Rita e Mario vanno al Colle San Bernardo col sole. Le turbine sono alte, sono cinque e sono bianche, imponenti. Si vedono già dalla strada di Ceva. A Rita sembrano ali d’angelo. E’ bello guardarle girare. Le ali trasformano vento in energia. Rita e Mario partono in bicicletta da Garessio. Portano un plaid arancione e nero e ci si distendono. Amoreggiano un po’. Qualche bacio. Qualche carezza. Guardano il cielo, azzurro. Quando ci sono, le nuvole. Il ronzio delle turbine li invoglia a confidarsi cose, a confessarsi segreti e ad amoreggiare. Mario ha quindici anni. Rita quattordici. Qui, al Colle San Bernardo, sotto le turbine, i due giovani si sono dati il primo bacio.
Era una giornata estiva dalla temperatura mite. Si stava bene. Il profumo dolciastro dell’erba. I cigolii, i fruscii e i soffi delle turbine. Le labbra di Rita rinfrescanti. I ragazzi si sono baciati, minuti e minuti. Poi al momento di andare via a qualche metro da loro hanno riconosciuto sull’erba un colombo morto. Il biancore del piumaggio quasi riluceva tra gli steli d’erba verde chiaro e ben tagliata, ma una scia rossastra sporcava piuttosto orribilmente le piume della parte posteriore.
Rita e Mario sanno che quel luogo fatto di verde e azzurro e candore alimenta la San Bernardo Nestlé e non i tremila cittadini di Garessio o gli abitanti di Erli. Quell’energia, insomma, alimenta profitto privato e a scuola nelle ore di religione Mario ha sentito dire cose nauseabonde sulla Nestlé. E’ così fastidioso per Mario sapere che un’iniziativa tanto onorevole come quella dell’energia eolica sia stata messa in piedi da un consorzio formato da un’azienda privata con talmente tante ombre! Ha ragione l’insegnante di religione quando dice che gli uomini cattivi possono giovarsi delle contraddizioni per nascondere le malefatte. Gli uomini possono fare una cosa buona e una cattiva e rendere così indecidibile chi siano.
“Mi chiedo se sia giusto punire una persona cattiva” ha detto una volta Mario a Rita.
“Che vuoi dire?! Certo! E’ giusto!”
“Sì? Ma non sarebbe meglio dare a quella persona la possibilità di compiere un’azione che faccia dimenticare quella cattiva?”
“Che azione può compiere un ladro o un assassino?”
“Azioni molto, molto importanti e impegnative. Lo si dovrebbe costringere a salvare ogni giorno vite umane su vite umane”.
“E pensi che un assassino o un ladro sarebbe in grado di far questo?”
“Forse sì, se costretto…”
Le ali d’angelo una volta hanno colpito di netto un gabbiano. Sia Rita che Mario ricordano. E’ stata la volta che Mario si è avventurato con una mano sotto la maglietta di Rita. La mano sinistra. L’altra, Mario la teneva intorno al collo esile della sua ragazza. Aveva potuto saggiare per la prima volta quanto setosa fosse la pelle di Rita, così tesa sulle costole e sulle vertebre, e quanto morbida avesse la pancia. Mario aveva le guance in fiamme e anche Rita e quando Mario ha cercato di infilare le dita dentro i jeans della sua ragazza, lei si è ritratta e si sono stesi sul plaid e dopo un po’ hanno visto le ali d’angelo colpire il gabbiano. I ragazzi sono saltati in piedi. Si sono messi a correre verso la turbina dove il gabbiano giaceva. Aveva le ali aperte. L’ala sinistra insanguinata. L’occhio con l’iride grande e un cerchiettino beige appena visibile, sbarrato d’orrore. Rita si era messa a piangere e Mario l’aveva consolata. Poi insieme erano tornati a prendere il plaid e con quello avevano avvolto il gabbiano e a casa di Rita lo avevano messo in una scatola da scarpe e lo avevano sotterrato vicino a un ippocastano dentro le aiuole di una via di Garessio.
