La grande kermesse dell’Expo 2015, accanto ai tanti motivi e temi polemici che l’hanno accompagnata, può riservare stimolanti sorprese, che, se decontestualizzate, ci offrono l’opportunità di conoscere o riconoscere aspetti, personaggi o tematiche più o meno noti. E’ il caso degli affreschi del Tempio di Minerva di Marano e di quelli della “Tomba del tuffatore”, oppure del restauro dei famosi monocromi leonardeschi della Sala delle Asse del Castello Sforzesco e di una mostra, recentemente aperta presso la Galleria Baroni, che riscopre un grande affrescatore milanese, Luigi Ademollo.
Abbiamo chiesto al prof. Sergio Baroni, studioso e conoscitore d’arte, nonché organizzatore della mostra, di chiarirci anzi tutto, dato che la pittura murale va dall’antichità ai giorni nostri, la differenza tra affresco e pittura parietale.
La pittura parietale, cioè la decorazione murale, è sempre stata fatta e ha avuto e ha una finalità principalmente esornativa, mentre l’affresco, pur nelle diverse tecniche, racchiude, con una funzione narrativa, un tema storico, mitologico, religioso o celebrativo.
La sua esposizione propone un autore neoclassico da riscoprire...
Quando si pensa ai grandi pittori di epoca neoclassica specializzati negli affreschi, in genere vengono alla mente Andrea Appiani (1754-1817) e Felice Giani (1758-1823). Il primo, attivo nell’Italia del Nord, è l’autore delle decorazioni di Villa Reale e del famoso ciclo di affreschi dei Fasti di Napoleone a Palazzo Reale di Milano; il secondo, attivo nell’Italia centrale, è autore di numerose decorazioni parietali in palazzi faentini, bolognesi, romani. Meno noto, benché non meno prolifico - con migliaia di opere in 60 anni di attività - e non meno apprezzabile, è Luigi Ademollo (1764-1849), al quale dedico, in occasione dell’Expo 2015, una mostra incentrata sul suo lavoro in qualità di affrescatore, esponendo disegni, studi, bozzetti per opere murali parzialmente appartenute alla collezione Gianni Versace. Il noto stilista ammirava moltissimo l’opera artistica di Ademollo, diventandone un appassionato collezionista, tanto da portare attenzione a questo autore negli Anni ‘80.
A cosa si deve la scarsa notorietà dell’artista?
Prima di Versace, era stato poco apprezzato, se non fra i cultori e i collezionisti del genere, che hanno sempre ammirato la sua interpretazione drammatica, scenografica, fantasiosa e perfino eccentrica dei soggetti neoclassici. E’ proprio questo suo non allineamento alle istituzioni accademiche ad averlo penalizzato. Per trovare in modo sistematico il nome di Luigi Ademollo in testi di storia dell’arte si devono aspettare gli Anni '70 del Novecento, con il critico G.L. Mellini, seguito da C. Sisi, E. Spalletti, F. Leone, F. Mazzocca.
Come avviene la formazione dell’artista?
Nato a Milano nel 1764, Luigi Ademollo frequenta giovanissimo l’Accademia di Brera, per realizzare di lì a poco il suo sogno: entrare in contatto con la classicità. Ancora ventenne, nel 1785 riesce a raggiungere Roma, dove rimane tre anni. Nell’Urbe, dove tornerà a più riprese, può finalmente conoscere direttamente i monumenti della Roma imperiale e studiare i repertori dei grandi maestri rinascimentali, come Michelangelo e Raffaello. Su di lui giocano una notevole influenza anche le incisioni di Giovanni Battista Piranesi (1720-1778), del quale assorbirà l’interpretazione fantasiosa del classico e il rapporto di amicizia ed epistolare con il massimo esponente del neoclassicismo, Antonio Canova (1757-1822). In uno dei suoi ultimi soggiorni romani, Ademollo conosce anche la pittrice svizzera Angelica Kauffmann (1741-1807), frequentandone il salotto di artisti sensibili alle importanti scoperte archeologiche di allora: Ercolano e Pompei. Dopo il primo periodo romano, Ademollo nel 1788 si reca a Firenze, dove vive a lungo, al servizio del granduca Ferdinando III, nonché conteso da nobili famiglie per la decorazione delle loro dimore. Fra le sue commissioni più importanti di affreschi a Firenze, ricordiamo i soppalchi e il sipario del Teatro della Pergola, la cappella di palazzo Pitti, la Loggia di Porta al Prato, una cappella della Santissima Annunziata. Cinque anni li visse a Siena, altra città in cui ricevette numerose commissioni di affreschi. I soggetti mitologici e civili sono sempre tratti dall’antico, ma il più delle volte non fedeli al racconto originale o al fatto storico, perché inclini a una drammatizzazione dettata dall’estro creativo dell’artista. Dotato di vasta erudizione archeologica e letteraria, conoscitore e stimatore di Omero, Virgilio, Plutarco, della storia romana e del Vecchio e Nuovo Testamento, egli traduce in arte figurativa le opere letterarie, uscendo dai canoni ortodossi del neoclassicismo per puntare al pathos della tensione narrativa. Nei suoi lavori, siano essi a tema mitologico, storico o religioso, vediamo il più delle volte un accalcarsi di folle e di personaggi che rimandano a un tono drammatico e teatrale da tragedia alfieriana, lontano dalla “serenità” dell’accademismo neoclassico. Nella sua predilezione per le opere murali, ornò le pareti di palazzi, ville e chiese delle città toscane: le già citate Firenze e Siena, ma anche Livorno, Pisa, Arezzo, Lucca, Pietrasanta. Nell’ultimo periodo della sua carriera, dopo la caduta di Napoleone (1814) e l’introduzione dei nuovi ideali artistici dettati dalla Restaurazione, Ademollo riuscì a ritagliarsi uno spazio nelle periferie, dove non perse la sua interpretazione originale anche nell’affrontare il genere sacro. In questi ultimi anni lavorò a Pontedera, Pomarance, Borgo a Mozzano, dove di recente sono stati restaurati gli affreschi della Chiesa di San Rocco, e altri piccoli centri. Sempre grazie alla sua erudizione classica, fu grande sperimentatore di insoliti procedimenti pittorici, spaziando nelle tecniche tipiche degli affreschi: a fresco, a mezzo fresco, a tempera e a encausto. Predilesse quest’ultima, di cui diventò uno specialista, elaborando un procedimento originale di encausticatura.
