne fiacca so che tutto passa e anche tu – figlio di tutto e figlio tutto - scorri nel mondo con il suo svanimento. Ma non posso rinunciare alla piscina di ciò che è in me ora che ho ruote di splendore. Bagliore rampante, bruciatoio rabdomante, baci a grappoli senza martirio, c’è solo il bene nelle tue mani galoppanti come il pomeriggio di un funambolo senza rivolta c’è solo il bene che si scioglie di bene quando il sole chiede di essere ingoiato. Tutto è compiuto tutti i fili tirati e spesi e abbracciati e punteggiati tutte le punteggiature ricomposte in tutti i luoghi dell’acrobatico e del simbolico e tutti i luoghi dell’acrobatico e del simbolico hanno persino smesso di comandare.
Nuova la vita naturante semplificante fermentante sfornante mutante nuovo il fardello e il fante e l’araldo nuovo il colore arante della terra d’argento nuova l’ostinazione e anche l’esaltazione nuova la porta che si fa attendere nuovo il campanello che lacera il ventre antispettrale e non sono fantasmi, no, ma ninne nanne indiane che dicono che siamo tutti chiamati con fulgore, sante le tue mani in un impasto di niente santa l’alacrità attorcigliata santo il giratoio che gira il mondo santo il mistero estatico del tutto ricominciare santo il tradimento dell’eternità che non ci vuole e ci scalcia e quando è tempo ci espelle dal suo orizzonte sante le forcelle dei rami a cui mi aggrappo per non impazzire di dolore come a zampe di fenicotteri nel divenire delle moltitudini di lauro senza manchevolezze santo il perpetuo fiorire sfiorire rifiorire ribollire amplificare.
Nessuna luce si spenga mai.