Sono alberesse oracolanti, figure dell’assorbimento in tutto generanti, oracolesse. Mandala sodissimi, cosmogrammi saturanti, megalopoli, piramidi dell’interiore. Reliquie, geologie in forma di femminario. Colme di simboli e vessilli e formulari e tintinnaboli e arcane sapienze e corna del resuscitamento e cavigliere del musicamento e Symbolicae Quaestiones, accorrono stanziali e vittoriose - illimitatamente- rispondendo a un nudo richiamo. Figure in preghiera con la preghiera fattesi tutt’uno, divenute preghiera interamente. Preghiera soda, fasciata rosa altisonante.
Esseri della devozione che han fatto del dionisiaco il luogo della permanenza, esseri della contemplazione che fanno dell’espansione il luogo dell’alleanza e del peregrinare, la somma intesa di tutti i sensi in festa, l’accordo col creato trasmutante. Senza tempo, senza età. Ringiovanenti e millenarie. Silenti e aggraziate e piene di abitacoli, coi volti in pietra dell’isola senza inganni, in filarmonica d’ardore, scalpitanti nella sapienza dell’incessante. Esseri in espansione, vivi in espansione, danzanti in espansione, espansi di espansione. Danno la pace dei monasteri con corpo appassionato; senza sfide, competizioni, onnipotenze. Con ebbrezza del niente riconciliato, per ventosa conformazione, alito d’alga, filamento di muschio erbevole colmo d’incantevole ebbrietà, come uno stato d’acqua sempre nuovo. Migratorie e compassionevoli, con atmosfere delicate sanno discendere in ogni azione, celebrando il presente senza fine. Ecco il loro libro delle beatitudini, quello dello splendore, quello delle delizie tutte. Ecco il richiamo di un bel canto di meandro, negli assoluti di un sentimento partecipato. La viva luminaria di Venere radiante.
Piero della Francesca applaudirebbe; lui che alla Madonna del Parto ha dedicato un monumento di fierezza incomparabile nella Mater Matuta che tutti conosciamo. Lei, Somma Guardiana, glorioso Magnificat, Blachernitissa, Melagrana sgranata benedicente che viene al visitatore nel suo carico di assoluto mentre allude all’ingravidamento col solco bianco della camicia-vagina, per scucita cucitura del ventre intero, trasversalmente. Piero rivive in Octavia Monaco infinite volte, tante quante sono le dottrine dei legamenti e delle incarnazioni. Senza nascondimento, sublimazione. Senza vergogna, senza castità. Perché qui, tutto è offerta di carne, congiungimento, tutto è sacro sacrario, Suprema Porta immarcescibile. Senza pensieri sfilacciati che già non siano miracolo della più fonda verità. Tutto è pieno, nobile, fecondante. E tutto ha crosta grande di animale veggente e canta le lodi dell’interezza, per infinita creanza e creatitudine. Uova conigli fiamme, tatuaggi e fregi istoriati, tabernacoli e finestrelle, mari pieni di rondini, unicorni in latte d’argento, fasciatoi e sorgenti del sempreverde, tigri bacianti, quadrifogli delle fortune, opifici, covazioni, convocazioni, spirali. Piccoli i gesti acconciati, piccoli i passi accovacciati da leccare con amorosa litania, piccoli i sermoni ai cuccioli della specie, felice la piccola anima, come un serpe rigenerato dal suo riflusso spiraliforme, pronto a rilasci di tuberosa. Dove la carne e il divino si intendono, dove spirito e materia hanno la stessa aria di densità, dove ogni cosa brilla dentro al suo eremo -dentro alla sua fiaba- incanalandosi accoppiandosi rigenerandosi. Nella celebrazione del senza fine moltiplicato.
Apsara Apsarae, Rosa Rosae, Buddha Buddhae. Mandala Mandylion, Vescica Piscis, Mandorla Mistica. Ciò che in Giovanni da Modena -nei celebri affreschi della Cappella Bolognini di san Petronio- o nel desco da parto del Maestro di Ladislao Durazzo -inneggiante il Trionfo di Venere - viene alluso, in Octavia Monaco si manifesta. Ciò che un tempo era simbolo (Ecclesia, Divina Trinità, Giardino d'Amore) celebrante l’intersezione di due mondi, si libera esplicitandosi. Ponteggio fra celato e manifesto, nucleo unitario preesistente agli opposti, amorosa sapienza. E le sostanze figurative convocate, non solo immagini della seduzione più carezzevole ma conche di sedimento, volumi archeologici, riti iniziatici, medicine di guarigione, nel tempo lento –antimoderno- della Rivelazione. Composti dello spirito, figure inurbate di infervorata solennità, visioni compassionevoli di forgiato sentimento, camminamenti che hanno accolto anche il temibile rendendolo necessario, che sanno spurgare perché hanno già spurgato, dentro al sorriso dolce dell’accettazione inopinabile. Nella giostra del fato, il mondo può scoppiare all’improvviso mentre nell’occhio di un canto innamorato il mormorìo dell’animazione può divenire arte del risplendere. Sottili come un’increspatura, le Signore della Contemplazione sono lì, dentro al figurare in cui ogni esperienza è già compiuta, lì a rammemorare l’illuminante freschezza senza confini, l’incandescenza, lo slancio creaturale della sinuosità, la muta di tutte le stagioni nel ciclo iridescente. Lì, a rilasciare l’aura.
