Il protagonista e l’autore del romanzo Le avventure del Barone di Münchhausen sono due figure singolari e stravaganti: entrambe persone reali e allo stesso tempo inverosimili.
Il primo, Karl Friedrich Hieronymus von Münchhausen (1720-97), conosciuto poi come Il Barone di Münchhausen, fu un nobiluomo e militare tedesco. Trasferitosi in Russia al seguito di Antonio Ulrico II, si dedicò con zelo alla carriera nell’esercito dove raggiunse il grado di capitano di cavalleria. Dopo il pensionamento, acquistò fama e reputazione grazie alla narrazione di viaggi e avventure improbabili vissuti in prima persona: tra questi, quelli divenuti maggiormente celebri sono il viaggio a cavallo di una palla di cannone, l’essere uscito incolume dalle sabbie mobili tirandosi fuori per i propri capelli e le spedizioni sulla Luna di cui ci occupiamo in questa sede.
Impegnato in una serie di imprese tanto mirabolanti quanto strampalate, presto venne trasformato in un eroe leggendario attraverso alcuni aneddoti pubblicati prima su un giornale umoristico berlinese e in seguito raccolti in un volume scritto in inglese che uscì anonimo a Oxford nel 1785: Baron Munchhausen's Narrative of his Marvellous Travels and Campaigns in Russia. Il suo autore, come si scoprì successivamente, era Rudolf Erich Raspe, un eccentrico erudito tedesco. Bibliotecario di Hannover, autore di scritti scientifici su geologia e mineralogia, curatore di un’importante edizione delle opere di Leibnitz (1765), professore di archeologia a Kassel e infine profugo in Inghilterra a causa di una truffa. La sua popolarità, oggi, si deve soprattutto al romanzo dedicato al celebre Barone, opera che venne poi rielaborata e tradotta in tedesco da Gottfried Burger acquisendo fama in tutto il mondo.
La stravaganza del barone, la sua megalomania, la tendenza al paradosso e la totale disponibilità dell’autore ad assecondarne e amplificarne le inclinazioni, hanno fatto di questo romanzo un’opera di divertimento fine a se stesso, in cui la razionalità è costantemente sopraffatta dalla fantasia. Letta la prima pagina, dove si afferma in maniera solenne che le avventure narrate sono «fatti positivi e reali», ci si convince senza problemi che in tutto quanto segue sarebbe impossibile se non addirittura sbagliato cercare qualcosa di verosimile, poiché la verosimiglianza poggia tutta nel suo essere assurda, e la sua verità consiste proprio nel suo essere menzogna.
Per secoli poeti e scrittori avevano compiuto viaggi fantastici sulla Luna senza preoccuparsi minimamente di dare alla propria narrazione un minimo di credibilità: si pensi ad esempio all’Astolfo di Ludovico Ariosto, arrivato sul satellite terrestre cavalcando l’Ippogrifo, o a Cyrano de Bergerac che si avvale di fantasiose ampolle di rugiada.
Sarebbe stato perlomeno strano che il Barone di Münchhausen, nel suo campionario di avventure straordinarie, non annoverasse anche un qualche viaggio lunare. E infatti ci sale per ben due volte - melius abundare quam deficere , ce lo insegnano gli antichi! – e per giunta con la massima felicità: la prima volta arrampicandosi su per una pianta di fagiolo seminata lì per lì, e la seconda grazie a un evento casuale, e cioè un ciclone marino.
Nel primo di questi due episodi, il Barone, prigioniero dei turchi, riceve dal sultano l’assurdo compito di far pascolare le api. Accorgendosi che ne manca una all’appello, si accorge ben presto che questa è insediata da una coppia di orsi. Per liberare l’ape, lancia una scure d’argento contro i suoi inseguitori:
«Ma, per lo slancio troppo forte del mio braccio, la scure rimbalzò in alto e non cessò di salire finché non si trovò sulla Luna. Come fare a riprenderla? Allora mi venne in mente che i fagioli di Spagna crescono molto rapidamente e raggiungono talvolta altezze prodigiose. Sull’istante piantai dunque un fagiolo che realmente crebbe in altezza e si avvicinò spontaneamente a uno dei corni sulla Luna. Mi ci arrampicai fiducioso, e arrivai felicemente sull’astro notturno».
Nel secondo episodio, il Barone è costretto a mettersi in viaggio al seguito di un suo parente che crede di poter trovare un popolo uguale a quello conosciuto da Gulliver nel regno di Brobdingnag: «Arrivammo nel Mare del Sud senza alcun avvenimento degno di nota […]. Il diciottesimo giorno, dopo aver superato l’isola di Otahiti, un ciclone sollevò la nostra nave di almeno mille miglia dalla superficie dell’acqua e la tenne parecchio tempo a quell’altezza. Un vento gagliardo gonfiò finalmente le vele e ci fece procedere con incredibile velocità. Avevamo viaggiato per sei settimane sopra le nuvole quando scoprimmo un grande paese rotondo e luminoso come un’isola lucente. Entrammo in un comodo porto e, scesi a terra, trovammo che il paese era abitato. Sotto di noi vedemmo un’altra terra con città, fiumi, monti, eccetera, che per nostra ipotesi doveva essere il modo che avevamo lasciato».
Sono questi i due viaggi sulla Luna intrapresi dal Barone di Münchhausen, il secondo dei quali rimanda direttamente a Luciano di Samosata. Ma qui, a differenza dello scrittore greco, non c’è alcun intento satirico, nessuna preoccupazione morale o pretesa didascalica, ma solo allegria, comicità, burla irriverente. E se sfacciatamente comiche sono le narrazioni di questi due viaggi, altrettanto si può dire delle esperienze vissute dal Barone direttamente sul suolo lunare. Quali? A voi scoprirlo.