Per dieci anni ho girato e fotografato dall'interno le carceri nel continente sudamericano. Un'immersione in un mondo che all'inizio sembrava "diverso", complicato, fatto spesso di violenze e soprusi. Con il tempo però ho scoperto invece come i detenuti tentino sempre di creare un loro spazio, molto simile a quello che avevano fuori le sbarre e fanno di tutto per mantenere una forma di dignità. Le carceri sono un riflesso della società, uno specchio di quello che succede in un paese, nei piccoli drammi e nelle grandi crisi economiche e sociali. La prigione è una comunità, un non luogo in cui però si vive ogni giorno con ritmi e spazi precisi e, per "difendersi", i detenuti sono costretti a tentare di ricostruire le proprie abitudini, anche in condizione spesso al limite dell'umano.

Una realtà in molti casi veramente difficile, soprattutto a causa del sovraffollamento e della violenza che ne consegue, della droga e della gestione del potere all'interno del carcere. In Brasile pur avendo i permessi per entrare a fotografare il direttore ha dovuto chiedere l'autorizzazione ha un gruppo di "comando" che gestiva completamente il carcere. In Venezuela c'era una parete di una prigione trivellata di proiettili e le guardie mi spiegavano che i detenuti sparavano per festeggiare uno di loro che usciva. Altri mostravano con aria di sfida i loro coltelli e chi non era armato diventava una sorta di schiavo. Nella Penitenceria di Santiago del Chile invece nell'ora d'aria i detenuti esasperati dal sovraffollamento e dalla condivisione spesso di un solo bagno per oltre 50 persone, scaricano l'energia accumulata facendo dei veri e propri duelli con spadoni ricavati dai vecchi tubi della struttura.

Le regole dentro i carceri sono le stesse che fuori, chi ha più soldi gestisce, chi ha più potere comanda. A volte si formano bande che si scannano tra loro, ma nel quotidiano ci sono anche tanti momenti di pausa, dove si gioca a pallone, si scherza, e le donne, ci si trucca come per uscire...

Il filo conduttore che ha legato tutto il lavoro è stato il desiderio di scoprire ogni paese del Sudamerica singolarmente e in un contesto globale. Sono voluto entrare nella profondità dell’ ambiente carcerario non tanto per denunciare una situazione spesso al limite della sopravvivenza, ma per raccontare cosa, ancora oggi, unisce e divide il Sudamerica. Ho girato, e fotografato, per 74 carceri sudamericane, maschili e femminili (Ecuador, Perù, Bolivia, Argentina, Cile, Uruguay, Brasile, Colombia e Venezuela), sono entrato in contatto con detenuti e guardie, con la paura e la rabbia, con la speranza e la sfiducia. Alcuni detenuti mi hanno visto come una possibilità o semplicemente un diversivo, altri con invidia, altri ancora con disprezzo perché pensavano che ero lì solo per vendere le foto della loro vita richiusa.

Ogni carcere è stato un modo per raccontare un continente da “dentro” e da fuori, scoprendone anche luci lì dove tutto sembra spento e il riflesso della violenza e dalla vitalità si contrappongono in un unico segmento cha è poi la storia del Sud America.

Testo e foto di Valerio Bispuri