Avere 25 anni, essere forte, impavido, ricco di energie e progetti per il futuro, innamorato e fantasioso, agile come un gatto e coraggioso come un leone, combattente capace delle sfide più audaci e … CRASH!... all’improvviso volare dalle impalcature di una casa in costruzione, con la sensazione angosciante di precipitare nel vuoto per sempre in una picchiata terrificante, inarrestabile, vorticosa come una saetta esplosa inaspettata e infuocata in un imprevisto spaventoso temporale della vita e … OHHH! vedere in quel tragitto implacabile, in una dimensione fuori dal tempo e dallo spazio, proiettarsi una serie infinita di immagini, una serie interminabile di fotogrammi nitidi e scomposti, allo stesso tempo, che raccontavano la sua vita con addosso l’odore della morte e la certezza di scrivere la parola “fine” e schiantarsi al suolo senza neanche sentirne il rimbombo né la percezione dello scricchiolare delle ossa …
Ma chissà per quale magica alchimia nella lotta tra la vita e la morte, ecco riemergere più forte dall’evento catastrofico il desiderio di esistere, quale scintilla che brilla e si libra misteriosamente dall’incombenza asfissiante della cenere. Però per poter aver vita questo lapillo deve lottare, deve trovare ossigeno, deve scrollarsi di dosso la pesantezza della cenere, deve attingere da tutta la sua carica vitale per poter sopravvivere e poi ricominciare a vivere.
E questa è stata la lotta di una vita di Nullo Mazzesi, questo agone continuo tra eros e thanatos che l’ha messo a dura prova fino in fondo, che l’ha stremato senza pietà, battaglia che non riguardava solo il salvare il corpo da un fracassamento devastante, ma anche una mente ingombrata da pensieri impensabili, una psiche annichilita da emozioni straripanti, un’energia indebolita dal terrore senza nome. E Nullo, con il suo coraggio e l’amore per la vita, ha lottato contro la burrasca che ha infestato la sua anima, attraversando, per sopravvivere, la palude dell’anestesia mentale in cui si era rifugiato, dove la realtà appariva ovattata, lontana, evanescente, un mondo estraneo da cui non si sentiva toccato e a cui non sentiva più di appartenere. D’altra parte prima di reincontrare la vita è stato necessario proteggersi in uno spazio interno proprio come un feto che deve formarsi prima di essere pronto ad entrare nel mondo, si era rintanato in una specie di utero psichico che lo riparava da contatti che potevano essere dannosi o urticanti per la sua pelle mentale abrasa e dolente proprio come la carne del suo corpo devastato. E dopo un lungo periodo di gestazione di sé, ha cominciato a fare capolino nella vita, portando, comunque, con sé cicatrici nel corpo e nell’anima come segno indelebile del trauma vissuto.
Nel periodo di rannicchiamento ha trovato ristoro nel sonno, sonno popolato da miriadi di sogni e di incubi, ma l’atto del sognare è assolutamente riparatore, “il sogno lecca le ferite degli affanni degli uomini”, i sogni servono per digerire le esperienze indigeste che hanno appesantito l’anima e hanno paralizzato la funzione del pensare. E Nullo quando si è risvegliato alla vita è rinato come persona nuova, più capace di contatto intimo con la sua verità interna, in grado di poterla non solo sognare da sveglio, ma anche presentarla con immagini in pitture stupefacenti, toccanti, che lasciano a bocca aperta o colpiscono come pugni allo stomaco e fanno sentire il cuore in gola perché parlano il linguaggio universale delle emozioni profonde, parlano di paura, di gioia, di confusione, di terrori, di bellezza, di poesia. Presentificano le sensazioni ultime, impensabili e quindi indicibili. Alcune sono creazioni violente, suscitano fastidio e, a volte, addirittura repulsione, dipingono spudoratamente l’inconscio senza filtro, sono mostruosamente stupende, altre sono delicate, raffinate, soffuse di tenerezza, altre ancora sono estremamente sensoriali, erotiche, alcune anche con tonalità perverse. Forse tenero e graffiante è anche Nullo con la sua sensibilità estrema, la sua generosità, ma anche con la sua passionalità e impetuosità. La sua opera è unica, personalissima, attinta con passione e ostinazione dalle viscere del suo mondo interno che svela in maniera travolgente nei suoi racconti per immagini. Pesca nel profondo, con tuffi vorticosi e pericolosi, ma ormai per lui familiari, impunemente entrando e uscendo dal limite, sono tuffi che raggiungono abissi meravigliosi e mostruosi, arrivando là dove si coniuga l’innesto tra psiche e soma, presentando in diretta nei suoi lavori quel luogo-senza-nome che è difficile e, spesso, riduttivo tradurre in parola, ma che richiede di essere contemplato in una sorta di unione mistica dove il linguaggio ancora non trova forma, ma vige solo il silenzio e il contatto intimo tra inconsci in una visione al di là delle parole.
La poetica di Nullo Mazzesi è un “dipingere come sognare” e per incontrare l’artista e tollerare l’angoscia che vibra dalla sua opera occorre essere disponibili emotivamente ad entrare in una dimensione oniroide, lasciarsi toccare da turbamenti urticanti, dolorosi e permettersi di sognare insieme a lui volteggiando sulle ali della visionarietà. Commenterò brevemente alcuni quadri dell’artista, sono pensieri frutto di libere associazioni o di sobbalzi dell’anima, quasi fossero una leggera eco all’immagine, proprio per non disturbare con eccessive parole l’emozione della visione e permettere che si verifichino accoppiamenti differenti, estatici o repulsivi, teneri o arrabbiati, comunque unici per ciascun incontro.
