Impegni rispettati, impegni annullati. Una grafia femminile e decisa. Una freccia tracciata a penna da una pagina all’altra indica il rinvio di una telefonata alla moglie di Clark Gable.
L’agenda di Marilyn Monroe è un pezzo importante della mostra Marilyn, aperta fino al 28 gennaio 2013 al Museo Ferragamo di Firenze, in occasione del cinquantesimo anniversario della morte dell’attrice.
Quell’agenda mette in comunicazione il visitatore e la donna senza offuscare la diva. Se vedere Marilyn passare lo straccio sul pavimento sembrerebbe artificiale, uno spot anni Cinquanta con grembiulino a quadretti e occhi maliziosi, o terribilmente spoetizzante tanto ci piace piumata, setosa e con il viso truccato, immaginarla alla scrivania intenta a progettare la sua vita rende più vibrante anche la tinta hollywoodiana dei capelli platino, l’espressività del sorriso dalle innumerevoli sfumature, gli abiti sfolgoranti, la tristezza dello sguardo. Così vibrante da cancellare il repertorio sul mito Monroe, poco importa se vero o falso perché ormai abusato e dunque statico: le storie dolenti sull’infanzia infelice, la non puntualità cronica, l’impegno nello studio attoriale perché l’artista superasse il sex-symbol, la morte misteriosa ad uso degli speculatori che forse misteriosa non fu. Su tutto si può tornare, ma con pensieri nuovi.
Sapendo che appartennero alla proprietaria di quell’agenda quindi a una donna autentica, seppure icona da mezzo secolo, pare che si animino anche i vestiti di scena un po’ appannati dal tempo, con i quali tutti la ricordiamo, compreso quello bianco, plissé e celeberrimo che si solleva nella scena cult di Quando la moglie è in vacanza (The Seven Year Itch, 1955). E il suo piede scivola ancora, passo dopo passo, nella serie di decolleté con il tacco a spillo che Salvatore Ferragamo aveva creato per lei: nere, di raso color cipria, di raso avorio, di coccodrillo, di lustrini rossi.
Poi la si vede parlare nelle interviste su un piccolo schermo alloggiato in una nicchia dell’antico Palazzo Spini Feroni: titubante a tratti, schiva, ma sempre ironica. La stessa persona che Valentina Cortese descrive nella recente autobiografia Quanti sono i domani passati.
E le piaceva anche farsi fotografare. Sensualissima e mai volgare, vestita o spogliata. Stefania Ricci e Sergio Risaliti, i curatori dell’esposizione fiorentina, la terza dedicata dal Museo Ferragamo, dopo quelle su Greta Garbo e Audrey Hepburn, a una grande estimatrice e cliente del calzolaio delle stelle, hanno infatti accostato le fotografie dei suoi nudi a opere d’arte e, con i versi di Pier Paolo Pasolini, l’hanno accompagnata alla fine: la mostra si chiude su un letto sfatto, bianco. Non più quello sul quale Norma Jean Baker in arte Marilyn Monroe si adagiava vestita solo di Chanel n.5, ma quello della notte dell’addio, nell’agosto del 1962.
In collaborazione con il Museo Ferragamo
www.museoferragamo.it