Il 9 aprile si è aperto a Milano il Padiglione delle Arti Visive e Applicate di Expo, con la mostra Arts & Foods. La mostra indaga i rapporti fra arte e cibo dal 1851, quando si è tenuta la prima Esposizione Universale a Londra, ad oggi: pittura, scultura, installazione, fotografia, video, ma anche letteratura, moda, cinema, TV, con numerosissimi grandi nomi nazionali e internazionali dell’arte contemporanea e del passato.
Si tratta di un evento importante e, naturalmente, l’Italietta ha cominciato con le polemiche ancor prima dell’inaugurazione. Da subito è stato chiaro il continuo raffronto tra questa esposizione istituzionale, di ampio respiro e di portata internazionale, e la Biennale di Venezia, un’altra manifestazione che, a torto o a ragione, viene criticata come sport nazionale. Si è subito polemizzato contro l’elevato compenso del curatore Germano Celant, sproporzionato se confrontato con quello ricevuto dai trascorsi Direttori della Biennale. Tanti i fattori da considerare: la figura di Celant, prestigiosa a livello internazionale, che arriva là dove non tutti possono facilmente accedere e porta con sé sponsor sicuri; il lavoro a 360 gradi, durato 4 anni… Demetrio Paparoni e Vittorio Sgarbi sono stati tra i primi a scandalizzarsi per l’entità dell’investimento pubblico.
Quando la rassegna è stata visitata dalla stampa, Achille Bonito Oliva ha sottolineato la presenza troppo invadente della Pop Art e degli artisti americani. Viene il dubbio che il critico non abbia visitato tutte le sezioni della mostra, tant’è vasta; basta sfogliare l’elenco degli autori per vedere che anche il numero degli Italiani non è irrisorio. Certo la Pop Art è ben rappresentata, ma, dato il tema, come avrebbe potuto essere diversamente?
Qualcun altro, meno noto, ha gridato allo scandalo, perché mancano all’appello gli artisti contemporanei cinesi. In effetti, questo è vero, ed è un peccato. Sarebbe stato interessante vedere esposti per esempio i semi di girasole di Ai Weiwei, visto che la Lisson Gallery che lo rappresenta ha sede anche a Milano. Problemi insormontabili? Il Paese asiatico comunque fa bella mostra di sé nella sezione storica.
In ultimo, l’attacco agli artisti che hanno dileggiato Mc Donald’s, sponsor di Expo. Tra questi, i fratelli Chapman con l’opera When the world ends del 2012, dove il clown-mascotte Ronald è crocifisso e scheletri in divisa nazista gustano Big Mac e Coca-Cola (altro sponsor di Expo). Sicuramente un lavoro contro il junk food, nonostante gli sforzi dell’azienda per migliorare la qualità del cibo in termini salutistici, cibo a modesto prezzo quindi democratico, ma anche una protesta contro il consumismo.
Tirando le fila del discorso, la mostra si basa su un forte rigore scientifico, ha un respiro mondiale e, immensa, può stimolare su più fronti la riflessione e il pensiero. Alla fine, allo stato attuale dell’arte, chi in Italia avrebbe potuto fare meglio alzi la mano.