Basta con i provincialismi. Ogni giorno di più ci rendiamo conto di essere cittadini (e contribuenti) d’Europa e dunque mi sembra sacrosanto, nel pezzo di oggi, celebrare il giubileo festeggiato recentemente a Londra e in Gran Bretagna con comprensibile sfarzo e dispiegamento di mezzi. E’ giusto omaggiare e benedire il traguardo varcato da quella che certamente è una delle personalità più importanti e più amate, non solo in tutta l’Inghilterra, ma anche nei paesi del Commonwealth e nel resto del mondo.
Fermi, non vorrei che ci fosse un equivoco. Non mi riferisco alla cara vecchia Elizabetta II, ma a Sua Maestà Sir Paul McCartney, che il 18 giugno, a dispetto del lifting e dei capelli ignominiosamente tinti, ha compiuto settant’anni. Ora, mi pare quasi superfluo dire che si tratta del vivente che ha più influenzato la storia della musica, e definirlo il più grande autore di canzoni pop rimasto in piedi su questo pianeta è come dire che l’acqua è un liquido trasparente. Più scontato dei mobili dell’Ikea.
Basterebbero la manciata di album pubblicata e la spropositate quantità di dischi venduti con i Beatles, tutti tra il 1962 e il 1970, a giustificare secoli di gratitudine e – per chi può – frangette celebrative. Eppure anche dopo lo scioglimento dei Fab Four sir Macca ha fatto cose che meritano di essere ricordate. Per esempio “Ram” e “Band on the run”, naturalmente, ma anche molto altro, tra cui “Wings over America”, che a breve dovrebbe uscire in edizione rimasterizzata e completata. Se avete almeno “Revolver”, “Sgt Pepper’s Lonely Hearts Club Band”, “The Beatles” (The White Album) e “Rubber Soul”, potete lasciarvi incuriosire dai dischi solitari del baronetto. Altrimenti prima fate i compiti, poi divagate.
Il contributo più importante lasciato all’umanità da questo settantenne comunque arriva dalle meravigliose canzoni scritte, suonate e cantate con i Beatles. E’ difficile dare una misura a questo patrimonio. Non ci provo nemmeno, ma per limitarmi a quello che è dai più considerato il capolavoro della band, sir Paul ha scritto cinque brani su dodici (“Sgt Pepper’s Lonely Hearts Club Band”, “Getting Better”, “Fixing a hole”, “When I’m Sixty-four” e “Lovely Rita”), più quelli composti insieme a John (tra cui l’immensa “A day in the life”) nell’effettivo rispetto dell’onnipresente firma Lennon-McCartney. Questo, ripeto, per fermarmi ai pezzi di un unico Lp, che peraltro solitamente non finiscono nel listone dei più celebri usciti dalla sua penna, dove ci sono sempre “Eleanor Rigby”, “Michelle”, “Hey Jude” “Penny Lane” e “Yellow Submarine”. Il gioco della ricerca dei titoli sarebbe senza fine, e ognuno di noi può ripercorrere la propria storia beatlesiana andando a pescare le perle preferite nello scrigno.
Oggi invece mi preme sottolineare un paio di aspetti.
Primo. Paul McCartney arriva a settant’anni in grandissima forma. I suoi concerti, ovviamente, richiamano folle oceaniche, staccano (purtroppo) biglietti dai prezzi mostruosi, e sbalordiscono i presenti. Non sempre i suoi dischi sono stati indimenticabili, mai hanno raggiunto le vette toccate insieme ai tre compagni di avventura, eppure la carriera solista, a dispetto di molte opinioni che potreste aver sentito o letto, e che potreste continuare a leggere e sentire per anni, è quella di un protagonista assoluto del pop e del rock. Uno che ha la fortuna, o la sfortuna, di confrontarsi con un passato da gigante.
Secondo. Se oggi il clima di retromania non stupisce più nessuno, non conosce limiti ed è dilagante, con continui riferimenti al progressive, alla psichedelia, al country, al punk, al folk, al suf rock e perfino al krautrock, il lavoro di McCartney e dei Beatles è stato rivisitato, preso in prestito, plagiato e copiato senza pietà e senza alcuna pausa negli ultimi cinquant’anni. Anche quando guardarsi indietro era considerato un sacrilegio. Tanto che, forse escludendo una manciata di stagioni a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta, le canzoni dei Beatles non sono mai sembrate “vecchie”. E quasi certamente non lo sembreranno mai.
Non per niente la regina d’Inghilterra ha voluto omaggiare questo grande artista nel giorno del di lui giubileo. O era il contrario? Personalmente non riuscirò mai ad ammetterlo.