Un’altra volta Rita e Mario hanno riconosciuto vicino al plaid un piccione morto e un’altra volta ancora hanno trovato, i due ragazzini, un corpicino maciullato, praticamente irriconoscibile, con un piumaggio rossastro, ossicine piccole piccole e, anche se Mario si era messo a negare, Rita in lacrime aveva detto di essere sicura fosse un colibrì. “Come può esserci un Dio se lascia succedano cose come queste?” aveva detto, quella volta, Rita. E Mario aveva girato la domanda, ancora lo ricorda, al professore di religione, che aveva cercato di rispondergli senza convincerlo.
“Un gesto buono che alimenta un giro d’affari biasimevole – Mario aveva detto a Rita un’altra volta gustandosi anche la possibilità di utilizzare quell’aggettivo sentito da poco in classe dalla professoressa d’Italiano – E poi anche se non fosse biasimevole, sempre di acqua in bottiglia si tratta! E della Nestlé! E tutta l’acqua in bottiglia di questo mondo non vale la vita di un solo colibrì o di un solo gabbiano!” aveva affermato Mario riferendosi al fatto che le pale eoliche servono a fornire energia a uno stabilimento, la San Bernardo Nestlé, che produce acqua minerale.
“E nemmeno dei piccioni, Mario” lo aveva rimbeccato Rita.
“Sì, giusto! Nemmeno dei piccioni!”
Poi a Erli un’altra volta ancora Mario se ne era venuto fuori con una trovata. Erano appena stati sul Colle San Bernardo. Avevano come sempre superato i cartelli di divieto e si erano stesi sul plaid, ogni volta il medesimo, quello quadrettato, arancione e nero. Nessuno li aveva ancora scoperti oppure nessuno aveva ancora dato l’allarme. Chi li aveva scorti doveva aver pensato fosse bello, in fondo, vedere due ragazzini amoreggiare nell’erba. Mario questa volta ce l’aveva fatta a infilare una mano nei pantaloncini di Rita. Aveva il cuore che sembrava volergli saltare dal petto. Quella volta avevano visto il cadavere di un merlo, anche se gli fa impressione ricordare quel momento così intimo e particolare e importante attraverso quest’altra immagine così tetra. Del resto cadaveri di uccellini nei trentacinquemila metri quadrati del Colle San Bernardo ce ne sono presumibilmente sempre. Una volta Mario aveva proposto a Rita di andare in perlustrazione per vedere quanti volatili morti avrebbero trovato. Rita aveva giudicato la proposta ripugnante. L’aveva respinta.
A Erli Mario e Rita erano andati in una pizzeria. Avevano posato le biciclette, si erano seduti e avevano ordinato una pizza ciascuno. Erano le diciannove. Sarebbero rientrati a Garessio verso sera. Rimaneva chiaro fino alle ventuno e trenta, quasi le ventidue. Pedalando di buona lena ce l’avrebbero fatta a coprire la distanza tra i due paesi. Rita non aveva resistito a chiedere a Mario di portarla al Pizza Smile di Erli. Si fanno le pizze usando i condimenti in modo da formare uno smile. Mentre Mario consultava il menù aveva letto a voce alta: “Pizza Scarecrow” e poi aveva detto: “Lo sai cosa vuol dire scarecrow?”
“No. Non lo so. Cosa vuol dire?”
“In questi giorni sto studiando liste di parole inglesi. Vado a lezione per recuperare un paio di quattro. La mia insegnante mi dà liste e liste. Adesso so un mucchio di parole”. Mario non andava molto bene a scuola. Aveva quattro anche di matematica e italiano. Poi verso fine anno di solito riusciva a recuperare e a evitare la bocciatura, ma se fosse andato avanti così… Anche per Rita non andava meglio.
“E che cosa vuol dire?” chiede Rita.