Il pittore di icone dipinge a fondo d’oro il migrare del tempo, il paesaggio interiore della pienezza e quello alchemico della Presenza, e fa del suo pennello l’abitacolo dello spirito. Il pittore di icone non dipinge immagini, ma Essenze. Memorie animiche, agglutinamenti. La bacchetta della storia allude e indica, ma il pittore di icone dipinge l’immutabile di ciò che si riassorbe al centro dopo aver tutto liberato, pennella i millenni in estensione. Poco importa del resto. Il pittore di icone ha caro l’alto proponimento, parla al distacco con emulsione e onora l’apparire mutandolo, comparendo lì dove tramonta l’esteriore. Non possiamo ovviare all’impermanenza, dice il pittore di icone. E Octavia Monaco – come Pavel Florenskij - pare aggiungere: “qui tutto è passato tutto è presente tutto è futuro tutto è divenire, negli avvitamenti nel tutto di ogni cosa. Sovrabbondanti primieramente come figure di garbo antico, eccoci come talismani nell’onda magnanima dei mille tentacoli ubicanti. Per via remotissima noi cantatrici dallo sguardo di ghianda abbiamo l’occhio interiore non discostato e non cerchiamo fuori di noi stesse anche se il fuori suona di un riverbero e stiamo immerse in materia brillevole e siamo materia ben masticata fin dalle origini siamo materia non ascetica ma cangiante soccorrevole fiammeggiante.”
Nel magma vorticante delle apparenze, tutte le sagome sono aria del trapassante. Nelle cuspidi della luce, dentro a un silenzio senza contorsione, il sacro diviene un’esperienza gustativa, tattile; una celebrazione senza mancar di niente, un’abbondanza. Allora, l’inestricabile figurare amoroso sii, sii l’ardenza del luccicore, l’esuberante fino allo spasimo. Inda Angelica Fiamma. La corte del respiro, l’ombra della conservazione; qui è visione di alberatura e tatto e tutto vive già in salvo, in un continuo appassire e fiorire di fioritura, in slargo di redenzione. Dove la preghiera si fa danza meditativa, assorbimento in tutto generante, ecco l’apertura fiammante, la soglia oracolare, l’obbedienza alla gioia in movimento. Dove l'accogliere è più forte di una stella, alta misericordia in libro d'ore, coscienza illuminata, anima chiara. Memorie spirituali, perlature. Siamo Spose Guardiane del Creato e del suo sciogliersi dissolversi risolversi. In bianco mulinare, come di musica.
Testo di Paola Goretti
Il 9 di maggio alla galleria Nelumbo a Bologna, si inaugurerà la mostra che raccoglie le opere del ciclo Inda Angelica Fiamma con la direzione artistica di Paola Goretti.
Paola Goretti, cinquecentista di formazione, storica dell’arte e del costume, esperta di integrazione sensoriale, docente e visting professor per numerosi atenei e fondazioni (tra cui la Fondazione Ermitage Italia, negli anni 2009-2010, per ampie ricognizioni sul patrimonio pittorico italiano a San Pietroburgo). È autrice di una cinquantina di saggi sul costume di tutte le epoche e di alcuni volumi. Tra questi, Il sentimento della cura: appunti per un dialogo affettivo (Ibis 2004); Monumenta. I Costumi di scena della Fondazione Cerratelli, fotografie di Aurelio Amendola (Pacini 2009), premiato dal Club Unesco di Firenze; Mario Nanni. Luce all’opera (Skira, 2013); Venanzo Crocetti e il sentimento dell’antico. L’eleganza nel Novecento (Allemandi 2013). Ha curato la sezione dannunziana de L’arte della bellezza. I gioielli di Gianmaria Buccellati (Skira 2015). Dal 2013 è impegnata in un progetto di ricerca (Università di Teramo — Fondazione Crocetti di Roma) rivolto alle Arti della Luce e dello Splendore: tra dialogo interculturale, tutela del patrimonio, spiritualità.
Vincitrice della Biennale Giovani (Le donne del garbo, Marsiglia 1990) e del Premio Montale inediti (Gli arcobaleni sul tappeto, Scheiwiller 1994), all’attività scientifica abbina quella artistica, come voce narrante e ispirata paroliera. Ha scritto odi, ballate e oratori per Aldo Coppola, Valeria Scuteri, Antonio Violetta, Mario Nanni, Antonia Ciampi, Patrizia Garavini. E per Octavia Monaco, naturalmente.