Le fotografie di Valeria sono memorie testimoniali e dichiarazioni visive che emergono da una sostanziale capacità di ascolto dell’eco silenziosa dei frammenti immateriali nascosti tra le pieghe della forma del tempo. Il suo desiderio di narrare attraverso immagini è intriso di un intimo e sincero movimento vitale, tanto delicato quanto energico, che si nutre – e che a sua volta va a nutrire – della funzione del valore espressivo caratteristico della relazione tra la parola scritta e quella visiva.
Chi è Valeria Pierini?
Le domande in terza persona mi indispongono.
Bene, allora dimmi Valeria, chi sei?
Figlia di un batterista, cresciuta a musica e libri, che da bambina voleva fare l'astronoma - poi la mano sinistra ha prevalso. Di formazione umanistica, sono stata prima musicista poi artista fotografa. Nutro un amore spassionato per il whisky.
Come sei approdata all’arte, e in che modo l’arte ti si è presentata?
L'arte si è presentata a me in una domenica piovosa di maggio di tanti anni fa. Ero a una mostra e ne sono uscita diversa. Da lì il processo è stato sempre più chiaro, ho capito 'cosa fare'. Ricordo ancora la sensazione davanti alle opere che vidi, mi trema ancora il cuore se ci penso, esattamente come quel giorno. Ancora adesso sento le farfalle nella pancia. Sì, praticamente mi sono innamorata.
Perché l’arte è importante per te?
Perché è la cosa che mi rappresenta e mi dà un'identità.
Cosa, in questo momento della tua vita, attrae la tua attenzione e cosa riesce ad avere un effetto tale da influenzare te e la tua ricerca artistica?
Mah, ci sono degli argomenti verso cui tendo sempre, a prescindere dal momento storico, diciamo che sono i temi portanti della mia ricerca, quelli che ogni artista ha. Non so quanto un periodo possa influenzarmi, viene sempre fuori qualcosa nei miei temi che è un'esigenza che nasconde una passione per una materia o un argomento. In un periodo può venire fuori l'esigenza di condensare queste particolari tematiche a modo mio - che è quello che faccio di solito, è la mia prassi. Di certo c’è che continuo a scoprire argomenti o soggetti interessanti, altrimenti non sarei un artista ma una sorta di replicante (ride, n.d.r.), voglio dire, l'arte senza evoluzione è un mero esercizio di stile, anche concettuale, ma sempre di maniera.
Il tuo lavoro nasce dall’impulso che segue a un’idea o a una necessità? C’è un filo conduttore che ti porta a tessere la trama delle tue opere?
Il mio lavoro nasce esattamente da un impulso dato da un'idea, che è diventato talmente forte da essere necessità. Necessità di sintetizzare con il mio linguaggio, quell'idea o tematica. Ovviamente c'è sempre un filo conduttore, sia nell'intero mio corpus di opere, sia all'interno di un singolo progetto. Come ho detto sopra, sarebbero degli sterili esercizi di maniera se facessi solo 'belle foto'. Non scatto mai senza un'idea o una fascinazione di base. Non mi vedrai mai girare con la macchina fotografica o scattare foto senza un filo conduttore. Siamo pieni di persone che lo fanno e non è una mia necessità. Io per prima cosa penso e la macchina fotografica mi serve per fermare il mio pensiero. Diciamo che è il mezzo fisico di cui si servono la mia immaginazione e il mio pensare.
Nella resa finale di un tuo progetto artistico quanto peso hanno la pianificazione e la ricerca e quanto è imputabile, invece, all’imprevedibilità?
Come dicevo sopra c'è sempre un motivo dietro i miei lavori. Quando l'esigenza diventa forte, studio il più possibile l'argomento e quando capisco come sintetizzarlo in immagini vado di bozzetti, di casting, di ricerca location e oggetti utili. È tutto sempre fermato sulla carta. Ecco che ti presento dunque il secondo mezzo di cui la mia immaginazione e il mio pensiero si servono, e cioè i quaderni (ride, n.d.r.). L'imprevedibilità è davvero minima e raramente diventa un problema. Quando accade diventa un espediente creativo. Studiare prima mi permette di scattare un numero ridotto di immagini e di scattarle come ho intenzione di farlo.
Se ti chiedo di rivolgere la tua attenzione dal cosa ricordi (il contenuto di una determinata esperienza) al come la ricordi (come rappresenti interiormente le esperienze già fatte):
• ricordi soprattutto le sensazioni?
• oppure è più forte il ricordo dei colori?
• ricordi soprattutto le voci o i suoni o il silenzio?
• oppure il volto delle persone?
• il profumo o l'odore di qualcosa in particolare?
• altro?
