Salendo le sontuose scale del Palazzo Rasponi delle Teste a Ravenna, recentemente restaurato, si respira un’aria di sacralità, si sente che ci si sta accingendo ad un evento importante, l’imponenza e la bellezza dell’edificio incutono rispetto e ammirazione, ma la serietà e la compostezza che si respirano dalla teoria di persone che silenziose si apprestano a raggiungere il piano agognato, ricordano i percorsi dei viandanti che si recano fiduciosi e pieni di aspettative a San Giacomo di Compostela o nei santuari anelati, pellegrini che, in questo caso però, si predispongono con tangibile commozione, alla visione di una mostra artistica d’eccezione, Giuseppe Maestri. Il dono. Ravenna sognata. Ed è proprio l’attesa di entrare in contatto col mondo dell’artista che rende l’ascesa al piano nobile del palazzo che ospita le sue opere un’ascesi, quasi un percorso mistico.
Così come personaggio mistico si può considerare Giuseppe Maestri [1] per la sua propensione a vivere un’inesauribile tensione verso l’ignoto e la continua ricerca del senso ultimo delle cose, per la sua disponibilità a lasciarsi sorprendere, per la sua curiosità ad accostarsi e pensare l’infinito attraverso un sapere scaturito da un vertice estetico-etico dove il sogno, l’immaginazione, la capacità di meravigliarsi, la creatività hanno connotato non solo la sua arte, ma anche il suo stile di vita. E’ sempre un tuffo nel mare delle emozioni incontrare Maestri nella sua opera artistica, è un tuffo nella città di Ravenna tanto amata da lui, è un tuffo nel mondo onirico che ha sempre caratterizzato le sue incisioni e i suoi dipinti.
Ci conduce alla mostra un’immensa stella cometa, potente rappresentazione che compare sia sul dépliant della mostra che come gigantografia sui poster che costellano la città, anche se in realtà si tratta di in un piccolo quadro, che compare come ultima opera delle serie di lavori esposti ed è intitolata I Re Magi. È singolare come questo paradosso tra la forma modesta del quadro e la sua dirompente forza simbolica ed evocativa sia anche rappresentativa della personalità di Maestri, uomo umile, dignitosamente appartato, schivo, che ha avuto una rilevanza così fulgida, che si è espresso con una potenza umana e artistica così intensa da lasciare il segno, da incidere con notevole forza sull’immaginario e sul reale.
La cometa di Maestri guida ed orienta con una precisione acuta, con un’energia imperiosa, è un razzo dalla punta infuocata con al centro un cerchio colorato di fattura bizantina che ricorda la volta di Galla Placidia, ma non solo, rimanda anche alla perfezione del mandala, il cerchio della vita, ricco di simboli primordiali e che, secondo i buddisti, rappresenta il processo mediante il quale il cosmo si è formato dal suo centro e che consente una sorta di viaggio iniziatico che permette di crescere interiormente. Ed è un viaggio che Maestri ci invita a fare attraverso le stazioni della sua opera. Questa stella sembra anche una scimitarra implacabile, bella e tremenda, è un oggetto comunque importante, sovrannaturale che sovrasta la città che appare, per contro, minuta, scura, appiattita dal solito vivere, dove le case, una addossata all’altra, vivono la comune vita di tutti i giorni e sembrano non rendersi conto della straordinarietà dell’evento immanente che si sta manifestando al di sopra e al di là della loro volontà. Tra la banalità della terra e la magnificenza del cielo, ecco uno dei Re Magi che si staglia, gigantesco, quasi a fare da tramite tra il reale e il trascendente, tra il divino e l’umano e, per sancire questo patto, reca un dono.
Il dono è il talento artistico di Maestri, dotazione innata, intrinseca, corredo naturale che la vita gli ha regalato con generosità, ma è anche il continuo dono che Maestri ha elargito con le sue opere alla città, il dono è, inoltre, la possibilità di guardare, assaporare con un leggero stordimento le forme informi che conferisce alle sue rappresentazioni. E le forme, appunto, particolari, sbilenche, irreali, magiche sono la cifra che contraddistingue l’artista come unico, originale; un’opera di Maestri la si riconosce subito proprio per queste forme che rendono i suoi paesaggi cittadini irripetibili, sono solo e squisitamente suoi.
L’oggetto del desiderio è Ravenna e nelle opere dell’artista è decantata in tutti i suoi aspetti, sono tante le variazioni sul tema, i monumenti, le chiese, gli angoli caratteristici della città sono tutti presenti, ma con contorni deformati, incoscienti ed impertinenti. Le case mollemente si appoggiano le une alle altre incurvandosi in maniera pericolosa, ma senza temere di spezzarsi, lì tutto è permesso, tutto può accadere con una naturalezza che ricorda la serietà e la fantasia che connotano il gioco infantile; sembrano case elastiche, plasmabili, come costruite col pongo, ma in quelle immagini oniriche traspare anche una sapienza non comune, una cultura profonda, sono costruzioni ricche di simboli che sanno di storia, di esperienza, di lungimiranza.
