All'ombra dell'ultimo sole si era assopito un pescatore.
Mi viene da canticchiarla, a bassa voce, bisbigliando appena.
Un bel ritornello che di storia ne ha parecchia.
C'è come un pulsante nella mia mente.
Schiaccio play, e lei parte.
Sempre diversa, sempre uguale.
La uso come sottofondo di un tramonto, perché se usi una colonna sonora alla vita, questa cambia, assume contorni diversi, qualcosa sfoca, altro diviene più nitido.
Cammino.
Mi perdo.
Destra, sinistra, “oh guarda” un gabbiano, sembra sbeffeggiarmi; bravo lui penso io.
Nuovamente destra, poi mi ritrovo negli stretti carrugi inghiottiti dalla città stessa.
Passo dopo passo le ombre si allungano, la luce cambia sfumature mentre gli odori si mescolano a ciò che diventerà tramontana.
Rimango a guardare, le pupille si confondono nei riflessi di ciò che mi è di fronte.
Celeste, arancione, terracotta, bronzo, miscela di sfumature a colpirmi senza alcun preavviso, senza chiedere permesso.
Annuso l'aria, il respiro me ne riempie i polmoni.
Sento il mare. Diviene crêuza de mà.
Le onde si spaccano sulle scogliere, il vento porta suoni ferruginosi, legno che scricchiola, versi in un idioma che pare provenire d’oltreoceano.
Sì, sono pescatori, ne sento il lamento.
Sale, sole, sudore, volto scavato, fatica sulle braccia, mani consumate.
Questo è un pescatore.
Forse è anche altro, ma per me è questo.
Una vita a dondolare su acqua che non puoi nemmeno bere.
Fare il pescatore non è questione di professione o mestiere, è semplicemente vita.
Figure nato per caso, anche qui, in questo frammento di territorio illuminato dalla lanterna superba, dove la prima risorsa utilizzata dall'uomo è stata la terra , poi, con il tempo, anche il mare è divenuto fonte di sopravvivenza.
Fame, terreno di difficile lavorazione, spazio angusto o forse ingegno hanno spinto il contadino ligure ad andare oltre e trovare da vivere in quella infinita pozzanghera salmastra da cui tutto ebbe origine, quell’infinito mai uguale per forma e carattere a se stesso, mai diverso nel toccare terre lontane al passar delle stagioni.
Il tempo fa la storia, e con il passare del primo la seconda si riempie di granelli che son racconti di uomini in una clessidra senza spazio.
Fu così che il pescato divenne elemento di fusione con la cultura locale.
Un grandiosa e lenta mistura tra la terra e il mare, una fusione consapevole di metodologie di pesca e operato di cucina casalinga, una collaborazione familiare e comunitaria che giunge sino a noi con innumerevoli modifiche dettate dal tempo, dove i nodi e i venti in mare, almeno come i “pizzichi” e il “quanto basta” in cucina, seguono regole ben precise, dove l'approssimazione è scienza di ogni gesto che cela in se la magia del rendere armonica l'azione, equilibrata, svolta con sapienza.
Conoscenze trasmesse di generazione in generazione, sino a giungere ai tempi odierni.
Così facendo le usanze divengono tradizioni, alcune da salvaguardare e altre che per i mezzi utilizzati non vengono più definite sostenibili e in sintonia con gli schemi naturali e paesaggistici dettati da madre natura e modellati per mano dell'uomo.
Acqua e terra che si incontrano.
Un tonfo, silenzio, un altro tonfo. E via di seguito, con un giusto ritmo, come pensieri a rincorrersi.
“Ho conosciuto il mare meditando su di una goccia di rugiada”, diceva ora Gibram che involontariamente aveva sussurrato qualcosa alle mie orecchie.
E pensare che il mare io l’ho visto da piccolo nei sogni, però avevo letto tanto a riguardo, anche dei pescatori. Mi ero fatto amico il mare, e anche i “raccoglitori di pesci” che avevano le stesse facce a me conosciute dei contadini, gli stessi solchi sul viso.
Ne rimaneva comunque un’immagine confusa.
Avessi letto prima Gibram avrei osservato la rugiada con un intento diverso, magari sperando di vederci il mare.
Da me il mare non c’era, ma di rugiada sì.
Il mare, lo stesso che ha sempre avuto una posizione centrale negli animi degli
scrutatori, di quelli che hanno gli occhi curiosi e vanno a cercare di definire una linea che separa l'orizzonte dall'acqua, nell’intento di capire dove inizia l’uno e dove finisce l’altro, con lo stesso sguardo di quei pescatori all'alba.
Mi ritrovo scalzo sulla sabbia, guardo le onde, vanno e vengono, alcune si baciano.
Prima in piedi, poi mi siedo.
Galleggio nei miei pensieri, lo sguardo indovina la salita dal mare all'orizzonte.
Scende la sera, il sole affonda.
Alle mie spalle i passi del ritorno a casa echeggiano, mentre le luci di chi vivrà il mare di notte già sfarfallano.
Rimarrò ancora qui, magari per un po'. In attesa.
Arriverà domani a dare forza alla mia comprensione.
Arriverà con voce rauca e salata.
Porterà con se l'odore della pesca e un viso solcato.