L’urlo della bambina che è ritratta ne Lo spavento della guerra si è fatto avanti con irruenza, sgomitando tra le altre tele o forse è stato il mio occhio a fare da zoom, sta di fatto che mi è subito arrivato addosso come un proiettile caricato di pallottole d’angoscia, “ma è la psicosi”, mi sono detta con emozione. Si tratta di un urlo muto e assordante accompagnato da uno sguardo terrifico e raggelante di chi ha visto l’orrore della vita, è la visione della guerra sì, ma anche della guerra interna, dei fantasmi che si aggirano per le stanze buie della mente, è il terrore della solitudine, della mostruosità irrappresentabile del dolore e dell’angoscia di morte. Forse questo inquietante dipinto, reso ancora più stridente dai colori sgargianti del vestitino della bimba che sembrano sbeffeggiare le tenebre che abitano l’interno, rappresenta anche il vissuto terrifico di Nullo, che mette in scena con la bambina la sua parte fragilizzata dal trauma e l’orrenda sensazione dell’essere in balia del terrore senza nome. L’urlo è anche un modo per sentirsi vivi, è una condensazione di energia che contrasta il venir meno delle forze, che si ribella con rabbia all’essere fagocitati dalla morte.
Ma ecco con ironia e sarcasmo presentarsi Estasi una specie di volto da clown dove i tratti umani sono trasformati, diventano oggetti a sé stanti e ogni parte sembra raccontare una sua storia, eppure le pieghe, le ombre, i concavi e i convessi nel loro insieme rappresentano inequivocabilmente un viso umano disumanizzato, dove un naso-punto interrogativo forse rappresenta il dilemma tra gioia e dolore, tra l’essere e il non essere. La sensazione è che quell’ovale ospiti sentimenti ed esperienze contrastanti: c’è un doppio sguardo, uno tenero e forse accecato dalla gentilezza di un vaso di fiori e un altro controllante, espresso dall’orologio che marca il tempo, ma deve essere un tempo prezioso, impreziosito appunto dalle forme barocche dell’orologio che termina con un pendolo-goccia, forse una lacrima di cristallo? Beffardo è il picchio che impertinente esce dalla bocca, nuovo nido o nicchia del desiderio, l’uccello è come un cucù: quale verità segnalerà?
Mi sento, in seguito, avviluppata da un’immagine tragica: La morte del guerriero. È una maschera d’angoscia depressiva che trasfigura e cannibalizza la vitalità. Il volto scarno, i capelli madidamente incollati al viso, gli occhi strizzati dal dolore del vivere, incorniciati da tinte forti, livide, la bocca aperta che cola sangue e lascia intravedere una dentatura morta e il naso, che sembra partire da un foro della mente, quasi un terzo occhio sanguinante, attraversa con irruenza il viso e confluisce in due narici animalesche che sembrano odorare la spettralità della vita. Forse è il ritratto del fantasma che invade l’inconscio, forse è un autoritratto dei momenti di angoscia infinita, forse è il sentirsi fagocitato da una depressione che desertifica l’anima; è come un morire dissanguato nella mente ed è, allo stesso tempo, un bisogno di nutrirsi avidamente dell’altro, di succhiarne con rabbia la linfa vitale: d’altra parte diventa vampiro chi è stato vampirizzato.
Mi allontano da quella visione macabra per infrangermi contro colori forti, linee spezzate, denti a lama e occhi da animale ferito, questo scenario violento dà forma a “ ...”, è un viso disumanizzato che urla disperazione e terrore, chiede aiuto e suscita inquietanti interrogativi: qual è la sua storia? Che tragedia l’ha toccato? Cosa gli hanno fatto? Come si è ridotto così? Lasciando vagare in libertà queste domande, entro in una altro clima emotivo quando mi imbatto in Ritratto di uomo grigio, ha tratti finalmente umani, ma manca di colore, sembra il negativo di un’immagine fotografica, il sorriso è tirato, è una smorfia, le pieghe del volto segnano intensità esperienziale, lo sguardo è vitreo, provato e la testa/mente appare più grande del locale che la ospita, i suoi pensieri sembrano trasbordare da un contenitore insufficiente: questa è una sensazione terribile che rende insopportabile il vivere. Anche in questo caso il personaggio del quadro lascia sottendere una storia e offre agli interlocutori la possibilità di immaginare e di sognare tutte le trame possibili, stimolando la funzione mitopoietica della mente che è patrimonio soggettivo di ciascuno di noi, ma che spesso è latente e che, come la bella addormentata, ha bisogno di essere risvegliata dall’incontro stimolante con un altro immaginario.
Abbiamo incontrato qui alcune delle opere di Nullo Mazzesi che rappresentano l’angoscia del vivere, lavori che danno forma all’esperienza del tragico, tanto da poter essere apparentati alla tragedia greca. Ma questo è solo il lato buio dell’artista, esiste in realtà un’altra parte, quella luminosa che è sopravvissuta ed è stata riparata dalle violenze subite nell’arco della vita. È la parte che inneggia alla speranza, che prova gratitudine, che tratta con cura e rispetto i sentimenti e le relazioni e che si rivela nei dipinti con colori tenui e delicati, ma è soprattutto nella poesia e nell’opera grafica che si lascia intravedere, dove il tratto e i contenuti rivelano con tocco raffinato la sensibilità dell’anima.
Queste le sue parole: “Ho deposto in uno scrigno dorato un foglio piegato con resti di memorie sofferte, di miserie e di guerre… Nella pittura, nella grafica, nei racconti, nelle poesie ho vagato come nel giardino del Paradiso. Se da piccolo ho vissuto tutta la vita in un sol giorno, ora, nei sentieri stretti della vecchiaia, mi sembra di vivere ogni giorno tutta la vita”.