La rappresentazione della città, nelle sue opere, è realizzata con un incessante lavorio di scrupoloso cesello ma, paradossalmente, in una dimensione che sembra trascendere le leggi fisiche di gravità, della non sovrapposizione dei corpi, anzi, lo spazio e il tempo si intrecciano in una danza onirica vorticosa e affascinante non vincolati dai limiti della realtà. E, dunque, l’ordine del reale è stravolto: si naviga per cielo e per terra, i pesci volano, le case ondeggiano, le lune cadono e le barche quasi onnipresenti rappresentano forse quel contenitore ondivago che crea contatti tra cielo e terra, tra le acque e l’aria e sono simbolo dell’infinito viaggio di andata e ritorno dell’uomo nella sua perenne ricerca di senso, nell’incessante anelito di verità che, nonostante la passione per la vita, rimarrà pur sempre mistero. E di misteriosità parla la Ravenna onirica di Maestri, misteriosa e colma di significati proprio come lo sono i sogni, a volte è triste, altre è allegra, si può animare di colori o è pervasa da un grigiore annichilente, appare cupa o brillante, tingendosi dello stato d’animo dell’autore che vive, respira e si identifica con la città, sua base sicura, il luogo dell’ideale e del reale, il luogo degli incontri e della solitudine, il luogo del bello e del terrifico. Il luogo della vita.
La barca notturna è uno splendido esempio della pittura fantasmagorica dell’artista, la barca della notte conduce, quale Caronte della mente, nel mondo tenebroso dei sogni e racconta una storia. Il natante attraversa un guado burrascoso e cupo e sta in una posizione di confine tra la città sotterranea, illuminata da luna e sole, attraversata da un arcobaleno, protetta da un volo d’uccello e la città del mondo di sopra, buia, malmenata da una flagellante pioggia battente. E la barca va, e segue e costruisce allo stesso tempo il suo percorso di separazione tra il sopra e il sotto, tra il dentro e il fuori, tra il conscio e l’inconscio, lavoro indispensabile per creare quella “barriera di contatto” germinatrice di storie, di sogni. Ma possiamo anche immaginare che la nostra barca rappresenti l’arca di Noè, che separa il prima dal dopo il diluvio universale e l’uccello-colomba è lì ad annunciare la rinascita della vita. Oppure potrebbe simbolizzare il barcamenarsi tra il bello e il burrascoso nella quotidianità o … o … infinite altre fantasie possono scaturire da questo pozzo di significati che Giuseppe ci offre continuando a condurci nei meandri della mente per far sbucare qualche nuovo pesciolino di immagine-pensiero.
Ci porta anche in un accampamento guerriero ne La tenda di Teodorico, monolite simbolo della città, immagine che spesso ritroviamo nei sogni di Maestri, anche in questa opera lo spazio è assolutamente plasmato dalle mani fantasiose dell’artista e trasformato magicamente: in primo piano sulla terraferma troneggia la tenda-mausoleo di Teodorico, re degli Ostrogoti, conquistatore di Ravenna, sul mare staziona una barca regale, ricca di colori e preziosità, ancor più impreziosita da un drappeggio che, paradossalmente, la apparenta alla tenda del re barbaro, come se ci sia una sorta di rispecchiamento e, nonostante la situazione storica riguardi la turbolenza dell’assedio, il clima che si percepisce è di una calma placida, c’è una sorta di staticità; sono vaghi gli elementi di realtà, entrambe le figure sono trasfigurate dalla visionarietà dell’artista. La volta celeste fa da contenitore, è uno spazio buono, accogliente, non ci sono nubi e la forma ricorda la rotondità di un seno nutritivo o il profilo di una bocca amorevole, linee flessuose su cui si adagia morbida e incantata la città.
Ravenna, la città amata, disponibile e, perciò fruibile dai sensi è, allo stesso tempo perturbante perché cela anche un mondo interno, segreto, indecifrabile e Maestri ha bisogno di rappresentarla una miriade di volte, sempre la stessa, ma sempre diversa, come per un bisogno indomabile di possederla, di svelarla, di conoscerla intimamente e la ritrae con quella instancabile ripetitività che osserviamo anche nel bambino che ha bisogno di rifare lo stesso gioco un’infinità di volte per trovare le sue risposte all’enigma della vita. È lo sguardo di Maestri che crea una Ravenna così morbida, flessuosa, tondeggiante, la città sembra giacere fiduciosa nell’occhio dell’artista-poeta adeguandosi alla forma del contenitore che la ospita devotamente e che le conferisce quel particolare aspetto fiabesco, come racconta Il mistero dell’occhio. Ma la magia trasformativa di Maestri non tocca solo le sue incisioni o le sue tele, ma anche lo sguardo di chi contempla i suoi lavori, sguardo che non si scandalizza, né si meraviglia, né contesta le immagini strampalate che sbeffeggiano le regole della realtà, ma si sintonizza senza fatica, direi in modo assolutamente naturale e scontato, entrando nella logica onirica delle immagini, creando a sua volta poesia.
[1] Giuseppe Maestri (1929-2009) è stato incisore, artista, gallerista e con la sua sensibilità ha animato un cinquantennio di vita artistica ravennate. Ha stampato l’opera incisoria di alcuni fra i più importanti maestri del nostro tempo come Mattia Moreni, Giò Pomodoro, Giulio Ruffini, Ernesto Treccani. La sua Galleria La Bottega divenne dagli anni Sessanta un importante ritrovo culturale dove si sono incontrate personalità quali Rafael Alberti, Mario Rigoni Stern, Mario Luzi, Piero Santi, Edoardo Sanguineti. La mostra presso il Palazzo Rasponi di Ravenna, attiva fino al 15 febbraio 2015, è stata allestita a seguito di una donazione delle opere dell’artista al Museo d’Arte della città e in occasione dell’apertura dello spazio espositivo del Palazzo dopo il restauro.