Cerco di ricordare tutto quello che mi è possibile, specie nell'immediato 'dopo' di quanto accaduto. Con buona pace del fatto che nel futuro la memoria selezionerà da sola ciò che è da ricordare. Io cerco di darle più cose possibili, ma la memoria non è oggettiva. A volte i ricordi si riducono a pochi frame' e delle cose che sembriamo non ricordare, invece, spuntano fuori in contesti dove il ricordo in questione non c'entra nulla. La memoria è un oceano senziente, come in Solaris. Nessuno può farci poi molto, oltre che allenarla e darle più cose possibili - è sempre lei che sceglie di testa sua.
Attraverso quale dei cinque sensi entri in relazione con il mondo, e quale utilizzi più frequentemente, più volentieri e con più familiarità quando lavori?
La vista. È attraverso la vista e il pensiero che gli uomini conoscono ed elaborano linguaggi e storie. Dalla vista vengono l'immaginazione, la memoria e il pensiero. Ovviamente per me una forte componente è data dall'immaginazione, specie in sede progettuale e lavorativa. La vista per me è un tramite tra il mondo e il mio cervello, da essa escono ed entrano impulsi, nel mio lavoro e nel mio pensiero, poi, l'immaginazione fa il resto. È un argomento talmente forte per me da essere diventato la mia tesi di laurea e poi un workshop.
Conoscere per immagini e pensare per storie. Narrare per formare, è questo il titolo della tua tesi di laurea, in cui risuona forte l’eco di un’alchimia artistica che permette un atto di trasformazione interiore tale da oltrepassare i confini personali e diventare un’esperienza di gruppo, un atto collettivo...
Esatto. Nella mia tesi, anche attraverso l’esempio del lavoro di due artiste fotografe, cerco di analizzare il modo in cui le pratiche narrative siano fondanti non solo per il pensiero e la conoscenza umana, ma anche per le esperienze di creazione e fruizione artistica e comunicativa.
Intimità, Consapevolezza, Memoria, Tempo, Luogo... che accezione hanno per te e nella tua ricerca artistica?
L'intimità e la consapevolezza le trovo direttamente proporzionali. E la consapevolezza è il risultato della conoscenza che facciamo per prima cosa di noi stessi e poi del mondo. Non lasciando nulla al caso, nei miei progetti va da sé che si parla proprio di consapevolezza. Ecco, diciamo che passo all'acquisizione delle immagini quando di una materia ne sono consapevole. La memoria come dicevo sopra è figlia della percezione e dell'immaginazione. Purtroppo la investiamo - come del resto facciamo con la fotografia - di quell'aurea di oggettività che in realtà non esiste. La memoria è fondamentale per i saperi, e senza immaginazione (che è un aiutante della memoria) non andremmo lontano. Tempo-luogo niente di più relativo.
Prima che una tua opera “accada”, che immagini e che sensazioni ha e che tipo di emozioni e sentimenti sperimenti quando, poi, l’opera “accade”?
Meraviglia. In fase iniziale, come input e poi quando sento la meraviglia in fase progettuale vuol dire che la mia ricerca concettuale è finita, manca solo l'immagine finale e quando arrivo a questa fase la foto praticamente è già nella mia testa. Quando la acquisisco e riprovo meraviglia ho concluso il mio lavoro.
Che approccio hai con la materia per arrivare agli aspetti contenutistici e concettuali delle tue opere?
Il mio approccio con la materia al momento è in fase di crescita perché i miei quaderni stanno subendo gli usi dei mezzi più disparati (tempere, ago filo, pastelli, colla... ). Al di là dell'aspetto cartaceo dei miei progetti, la materia per me è fondamentale poiché di base costruisco sempre scenari che non esistono - che sia il vestito del soggetto o le cose-oggetti da inserire nel frame, fino ad arrivare a modellini veri e propri.
Come e da cosa sai di avere raggiunto l’obiettivo nel tuo processo di creazione dell’opera? Quali sensazioni prova il tuo corpo quando hai la consapevolezza di aver raggiunto questa meta?
Come dicevo sopra, credo che sia qualcosa attinente al campo della meraviglia. Parlando in termini meno romantici direi consapevolezza, quando l'immagine racchiude visivamente i termini concettuali del progetto so che il mio lavoro è terminato. C'è una forte componente istintuale poiché ormai è una pratica che ho acquisito e di cui quasi non mi accorgo più, lo so, lo sento e basta.
Quali sono le motivazioni, le spinte, i condizionamenti, i limiti e le conseguenze di essere un artista oggi?
