Riuniti, grazie alla mostra Potere e pathos. Bronzi del mondo ellenistico, 50 capolavori del mondo antico, quasi tutti in bronzo. Un numero solo apparentemente modesto perché, delle numerosissime statue realizzate nel periodo ellenistico con questo materiale, e a differenza di quelle marmoree dello stesso periodo, ne restano assai poche, a causa della facilità con cui nell'Alto Medioevo sono state smembrate per essere rifuse. Queste opere provengono dai più grandi musei archeologici italiani e internazionali. Una collaborazione di dimensioni vaste, che indica la profonda approvazione internazionale per l'ideazione e la realizzazione della mostra.
Val la pena considerare l'elenco dettagliato di queste istituzioni, il cui spread geografico, se da una parte è indicazione dell'estensione del dominio di Alessandro Magno, grande conquistatore di terre, dall'altra dice della rapina su territorio altrui che è stata commessa da molte spedizioni archeologiche ottocentesche. I reperti, nella sensibilità del tempo, venivano considerati proprietà della nazione che eseguiva gli scavi, e non del territorio in cui erano stati riportati alla luce. Partecipano con i prestiti: il Museo Archeologico Nazionale di Firenze, il Museo Nacional del Prado di Madrid, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, il British Museum di Londra, il Metropolitan Museum of Art di New York, la Galleria degli Uffizi di Firenze, il Museo Archeologico Nazionale di Atene, il Museo Archeologico di Herakleion (Creta), il Kunsthistorisches Museum di Vienna, il Museo Archeologico di Salonicco, il Musée du Louvre di Parigi, i Musei Vaticani, i Musei Capitolini di Roma.
Ci accoglie nella prima sala, la base calcarea, a firma di Lisippo, di una sua statua che non ci è pervenuta, subendo la stessa sorte di altre 1500 che il grande scultore aveva scolpito fra la fine del IV e gli inizi del III secolo a.C. Il dottor James Bradburne, che nella Fondazione ha sempre curato l'interattività pubblico-mostra per accrescere l'interesse dei visitatori, ha illustrato in conferenza stampa il Concorso, collegato con Potere e Pathos, che propone ai visitatori di descrivere che tipo di statua era posta su quel piedistallo. Ovviamente, dati gli esigui indizi forniti dalla base della statua, per vincere uno dei due viaggi in Grecia messi in palio per una famiglia con due figli e per una coppia di adulti, è richiesta più di una visita e molta fantasia per sciogliere il non facile enigma in modo plausibile.
Potere e pathos racconta gli straordinari sviluppi artistici dell’età ellenistica (IV-I secolo a.C.) attraverso la statuaria in bronzo che godeva di maggior prestigio rispetto al marmo, attirando i mecenati e gli artisti più eminenti, come Prassitele, Skopas e Fidia. In tutto il bacino del Mediterraneo, e non solo, si affermavano nel periodo nuove forme espressive e tecniche avanzate. Possiamo pensare a una prima forma di globalizzazione nei linguaggi artistici del mondo allora conosciuto. La scultura, in particolare, era caratterizzata da tratti realistici uniti a stati emotivi resi in modo convincente, da cui deriva il pathos del titolo. L'altra parola, il potere, si può riferire alla classe sociale dei committenti, necessaria per la realizzazione di opere di grandi dimensioni in bronzo utilizzate spesso a fini propagandistici della loro persona.