“Scarecrow in inglese vuol dire spaventapasseri”.
“Ah, bello!” aveva esclamato Rita e aveva sorriso.
Quando Rita aveva sorriso e mostrato i denti bianchi e regolari, Mario aveva d’un poco sgranato gli occhi.
“Uno spaventapasseri! Ci vorrebbe per le turbine del Colle San Bernardo!”
“Cosa vuoi dire?”
“Be’, se ci fosse uno spaventapasseri gli uccelli volerebbero lontano. Eviterebbero di finire tra le pale delle turbine”.
“Dai! Non mi ricordare quello!”
“Scusa scusa…”.
“E poi – dice Rita – Come pensi che uno spaventapasseri possa mandare via gabbiani o merli o pipistrelli? Le pale eoliche sono molto alte, sessanta, ottanta metri”.
“Forse si potrebbero mettere fantocci sorretti da pali lunghi sessanta, ottanta metri davanti a ogni turbina” dice Mario.
Rita rimane in silenzio. Cerca di considerare l’ipotesi.
Mario dice: “Lo sapevi che in Mauritania si usano spaventapasseri di pietra per tenere lontano gli sciacalli dalle capre?”
“E come lo sai?”
“La mia maestra alle elementari. In quinta con la primavera ci ha fatto costruire spaventapasseri. D’inverno pupazzi di neve”.
“Non ci credo!”
“Sì, invece… Ci faceva portare in classe vecchi abiti dismessi e un cappello di paglia. Poi ci faceva incrociare due pezzi di legno. Una volta ci ha detto una cosa che mi ha fatto riflettere”.
“Cosa?”
“Be’, noi uomini pensiamo che gli animali non sono umani e li trattiamo spesso come fossero oggetti. Che so? Li mangiamo come si mangia una torta o un cannolo. Li indossiamo come fossero cappotti o calze o mutande. E questo perché non parlano o perché camminano a quattro zampe: perché sono diversi da noi. Eppure che cosa pensano gli animali di noi se basta usare uno spaventapasseri per tenerli lontano? Gli uccelli o gli sciacalli vedono un fantoccio e non riescono a distinguere la differenza da un uomo. Insomma, anche gli animali ci vedono come oggetti. Perciò abbiamo qualcosa in comune. Qualcosa che ci rende entrambi o animali o umani. Sta a noi scegliere, ha detto la maestra”.
“Prendo una pizza Scarecrow – aveva detto Mario dopo una pausa – e tu?”
“Una Pupazzo di Neve”.
“Ma c’è?!”
“Sì! C’è! Guarda!”
Rita aveva indicato a Mario la pizza Pupazzo di Neve sul menù.
Un giorno, a vent’anni, Rita e Mario salgono al Colle, di nuovo. Rita rimane esterrefatta. C’è uno spaventapasseri, fatto di stoppia, con un cappello, una carota per naso, e sta in alto in alto, su un palo, tra le ali d’angelo. Rita guarda Mario.
“Lo hai fatto!”
Mario non dice nulla.
“Come? Come ci sei riuscito?”
“Sono venuto di notte. Mi sono preso i miei rischi. Ho caricato lo spaventapasseri e il palo su un furgone. Già tutto pronto”.
“Sei matto, sei!”
Rita e Mario rimirano lo spaventapasseri. Ondeggia tra le ali d’angelo che vorticano e vorticano. Mario e Rita si baciano. Rita accarezza la barba di Mario. I peli lunghi e neri degli avambracci. Nota uno sbaffo nerastro di grasso su un braccio del suo fidanzato. Deve venire dal lavoro di Mario giù all’officina di Garessio. Prendono ad amoreggiare. Quel giorno non sembrano esserci cadaveri di merli o colombe o colibrì. Chissà che sia per lo spaventapasseri o per via di una qualche magia.
Nove mesi più tardi arriva Alba.
Racconto tratto da Il Foglio Letterario