Un giorno troverò una parola
che penetri il tuo corpo e ti fecondi,
che si posi sul tuo seno
come una mano aperta e chiusa al tempo stesso.
Incontrerò una parola
che trattenga il tuo corpo e lo faccia girare,
che contenga il tuo corpo
e apra i tuoi occhi come un dio senza nubi
e usi la tua saliva
e ti pieghi le gambe.
Tu forse non la sentirai
o forse non la capirai.
Non è necessario.
Vagherà dentro di te come una ruota
fino a percorrerti da un estremo all’altro,
donna mia e non mia
e non si fermerà neanche quando tu morirai".
(Roberto Juarroz)
Tutto in me ruota vorticosamente: scatole e mente
(Gaetano Arcangeli)
Vortex è l'incontro con la parola, che si fa materia. Una costituzione cosmopoetica è la ricerca che porta l'artista Opiemme con il ciclo di tre mostre, la prima al Bi-Box Art Space a Biella, la seconda conclusasi recentemente negli spazi di Portanova12 a Bologna e la terza che si terrà allo Studio D'Ars a Milano il prossimo Novembre.
Vortex indaga la stretta osmosi ciclica che vi è tra uomo e cosmo, interpellando parole, poesie, pianeti, e stelle. Lo spazio della pittura diventa respiro e luce. Il lavoro trae ispirazione dal libro L'alfabeto scende dalle stelle. Sull'origine della scrittura di Giuseppe Sermonti, nel quale si sostiene che l'alfabeto non sarebbe altro che un'immagine derivata dalle forme delle costellazioni. Il linguaggio non diviene quindi che una proiezione fluttuante dell'universo. Quanta vertigine e vastità nell'ombra di questo pensiero. Lettere come petali di soffioni, vorticosamente si liberano nel dipinto murale sopra l'Autostazione di Bologna. N, S, Y, F, I, H, M, ecc...
La serie di questi lavori però sono frutto anche di un certo sentire dell'artista, di una certa poetica portata avanti soprattutto negli ultimi due anni in giro prima per tutta l'Italia con Un viaggio di pittura e poesia e poi per il mondo, come Haiti, Thailandia, Uruguay, Argentina (dove ha partecipato alla 5a Bienal del fin del mundo) e la Polonia. Proprio in Polonia, secondo il mio parere, Opiemme ha dato forma e corpo all'emblema di Vortex, tramite il dipinto murale sulla parete di dieci piani per il Monumental Art a Gdansk dedicato a una donna che ha fatto della poesia uno struggente acuto lucido sentire, la poetessa Wislawa Szymborska, premio Nobel nel 1996. Da Sotto una piccola stella: "Verità, non prestarmi troppa attenzione / Serietà, sii magnanima con me".
Come elementi irridescenti le lettere fluttuano e piovono da un gigantesco pianeta-buco nero. L'infinito poetare si ibrida all'oscuro mistero del cosmo. Una profonda introspezione genera l'abisso della parola. Una colata arcobaleno sovrasta e si frammenta in lingue di colore geometrico. Tutto è soppesato da forze contrastanti, sempre nei lavori di Opiemme. Dicotomico e calibrato, anche nel primo testo critico Daniele Decia descrive Vortex come una ricerca tra astrattismo e la parola, di "lettere informali", tra informale e poesia visiva. Lettere genitrici e fecondanti aggiungo io. Lettere atomi, lettere attimi.
Nei lavori esposti a Bologna, si può appunto constatare questo dualismo tra la tecnica dello stencil più rigoroso e uniforme in un teso e delicato confronto con il dripping multiforme e multicolorato, imprevedibile e casuale. L'astrofisico inglese Martin Rees scriveva: "Il Sole e il firmamento fanno parte del nostro ambiente - il nostro habitat cosmico: una percezione che gli scienziati condividono con poeti e mistici. "Io sono parte del Sole, micosi come il mio occhio è parte di me" scriveva D.H. Lawrence, e Van Gogh dipinse la Notte Stellata con lo stesso spirito con cui dipingeva i campi di grano e i girasoli. L'arte e la letteratura abbondano di simili esempi. La scienza rende più profondo questo senso di appartenenza a ciò che non è terrestre. Noi stessi, d'altronde, siamo a metà strada tra l'universo è il microcosmo: per mettere insieme la massa del Sole ci vogliono tanti corpi umani quanti sono gli atomi in ciascuno di noi. E la nostra esistenza dipende, certo, dalla tendenza degli atomi ad attaccarsi gli uni agli altri e unirsi in quelle molecole complesse che formano tutti i tessuti viventi, ma l'ossigeno e il carbonio dei nostri corpi sono stati creati, a loro volta, entro stelle lontane, vissute e morte miliardi di anni fa". Questi pianeti tatuati di lettere e parole diventano pelli intergalattiche.
Il poeta della streetart, come da molti definito, ha attinto da penne fiere e storiche, come Gaetano Arcangeli, Roberto Roversi, Lucio Dalla, Edgar Allan Poe, Eugenio Montale trasformando i versi in colate opulescenti di lettere che prima di farsi immagine, sono per me materia evanescente e nebulosa. Le parole sono decostruite per piovere a uno stato disgregato e gassoso, libero e caotico. Ho trovato come perfetto supporti alla polvere poetica, le cartine geografiche e le anziane pagine di alcuni Resto del Carlino. In questi lavori le lettere e i pianeti sono più decisi, grafici, autonomi, ma pur conservando una loro autonomia, riescono a interagire in punta di piedi con le realtà loro sottostanti. Gli spazi sono lattiginosi dripping che donano la completa percezione della consistenza Lattea, puntiforme e infinita.
Le galassie di parole si intersecano come precipitazioni meteorologiche su strati di memoria, di notizie e di luoghi, di geografie che ormai sono divenute orizzonti nelle mente dell'osservatore. Pulviscolare e centrifugo l'atto pittorico di Opiemme, cerca di ricondurci all'origine, al caos dell'inizio, al chiasmo organico della materia, all'inizio del linguaggio. Nell'ancestralità della costituzione riesce nei propri equilibri visivi a unire micro e macro. Una pittura che nel silenzio dell'universo è onomatopeica e altisonante. Declamatoria. I suoi lavori tendono a essere appelli, nell'urgenza e brevità di un verso notturno che si fa lampo di memoria e visione.
Tutto è pronto: la valigia,
le camicie, le mappe, la fatua speranza.
/
Mi spolvero le palpebre.
Ho messo all'occhiello
la rosa dei venti.
/
Tutto è pronto: il mare, l'atlante, l'aria.
/
Mi manca solo il quando, il dove,
un diario di bordo, le carte
di navigazione, venti a favore,
il coraggio e qualcuno che mi ami
come non so amarmi io.
/
La nave che non c'è, le mani attonite,
lo sguardo intento, le imboscate,
il filo ombelicale dell'orizzonte
che sottolinea questi versi sospesi…
/
Tutto è pronto. Sul serio. Invano.
(Juan Vicente Piqueras, Voglia di restare)