Ci può approfondire la tecnica e il significato dell’encausto?
L’encausto, una delle tecniche principali per gli affreschi, benché usato anche per opere di manifattura, ha le sue radici in epoca egizia ed è adottato dalle civiltà greca e romana. Il termine infatti proviene dal greco “bruciare” e indica “colore sciolto nella cera fusa”. Dopo il declino nel periodo medievale, quando in Occidente è abbandonato benché in Oriente continui a sopravvivere, viene ripreso nel Rinascimento, epoca che assiste a una nuova fioritura della pittura murale, come dimostrano le grandiose opere di Raffaello e Michelangelo, rispettivamente con le Stanze dei Musei Vaticani e con la volta della Cappella Sistina. E’ un’epoca in cui non mancano nuovi tentativi di pittura a encausto, che si rifanno a fonti letterarie classiche, ma il vero revival arriva con il periodo neoclassico, quando la cera viene vista come il legante classico per eccellenza e gli studi sulle fonti antiche si incrementano. Se da una parte si assiste a un approccio archeologizzante, prevalentemente di interesse letterario e accademico, si fa strada dall’altra un approccio più tecnico che ha l’obiettivo di far rivivere la tecnica in modo concreto. I tentativi puristi lasciano così la strada a tecniche miste, composte da tempere vegetali che venivano poi encausticate con miscele a base di olii, trementina e cera. Ecco perché si parla di encausticatura, più che di encausto vero e proprio. Ademollo fu tra gli artisti che favorirono l’introduzione delle tecniche encaustiche in Toscana, alle quali aderì dal 1795, come emerge dalle fonti.
Ademollo ha lasciato una grande messe di opere, come si organizzava per essere così produttivo?
Per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro, Ademollo si avvaleva di un’equipe e procedeva nel seguente modo: concepiva il progetto di sua mano tramite disegni su carta, che poi suddivideva fra i vari collaboratori della sua ampia bottega, occupandosi in prima persona della parte centrale. Sono infatti raramente di sua mano gli ornati, le figure monocrome, le campiture, la partitura e le dorature, benché sempre eseguiti sotto la sua sorveglianza. La preparazione del supporto murario era effettuata da apposite maestranze, che si occupavano degli intonaci, della loro rifinitura, della battitura dei fili e della divisione degli spazi per delimitare l’opera finale, oltre che di stuccature e di pose di calchi, stipiti, cornici di porte e finestre. A compimento dell’opera, subentravano altre maestranze per realizzazioni e finiture ulteriori, come la coloritura delle porte e delle finestre, dei bastoni per i tendaggi, ecc.
Cos’è rimasto di questo metodo di lavoro?
Diverso da questo lavoro in equipe sarà il metodo di lavoro nel Novecento, quando attorno agli Anni Trenta si assiste, in grandi artisti, a un ritorno all’affresco e alla grande decorazione murale come ripresa del classicismo. Primo fra tutti Mario Sironi (1885-1961), di cui ricordiamo L’Italia tra le arti e le scienze nell’aula magna dell’Università La Sapienza a Roma nel 1935 e L’Italia e gli studi nell’aula magna dell’Università Ca’ Foscari di Venezia; anche Achille Funi (1890-1972), che decora le pareti della Triennale di Milano nel 1933 e la sala della Consulta del Palazzo Comunale di Ferrara (1934-1937) con episodi ispirati alle opere dell’Ariosto e altri noti maestri. Questi artisti si occupavano per intero del progetto, gestendolo in prima persona, pur con la dovuta assistenza tecnica di artigiani. La rinascita della grande decorazione nel primo Novecento trova la sua forza nel concetto di arte con finalità sociale in antitesi all’arte ornamentale, contrapponendo la grande decorazione a muro alle opere “da cavalletto”.
Per maggiori informazioni:
L’affresco neoclassico nell’interpretazione di Luigi Ademollo, Galleria Baroni, via Madonnina 17, Milano