Come tanti aristocratici d’inizio Novecento Giuseppe Piccolo di Calanovella fuggì a Sanremo con una ballerina. Negli anni precedenti aveva sperperato il patrimonio di famiglia godendosi la vita nella sontuosa Palermo della Belle Epoque dominata dai Florio: al tavolo da gioco, con le avventure erotiche, in bagordi assortiti.
A differenza di molte donne del tempo la sua sposa Teresa Mastrogiovanni Tasca Filangeri di Cutò non lo perdonò. Gli scriveva: "Io voglio divenire per te un’estranea, o anche una nemica, ma giammai una moglie compiacente". E ancora: "Da ieri sei tornato alla tattica che usavi alla Piana, vuol dire l’indegna commedia del sentimento. Credi di poter sfruttare ancora la mia bontà e la mia buona fede. Troppo tardi! […] Se io mi separo riacquisto la mia pace, la mia dignità e non perdo niente […] Domani non farmi chiamare in camera tua perché ho deciso di non venirci mai più".
Dalla ribellione e dal coraggio di Teresa, che lasciò Palermo dopo la disfatta matrimoniale, nella seconda metà degli anni Venti, e si appartò nella villa di campagna a Capo d’Orlando affinché l’oblio avvolgesse l’inqualificabile vicenda e per salvare le ultime risorse economiche della casata, nacque un irripetibile cenacolo di cultura, d’avanguardia e di bizzarria. Ai tre figli suoi e di quel fedifrago del marito, che invano provò e riprovò ad aggiustare la disastrata unione, Teresa chiese di non accompagnarsi e li incatenò a sé. Intelligente e colta seppe ispirarli, intelligenti e colti si ispirarono. Nubile e celibi, accanto a mammà nella dimora amata fin dall’infanzia, Agata Giovanna (1891), Casimiro (1894) e Lucio Piccolo (1901) si dedicarono a grandi passioni: ai confini, ma non isolati, in corrispondenza poliglotta con amici in ogni dove e molto accoglienti con il prossimo.
Nella villa siciliana, oggi aperta al pubblico (www.fondazionepiccolo.it), Giuseppe Tomasi di Lampedusa, cugino dei Piccolo, scrisse una parte del Gattopardo mentre Agata Giovanna si dedicava alla botanica, importando piante esotiche, compresa la rara Puja delle Ande da lei introdotta in Europa per la prima volta, Casimiro allo spiritismo, alla fotografia, con trovate innovatrici, agli acquerelli, Lucio alla poesia.
Nel 1954, a 53 anni, Lucio conobbe il successo. Aveva spedito a Eugenio Montale alcuni suoi versi, fatti stampare in una tipografia di Sant’Agata di Militello. Montale li trovò sommi e, intervistato dal giornalista della RAI Vanni Ronsisvalle, parlò dello sconosciuto, raffinato “giovane poeta” orlandino; fu sorpreso, nell’incontrarlo a Milano insieme con il cugino Lampedusa, di scoprire che l’ultracinquantenne Piccolo aveva solo sette anni meno di lui. In quel periodo Mondadori pubblicò “I canti barocchi e altre liriche”, nel 1956 Piccolo vinse il premio Chianciano e la villa di Capo d’Orlando, divenne meta di scrittori e poeti. Il barone di Calanovella fu amico di Yeats, Pasolini, Piovene, Pizzuto. E detestò gli uomini in divisa da quando i carabinieri lo multarono perché fermo in mezzo alla strada sulla motocicletta buttava giù versi dettati da improvvisa e incontenibile ispirazione.
Nella villa, arredata con l’eclettismo e il gusto delle importanti dinastie siciliane, aleggiava un’atmosfera conturbante che ancora si percepisce, un misto di fascino, nobiltà, con un sentore di mistero. Pare che gli ospiti sconosciuti venissero osservati di nascosto per decidere se degni. Casimiro, detto dal fratello minore Sua Eccellenza, dormiva di giorno e viveva di notte, dipingeva gnomi e coboldi sostenendo di frequentarli. Agata Giovanna coltivava l’orto botanico e si prodigava per l’Istituto internazione di Floricoltura al quale era iscritta. Cucinava squisitezze nella tradizione dei Gattopardi. In gioventù ebbe un amore tormentato.
Sui divani antichi, sotto la galleria di gelsomini, intorno allo sgabello del pianoforte il visitatore immagini sempre un cane: i tre fratelli Piccolo amavano gli animali, come il cugino Lampedusa che nelle lettere alla famiglia si firmava il Mostro, Casimiro pensava che i gatti avessero un’anima e dunque si reincarnassero. Nel giardino c’è un cimitero fitto di lapidi minute e con nomi anche in dialetto, Sturtiddu, per esempio, c’è chi dice sia stato il primo in Europa destinato ai cani. Con solo qualche felino ammesso.