La motivazione e la spinta devono essere forti, specie se non provieni dai piani alti e specie se vivi in un paese dove gli artisti mediamente vengono insultati e tenuti poco in considerazione come tutta la cultura in generale e l'istruzione. L'arte rinnova e anticipa i saperi, l'arte è educazione, l'arte è relazione e l'arte è reddito, o quantomeno dovrebbe esserlo. La prima cosa che tagliamo sono la cultura e l'istruzione, relegando questi a beni di lusso quando dovrebbero essere la base e il nutrimento di un popolo che si evolve. Con questi presupposti va da sé che la situazione non è rosea. I limiti però sono anche interni, perché i meccanismi sono viziati, anch'essi figli dell'interesse e/o dell'approssimazione e del qualunquismo. Non ti dico nemmeno qual è la situazione prettamente in ambito fotografico, perché in certi contesti è davvero ridicola. In generale credo che servirebbe una volta per tutte rendersi consapevoli della contemporaneità (non è che sia facile capire una cosa che è 'in divenire' per definizione) e riadattare tutto; quello che funzionava fino a 5 anni fa non funziona più e dobbiamo farcene una ragione invece che continuare a confondere amatori e giovani che si fanno il mazzo, tanto per dirne una. Insomma, diamo a Cesare quello che è di Cesare perché le cose sono cambiate, specie in questo periodo di crisi dove l'iniziativa personale spesso ci fa osare strade 'pericolose' proprio perché a parità di condizioni il rischio è lo stesso a prescindere dal mestiere che si intraprende. La conseguenza per gli artisti, specie quelli giovani, è che non ci si può improvvisare. Non si poteva prima e non si può ora. Avere più mezzi e possibilità di conoscere-fare significa educarsi a scegliere e adoperare delle scelte. E qui si rientra nel ramo della consapevolezza, ecc. ecc. Tutto torna.
Quali sono i valori alla base delle tue intenzioni e delle tue azioni nel contesto artistico contemporaneo?
Non ho mai pensato a quali sono i valori delle mie intenzioni. Io faccio qualcosa che sento e che mi definisce. Non mi alzo per fare le foto della domenica, io lavoro pure mentre dormo e mentre guido (ride, n.d.r.). Non c'è una Valeria della vita privata e una Valeria artista. Dunque quello che sono lo sono anche nel 'contesto artistico contemporaneo'. Quello che voglio è fare bene il mio lavoro a prescindere dal contesto di ricezione ed essere fedele a me stessa, niente pose, se non nelle mie immagini.
A che cosa può aprirsi il mondo attraverso l’arte?
Alla conoscenza e alla relazione. La conoscenza non è definita dalle materie scolastiche, i saperi si intersecano tra loro e con la vita. Ma nel 2015 abbiamo ancora questa brutta abitudine di relegare la conoscenza a qualcosa di imposto e chiuso in compartimenti stagni. Questo è colpa, oltre che delle famiglie, della scuola. È vero che gli insegnanti sono precari e che la vita fa schifo, ma queste persone stanno facendo davvero male il loro lavoro, sono responsabili delle nuove generazioni e così facendo, fanno il gioco di tutti quelli che sull'istruzione ci sputano sopra. Se non sono gli insegnanti che infondono l'amore per la conoscenza e che non fanno capire che non è roba da orario scolastico, chi deve farlo? Le veline?
Quanto può essere utile oggi agli artisti esporre in un determinato contesto? E quanto può essere utile il loro passaggio al contesto che li accoglie?
Spesso le conseguenze di un'azione si colgono nel lungo periodo, e spesso ogni partecipazione a un contesto è un terno a lotto. Voglio dire che non c'è mai certezza di sbocchi futuri o simili. In questa fase storica di transizione ci sono varie opzioni, di sicuro il percorso è importante perché comunque identifica l'artista e le sue opere, di certo scegliere i contesti in cui andare con il proprio lavoro è importante perché diventano identificativi dell'artista, non tutti i contesti vanno bene e al proprio lavoro si deve portare rispetto e dargli dignità.
Quali delle tue opere ci proporresti come fondamentali punti di snodo nel tuo percorso?
Tabula rasa e Iperuranio, le altre le sto preparando.
Cosa c’è di importante che vuoi che le tue opere dicano a te stessa e a chi le osserva? Cosa desideri che le persone sentano quando entrano in contatto con le tue opere?