Concepita e realizzata in collaborazione con il J. Paul Getty Museum di Los Angeles, la National Gallery of Art di Washington e la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, l’esposizione non si limita all'Italia ma sarà visibile, in successione, al J. Paul Getty Museum di Los Angeles per poi concludersi alla National Gallery of Art di Washington DC. Un tour lungo un anno. Curata da Jens Daehner e Kenneth Lapatin, del J. Paul Getty Museum di Los Angeles, la mostra inquadra le opere artistiche nel contesto storico, geografico e politico del mondo ellenistico. Statue di scala diversa, da quelle monumentali di divinità, atleti ed eroi a statuette di pochi centimetri sono affiancate a ritratti di personaggi storici. Vi si narrano pure le affascinanti storie dei ritrovamenti di questi capolavori, la maggior parte dei quali nel Mediterraneo e nel Mar Nero, a seguito di naufragi. Quelli ritrovati negli scavi archeologici sono ambientati nei contesti di reperimento: Santuari, dove venivano utilizzati come “voti”; Spazi pubblici, dove commemoravano persone ed eventi; Case, dove fungevano da elementi decorativi; Cimiteri, dove rappresentavano simboli funerari. Nel catalogo , talvolta, alcuni dei reperti, tutti fotografati in alta definizione e soprattutto quelli ai quali si sono conservati gli occhi, trasmettono una certa inquietudine, ma nelle ampie sale in cui li vediamo sono in grado di emozionarci come testimoni di secoli così lontani e di vicissitudini di cui sono stati preda nel corso dei millenni.
Di grande aiuto per godere appieno di questa mostra è stato l'incontro, precedente all'apertura, con il mondo del restauro, nella persona di Nicola Salvioli, impegnato al Museo Archeologico fiorentino con la testa di cavallo Medici Riccardi, restauro realizzato, in previsione della Mostra, grazie alla generosità della Fondazione Friends of Florence. Abbiamo potuto seguire una fase del restauro, e questo ci ha permesso di entrare nella dinamica del lavoro, prodigo di informazioni che un'opera in mostra, anche se accuratamente osservata, non riesce a dare. Ad esempio , la rimozione dello spesso strato di scorie accumulate alla superficie della scultura nel corso dei secoli, rivelava la modificazione del colore originale. In più il restauratore, esperto cavallerizzo, era in grado di affermare che il cavallo era montato, desumendolo dal morso, dalle molte pieghe del collo, irrigidito dalla tensione delle briglie (scomparse) verso un cavaliere non più esistente. La testa faceva parte dunque di una statua equestre a grandezza naturale, degli ultimi decenni del IV secolo a.C., della collezione di bronzi di Lorenzo il Magnifico. Dopo il ritorno dei Medici a Firenze, decisero di utilizzarla come bocca di fontana, apportando dei cambiamenti per permettere la fuoriuscita dell'acqua. Abbiamo potuto vedere pure le tracce di un rivestimento a foglia d'oro che, ci spiegava il Salvioli, era stato applicato però in epoca successiva alla fusione. Da notare che tutte le mostre promosse e organizzate dalla Fondazione Strozzi sono state occasione di restauri di opere, e quindi di un arricchimento del patrimonio artistico italiano.
C'è da augurarsi che le istituzioni del mondo si facciano flessibili, come è stato in questo caso, per il prestito di loro opere, naturalmente sotto tutte le garanzie di sicurezza, perché la cultura di un'epoca riceve nuova linfa dalla possibilità di mettere a confronto ciò che nel tempo è stato separato. In queste sale, infatti, si offre al visitatore la possibilità di vedere affiancati fisicamente per la prima volta l’Apoxyomenos di Vienna in bronzo, ritrovato in 234 frammenti, e la versione in marmo degli Uffizi utilizzata per il suo restauro; i due Apollo-Kouroi, arcaistici, conservati uno al Louvre e l'altro a Pompei.
Parallelamente è stata concepita, sempre a Firenze, la mostra Piccoli grandi bronzi, che propone un affascinante percorso artistico integrativo della mostra di Palazzo Strozzi, presentando al pubblico parte della straordinaria collezione di statuette bronzee raccolte dalle dinastie medicea e lorenese e oggi conservate al Museo Archeologico Nazionale di Firenze. Sono state scelte in questo contesto quelle di età ellenistica e romana (incluse alcune etrusche del periodo della romanizzazione dell’Etruria). Alcune di esse ripetono tipi di età classica testimoniando – proprio come avviene nella mostra di Palazzo Strozzi –la base di tradizione più antica contenuta nelle forme espressive dell’ellenismo.