Come ogni anno l’estate mi regala qualche giornata in più di tempo libero che cerco di impiegare per leggere con calma e attenzione i libri che durante l’anno ho accumulato e che per un motivo o per un altro non sono riuscito a leggere. Così ho approfittato di questi caldi pomeriggi estivi per leggere la monografia su Moataz Nasr pubblicata in occasione del progetto Moataz Nasr. Un ponte tra Pisa e Santa Croce sull’Arno curato da Ilaria Mariotti. È stata un’ottima lettura non solo per approfondire l’attività di Moataz Nasr che seguo sempre con grande interesse e attenzione e con il quale ho sempre in programma un’intervista che spero di realizzare al più presto, ma soprattutto perché al termine delle vacanze siamo soliti ritornare alle nostre attività quotidiane con una serie di “buoni propositi” del tipo “da lunedì inizio la dieta”, “mi iscrivo in palestra”, “smetto di fumare”, ecc. Tutte ottime intenzioni ma che quasi sempre si propongono di ritemprare la “materia”, il “corpo” e non lo “spirito”. Da questo punto di vista quindi la lettura su Moataz Nasr è stata molto utile in quanto invito a “buoni propositi” di tipo spirituale per cambiare noi stessi e la società.
Moataz Nasr, classe 1961, è un artista egiziano da sempre interessato alle trasformazioni sociali e culturali e impegnato ad “attivare” le coscienze degli uomini e delle donne, a dar voce a chi voce non ha magari perché debole o timoroso o privo di diritti. Alla ribalta dal 2001 quando vinse il Grand Prize alla Biennale del Cairo Nasr ha esposto in importanti manifestazioni come la Biennale di Dakar (2002), la Biennale di Venezia (2003), la Biennale di Sharjah (2003)… ha creato DARB Contemporary Art and Culture Center, un centro culturale e artistico per giovani artisti, collabora con prestigiose gallerie internazionali.
Il contesto di molte opere di Nasr è Il Cairo, città di contrasti e fasi alterne come quella del 2011 quando sembrava aver trovato il coraggio di urlare le proprie idee e convinzioni per poi ritornare al punto di partenza nonostante le pressioni internazionali, le proteste, il sangue. Ma questo riferimento alla realtà egiziana non impedisce alle sue opere e alla sua pratica di acquisire una valenza universale che trascende il tempo e il luogo specifico. Pensiamo per esempio alla serie fotografica Fiat Nasr (2002-2008): l’automobile diventa simbolo di un’illusione collettiva, di un sogno spezzato, di una realtà che non si è stati in grado di conservare né potenziare. Fiat Nasr è composta da 16 cubi sulle cui facciate ci sono le foto dei pneumatici forati di alcune Fiat Nasr. Nel 1979 la casa automobilistica Nasr stipulò un accordo con la Fiat per assemblare auto in Egitto con pezzi provenienti dall’Italia. Accordo che assicurò alla Nasr un periodo di crescita in un più generale clima di fiducia nel processo economico globale. Nonostante l’aspetto ludico cui rimanda il cubo, la gomma bucata rappresenta l’esaurimento di quel processo sollecitando riflessioni sulla più generale crisi economica che da un po’ di anni blocca gran parte dei paesi occidentali.
Ha un aspetto a prima vista ludico anche l’opera Vacanze romane (2013) un ottagono che ha per lato una vespa collegata alla precedente e alla successiva mediante la condivisione di una ruota. La forma rimanda alla circolarità della vita mentre il mezzo con il quale è realizzato, la Vespa, rimanda inequivocabilmente alla mobilità. Elemento centrale dell’installazione è la ruota intesa come elemento di condivisione: solo se c’è coerenza d’azione, un’azione comune, condivisa, partecipata l’ottagono della vita può mettersi in moto. Non dimentichiamo poi che l’ottagono è una forma dal grande simbolismo: mediando tra il quadrato e il cerchio, l’ottagono rappresenta l’incontro tra cielo e terra, l’unione con Dio, la resurrezione e l’equilibrio cosmico.
The Maze (2011-2013) è un labirinto d’erba realizzato da Nasr in diversi spazi pubblici europei ed extraeuropei. Utilizzando il cufico, la lingua con la quale è stato trascritto il Corano, quindi una lingua sacra, Nasr scrive il popolare slogan cantato nel 2011 in Tunisia, Egitto, Libia e Yemen: “El Shaab yurid isqaat el nizam” (Il Popolo vuole la caduta del regime) donando così alla libertà civile una dimensione sacra. L’opera ha come sempre diversi piani di lettura: lo spaesamento successivo al momento di euforia dovuto alla caduta di Hosni Mubarak nel 2011 simboleggiato dal labirinto, la distinzione tra chi è dentro il labirinto e chi è fuori, cioè tra chi si impegna e partecipa e chi invece preferisce essere spettatore, la vulnerabilità della nostra libertà mai pienamente acquisita e consolidata (il prato crescerà e le richieste del popolo saranno cancellate dall’erba incolta), la sacralità dei diritti civili e laici.
Ci sono poi quelle opere realizzate con i fiammiferi. Per esempio la serie Arabesque I (Lost Heritage) dove ritroviamo alcune decorazioni tipiche della cultura islamica come finestre, porte e soffitti o la serie Khayameya (2012) con motivi tipici della tradizione tessile egiziana. Tanti fiammiferi uno accanto all’altro con la loro potenziale infiammabilità testimoniano una situazione sociale e politica come quella egiziana, apparentemente stagnante e immobile ma che da un momento all’altro può facilmente prendere fuoco. E poi come non ricordare I am free (2012), un’opera con un messaggio immediato: dobbiamo salire una scala per poter indossare le ali di un’aquila. L’installazione è composta da una scala piramidale sulla sommità della quale è posta un’aquila simbolo presente sulla bandiera egiziana dal 1953, anno di costituzione della Repubblica.
Fedele all’insegnamento sufista (dimensione mistica dell’Islam tendente a un approfondimento interiore, a un perfezionamento spirituale, a un rispetto per le differenze) Nasr ci dice che per arrivare però alla sommità e vedere che cosa si prova ad avere due ali enormi che ci permettono di dominare la situazione dobbiamo seguire un percorso basato sulla meditazione e sulla riflessione perché la libertà, cioè quella forza che ci guida a opporci e resistere in un paese tormentato come quello egiziano, non può concretizzarsi in espressioni di forza e potere, ma deve avere come suo principio fondante la meditazione in quanto stimolatrice non solo di calma e pace, ma anche di lungimiranza e saggezza.
E’ questa la condizione auspicata dalla scritta al neon che sovrasta l’installazione e che rimanda alle teorie del filosofo mistico medievale Ibn Arabi. Come recita uno slogan dei movimenti di protesta del 2011 che cita un aforisma di Ibn Arabi “la libertad nos une, la unión nos libera” la condizione di libertà è indissociabile dalla rete di relazioni nella quale un individuo nasce e cresce ma è anche indissociabile da una condizione di condivisione e cooperazione in un mondo che non crede più in una storia comune, in un futuro o in un progetto comune ma premia l’individuo nella sua unicità, singolarità, particolarità che è anche la fonte principale della sua solitudine ed emarginazione.