Il mio lavoro finisce quando l'opera viene data al pubblico, perché è lei che lo continua e chi la osserva può riscriverla con ulteriori significati e sensazioni che gli suscita. Se proprio dovessi pensare a cosa mi piacerebbe che si provasse davanti a una mia opera ti direi un cortocircuito spazio-temporale, perché le mie opere nascono con questo scopo, portano un'idea in uno spazio-tempo indefinito e assoluto rispetto al momento storico in cui nascono, e con 'assoluto' non voglio indicare nessuna velleità di superiorità o di vanità, ma proprio una definizione quasi di stampo fisico, le mie opere non esistono se non nella mia testa e nelle immagini finali, sono per me un perenne non-luogo, una perenne definizione di idee dove ognuno poi ci mette il suo. Non posso obbligare nessuno a capirle o a leggerle immediatamente o a leggerne tutti i significati che ci sono (perché un'opera contiene molteplici sottotesti espliciti e impliciti) ma se proprio dovessi azzardare un altro desiderio è il tempo. Noi abbiamo la supponenza di dire che l'arte debba essere subito comprensibile come la pubblicità o le notizie di un tg, dunque quando andiamo a una mostra le diamo il tempo di un lancio d'agenzia o di un headliner pubblicitario. Per non parlare del tempo del web - del tutto subito - di quello che scompare scrollando la pagina. Vorrei proprio sapere chi è quel coglione che ci ha rovinato la vita dicendo per primo: “è troppo difficile io non lo capisco, ci vuole troppo, questo qui è troppo snob”, un vero genio!
In seguito alla tua esperienza di vita, alla tua esperienza dell’esistenza umana in senso ampio, qual è la tua concezione della vita?
Che siamo figli del contesto in cui per caso nasciamo, che ci sono cose “destinali” alle quali è difficile sfuggire, ma che possiamo scegliere cosa fare con il tempo che ci viene concesso, anche se mediamente l'essere umano sceglie il tutto subito e facilmente - gli piace diventare alienato -, non gli piace meravigliarsi, non gli piace conoscere e non gli piace avere cura di sé e degli altri. Scarta quello che implica un pensiero. E i fatti della vita, dal generale al particolare, lo dimostrano.
In che senso il fatto di essere donna ha determinato la tua vita? Quali possibilità ti sono state offerte, e quali rifiutate? Che destino possono aspettarsi le nostre sorelle più giovani e in che direzione bisogna orientarle?
La mia vita è totalmente determinata dal mio essere donna e dalle mie antenate donne. Le donne hanno strutturato la mia vita in positivo e negativo. Essere donna insieme alla condizione di artista è una delle poche cose che non ho scelto e delle quali non potrei fare a meno perché mi determinano. Sulle possibilità offerte e rifiutate non saprei indicare qualcosa di particolare se non l'aneddoto tragicomico che i fotografi maschi si comportano come a scuola e presi da una sorta di ansia da prestazione, iniziano a dire: “ah ma tu studi troppo”, oppure di contro: “tu sei una che studia, hai letto questo e quest'altro?” - tutta roba molto patetica. Le sorelle più giovani hanno un'eredità non facile da gestire: da un lato, forse quello più sommesso, grandi donne che hanno fatto cose straordinarie in molti campi, anche prettamente maschili, dall'altro lato - quello ovviamente più alla portata di tutti - l'eredità di almeno tre generazioni di donne al servizio di una 'politica' che si confonde con i bordelli, di donne che senza un corpo scoperto non sono nulla e che hanno fatto carriera solo grazie a questo e al cervello in affitto. Io, donna e artista, sono dalla parte delle streghe, sempre. Dove pensi che vorrei che venissero orientate?
C’è un momento o un’esperienza alla quale colleghi quella sensazione intensa che fa dire “Io sono viva!”?
Ogni volta che scelgo.
Quali sono per te le situazioni quotidiane più difficili da sopportare?
L'idiozia, il qualunquismo e l'ignoranza a tutti i livelli, uniti alla presunzione di saltare a piè pari le basi delle cose.
Valeria, dubiti mai di te stessa?
Mi pongo delle domande, specie quando le mie azioni hanno delle conseguenze nella vita degli altri.
Che progetti hai in cantiere?
Sto preparando una personale dal titolo la vita l'universo e tutto quanto, al Castello di Sarteano, una piccola mostra monografica dove ripercorrerò alcuni temi portanti l'essere umano tramite una selezione di alcuni miei lavori. In mostra ci saranno anche i miei diari d'artista. Sto definendo poi altre mostre e progetti editoriali e dei workshop. Dal punto di vista della produzione invece, ho due work in progress. The dreamers, un progetto sui sogni. Sto raccogliendo i sogni di alcune persone e i sogni presi dalla letteratura per poi metterli in scena. Ogni sogno è rappresentato da due immagini e un diario d'artista, e Il libro dei simboli, progetto sull'omonimo libro, dove basandomi sulla struttura del volume, ho selezionato alcuni dei simboli più presenti nella nostra cultura e li sto fotografando. Sto poi facendo gli studi preliminari per un progetto dedicato alla cosmologia.
Qual è il desiderio del tuo cuore?
Continuare a meravigliarmi.
Dai la risposta alla domanda che volevi io ti facessi e che non ti ho fatto...
Eh, 42 (ride n.d.r.).
Valeria Pierini è nata ad Assisi nel 1984. Vive e lavora in Italia.
http://valeriapierini.it/