E vedo ed ecco una nuvola bianca e sulla nuvola colui che vi siede
simile a figlio d’uomo recante sulla sua testa una corona d’oro
e nella sua mano una falce aguzza.
(Apocalisse 14,14, traduzione di G. M. Prati)
Un martello sei stata per me, strumento di guerra.
Io martellavo con le nazioni e distruggevo con te i regni.
(Geremia 51,20)
La falce è uno dei simboli più arcaici nel mito greco. È l’attributo principale di Kronos e lo sarà poi del latino Saturno. Robert Graves ci insegna che la falce di Kronos è curva come il becco del corvo e come la falce lunare e va ricordato che con un falcetto di diamante Kronos, il nume della pioggia e del ghiaccio, evira il padre Urano spodestandolo dalla sovranità cosmica e similmente compirà Zeus verso Kronos stesso. Queste primigenie evirazioni produrranno anche frutti fecondi come la nascita di Afrodite. Il falcetto quale oggetto rituale dei culti matriarcali? In Saturno la falce è segno della mietitura delle messi ma pure allude al tempo curvo di aiòn e dell’ouroboros. Ne possiamo ammirare varie versioni in Tiepolo che prediligeva il tema dialettico Tempo/Verità nuda.
Per i druidi celtici era importante strumento rituale, in formato piccolo e aureo, utilizzato ad esempio per le raccolte periodiche del sacro vischio di quercia. La “falce cristiana” trova un archetipo di prestigio in un passo dell’Apocalisse dove Cristo risorto appare seduto su di una nuvola mentre brandisce una falce. E’ il tema del giudizio divino, della mietitura escatologica; tema che Bosch celebra nel suo trittico dove protagonista è un grande carro pieno di una montagna di grano e sopra ci sono i cieli aperti e un Cristo apocalittico che si rivela.
La falce quale segno della divina “raccolta”, linguaggio presente già nel Cantico dei Cantici, cioè quale riassunto emblematico della separazione-selezione-ritorno che segue l’opera divina della vangelica seminagione. Questo “segno esoterico dei tempi” assumerà nel tempo un tono lugubre quale “falce della morte” nei vari trionfi, danze macabre, allegorie e nei tarocchi, perdendo il senso sacrale originario.
Per quanto riguarda un altro strumento lavorativo comune e antico, il martello, se ne potrebbe ricostruire una lunga e ricca storia spirituale e iconologica. Nel mito greco è segno essenziale di Efesto (Vulcano) e della sua geniale creatività. Efesto da parte sua è figura connessa (insieme a Demetra e ai Kabiri) con i riti misterici e segreti di Samotracia. Riti così segreti che era proibito anche pronunziare i nomi delle divinità coinvolte ed evocate, per cui si diceva semplicemente: “i grandi dei di Samotracia”. Questo aspetto rituale, demonico e infero il martello greco lo condivide con quello etrusco nella figura del daimon Charun (= Caronte) che compare più volte nell’arte vascolare e nei dipinti sepolcrali di Tarquinia e di Cerveteri quale essere, talvolta alato, dal viso mascherale, monstruoso e armato di martello.
Questo personaggio presiede ai sacrifici umani oppure si pone quale guerriero armato per combattere mostri simili all’idra. Il martello quale arma divina contro i mostri ci permette di passare dagli antichi Etruschi alla mitologia nordica di Thor e del suo Mjolnir, nomato come un essere vivente, come dopotutto anche Excalibur e Durlindana. In un’incisione runica svedese Mjolnir viene rappresentato al centro di un cosmico ring quale "albero della vita". Il martello quale arma e nel contempo emblema di giustizia e di forza vanta una lunga storia occidentale che va dal re Carlo Martello vincitore degli arabi a Poitiers fino alla ritrattistica quattro-cinquecentesca. Ricordiamone tre eleganti esempi: il Niccolò Tolentino a cavallo nella mischia alla testa dei fiorentini di Paolo Uccello, il Francesco d’Este del fiammingo Roger van der Weiden e il Maurizio I di Sassonia di Lucas Cranach il giovane.
Il martello quale nobile marchio di virtus. La ricchezza sematica e il fascino di questo segno ne permette la sua rivalorizzazione secolare anche in altri immaginari e depositi culturali come la celebrazione delle corporazioni e dei mestieri (come nel dipinto dell’artigiano del fiammingo Robert Campin), la devozione a San Giuseppe falegname e il tema degli strumenti della Passione e della panoplia Christi. Tema quest’ultimo di ricca e persistente tradizione che arriva fino all’ottocentesco “crocefisso di La Salette”, che vede il martello incrociato con un braccio orizzontale della croce di Cristo. Ma c’è di più. Il martello è un segno eloquente anche a livello della sua ripetitiva ed efficace sonorità data dal suo battere sull’incudine o su altri supporti. Lo troviamo in questo senso in un episodio delle avventure di Perceval (studiato anche da Sansonetti) e nel suo senso traslato di “malleus maleficorum” nella battaglia cattolica contro le eresie e, postmodernamente, nell’opposta battaglia di Nietzsche contro il cristianesimo e per la trasvalutazione dei valori nel suo “filosofare con il martello”.
L’uso rituale del martello compare nella storia negli ambiti e nei modi più imprevisti e ne possiamo ricordare alcuni bizzarri esempi, quali Cristo con il martello che appare a Gregorio l’illuminatore secondo la tradizione armena, l’uso papale del martelletto d’argento per abbattere la muratura della Porta Santa del Giubileo, e il martello quale segno di autorità e sapienza nei riti sociali: dal giudice (in uso fino a pochi anni fa) al medico, per misurare tutt’oggi la reattività dei riflessi. Come tutti i principali e più antichi simboli anche il martello non è sfuggito alla sua rivalutazione esoterista moderna, per cui lo troviamo negli ex libris e nella mitologia dannunziana, quale segno creativo e demiurgico, fino alla grafica dell’album di Battiato: Ferro battuto, dove sembra riemergere la spiritualità solare e occulta del martello di Efesto.