Si è inaugurata lo scorso 21 dicembre per chiudersi il 7 marzo l'interessante mostra Hoc Vobis Signum allestita nelle sale del nuovo Museo Archeologico del Casentino (Arca) anch'esso aperto da un paio di anni.
Il patrimonio culturale e artistico che distingue il territorio casentinese, diffuso in modo capillare sia nell’estensione storica sia nell’espressione del paesaggio, dell’architettura e della dimensione etnoantropologica, trova una più visibile valorizzazione nella compiutezza di mostre di particolare attenzione tematica, come hanno dimostrato le esposizioni Raffaello e il Bibbiena e Jacopo del Casentino e la pittura a Pratovecchio nel secolo di Giotto che hanno avuto luogo questa estate e che hanno richiamato visitatori anche al di fuori della vallata. Così anche la mostra Hoc Vobis Signum testimonia della concreta capacità di importanti iniziative di documentazione artistica che continua apprezzabilmente a esprimere il territorio, e in particolare Bibbiena, nel presentare una singolare produzione di “Bambinelli”, ovvero simulacri in cera di Gesù Bambino, conservati nel convento di Santa Maria del Sasso.
Il complesso monumentale del santuario ha sempre rappresentato, non solo per Bibbiena ma per tutto il Casentino e oltre, un riferimento notevole sia in termini di fede, edificato sul luogo dove nel 1347 si manifesta la Vergine, sia per i suoi capolavori d’arte, tra cui i dipinti di Bicci di Lorenzo, Iacopo Ligozzi, Antonio Lappoli, Fra Paolino da Pistoia, la cui tavola della Madonna e santi è stata recente oggetto di restauro manutentivo, all’affresco dell’ultima cena di Raffaellino del Colle, per non tacere dell’antico organo realizzato da Tommaso da Cortona e del bel coro ligneo, e delle tante altre opere tra cui, non ultime, queste raffinate e delicate effigi che raffigurano il “Divino Infante” che qui vengono mostrate per la prima volta.
La circoscritta specificità del soggetto sottolinea inoltre che la qualità e la bellezza di una mostra non è valutabile nel numero delle opere esposte, infatti anche mostre di contenute dimensioni possono rivelarsi affascinanti scrigni di storia e di arte, soprattutto quando contribuiscono alla conoscenza di un patrimonio poco o affatto conosciuto, aggiungendo al valore artistico quello della scoperta. Le figure dei Bambinelli rientrano nel più ampio ambito della produzione di Madonne e sante da vestire - a questo proposito è essenziale citare almeno le due recenti mostre (2005) Madonnine Agghindate. Figure devozionali vestite dal territorio di Arezzo, realizzata dalla Soprintendenza per i Beni A.P.S.A.E. di Arezzo e Sculture da vestire. Nero Alberti da Sansepolcro e la produzione di manichini lignei in una bottega del Cinquecento, allestita ad Umbertide - ovvero un ricchissimo patrimonio, tuttora esistente nei conventi, nelle chiese, nei musei e in private abitazioni, che è ancora in gran parte da esplorare e che Hoc Vobis Signum contribuisce a far riemergere, aggiungendosi ad alcune opere già documentate del nostro territorio come quelle presenti nei monasteri di Santa Chiara a Sansepolcro e di Santa Maria delle Neve a Pratovecchio, nella Basilica di Santa Maria delle Grazie a San Giovanni Valdarno, nel museo diocesano di Arezzo.
I recenti studi in tale ambito hanno indubbiamente contribuito al superamento dei pregiudizi che considerano i manufatti lignei, in cera, in cartapesta e altri materiali meno “nobili”, più attinenti alla sfera dell’artigianato, per quanto di qualità, che alla sfera dell’arte vera e propria. L’attenzione a tali figure devozionali, di carattere popolare e spesso legate a un culto domestico e privato, non si può relegare solo all’aspetto etnoantropologico, infatti il materiale nelle quali sono eseguite non può essere discriminante della qualità. In effetti il conseguimento dei valori artistici può originare proprio dall’uso di particolari materiali, come appunto quello della ceroplastica che consente esiti di realismo e di mimesi di elevata efficacia, mentre lo sviluppo creativo coincide con un’abilità di trattazione di verosimiglianza del manufatto, aspetto molto apprezzato a livello delle piccole comunità.
La realizzazione dei simulacri va inserita inoltre nella necessità pratica di un contenimento dei costi, della leggerezza della statua, della produzione seriale per rispondere all’ampliarsi della domanda in seguito all’incremento della diffusione, soprattutto a partire dall’Ottocento. I bambinelli originano dalla liturgia del Natale e del presepe, dove l’evento della Natività è occasione di un rito di adorazione che vede il Gesù Bambino come propiziatorio della maternità, infatti veniva donato dai genitori alle giovani in procinto di sposarsi ma anche alle fanciulle destinate alla vita religiosa, e si sviluppa soprattutto all’interno dei conventi femminili a simboleggiare l’unione con lo sposo divino piuttosto che la consolazione per una maternità negata dalla vocazione claustrale.
Tali figure spesso rappresentavano parte del corredo monacale ed erano fornite di un proprio guardaroba di vestiti e di gioielli e configuravano veri e propri riti di vestizione. Ai Bambinelli venivano cuciti abiti di broccato, decorati con filo dorato e argentato, adagiati su cuscini in seta. Le monache eseguivano ogni dettaglio del Bambinello, dal sembiante in cera attraverso gli stampi, gli abiti e il corredo, persino guarnizioni e bordure, di cui trasmettevano per scritto le ricercate tecniche operative e gli strumenti utili alla fabbricazione.
Oltre la riscoperta dei manufatti artistici e delle condizioni storiche e culturali, la mostra ha anche il merito di testimoniare, nella dimensione del silenzio claustrale, l’amore per l'immagine infantile, fusione di aspirazione materna e di congiungimento al divino.