Il mio impegno per salvare la vita delle parole attraverso la campagna Save the Words nasce dalla convinzione che le parole siano tracce che noi lasciamo seguendo le quali altre parole verranno ad incontrarci e dunque penso alle parole come monumenti che raccontano storie di vite passate, di uomini e di eventi che, attraverso la parola, hanno dato corpo al loro esistere, al loro compiersi sulla scena del mondo, parole come preziosi depositi di manufatti, come archivi di memoria individuale e collettiva ai quali attingere per custodire il legame con le nostre radici e ritrovare sempre il senso della nostra identità, della nostra appartenenza.
Quando la parola si concede alla voce assume una forma, si lascia vedere nella sua fisicità, si presenta come una creatura che vuole farsi conoscere. Se la ascoltiamo, se ci rendiamo disponibili ad incontrarla, allora la parola dirà altre cose di sé, schiuderà altri mondi nei quali viaggiare. Racconto epico o narrazione fiabesca, parola sacra o profana, parola guaritrice o parola incantatrice, è la voce che la fa risuonare attraverso lo spazio vibrando fino a toccare il cuore. La voce è da sempre strumento magico per ritrovare le orme di coloro che ci hanno preceduto, per ripercorrere il cammino sul quale hanno camminato i nostri antenati, per ricucire gli strappi con il passato. E’ la voce che interpreta ed amplia la forma consolatrice del dire, che trasporta le emozioni, che crea la trama sulla quale si annodano i racconti che disegnano il tessuto della storia.
In questa visione della parola prende vita il verbodramma, che, insieme ai verbonauti cercatori di parole e ai verbari che le custodiscono come antichi ricordi, fa parte dei modi attraverso i quali le parole cercano di sfuggire all’oblio e di salvarsi dall’abbandono cui sembra condannarle questo mondo nel quale il dire è sempre più scambio di messaggi necessari e sempre meno desiderio di emozione, bisogno di incontro, di ascolto, di condivisione.
Il verbodramma è un’azione della parola che recupera la sua corporeità, la sua illusionistica cangianza capace di suscitare visioni, la sua forza evocativa, la sonorità densa di emozioni, di rimandi, di attesa, che restituisce alla parola detta, alla parola ascoltata tutto il suo potere di suggestione. E’ un modo per custodire la memoria aurale delle parole, la loro fisicità fatta di respiro, di gesto, di risonanza. Ormai abituati alla lettura interiore, non vocalizzata, andiamo perdendo il gusto musicale della parola, la percezione della sonorità che non è soltanto un fenomeno acustico, bensì quel veicolo fondamentalmente corporeo in grado di dar vigore all’intelligenza emozionale.
Il verbodramma restituisce alla parola tutta la sua udibile teatralità, è una partitura verbale nella quale le parole si ascoltano come un brano di musica, si guardano esteticamente abbandonandosi al loro fluire e lasciandosi rapire dal loro incantesimo, concedendosi al ritmo del loro dipanarsi perché soltanto così esse accettano di guidarci in viaggi fantastici. Al loro suono la mente e il cuore si muovono entro territori reali o improbabili e creano all’infinito affascinanti mondi di idee, sensazioni, immagini. E’ un ascolto nel quale il significato che deve essere compreso cede il passo all’emozione che deve essere vissuta. E’ la parola, la parola che prende corpo attraverso la voce, a farsi spettacolo, a farsi soggetto teatrale in grado di indurre condivisione empatica.
Le parole hanno bisogno di essere dette perché solo così possono muoversi e viaggiare, possono incontrare altre parole e condividere pensieri e sensazioni, possono essere messaggere di emozioni, possono continuare a vivere e salvarsi dall’oblio. Ci sono un senso e un segno nell’incontro tra i luoghi e le parole in essi risonanti che hanno a che fare con il genius loci, con le energie che ogni luogo conserva, con le memorie in esso depositate con le quali si deve entrare in consonante corrispondenza, perché il luogo torni a dire di sé e la parola ridisegni lo spazio attraverso la propria potenza evocatrice, perché il rito si compia, perché tutto ciò che deve emergere emerga, perché tutto ciò che deve rivivere torni ad avere respiro. Sono i consessi e gli ambiti più disparati quelli nei quali i verbodrammi possono essere interpretati: ciò che occorre è un uditorio che voglia lasciarsi prendere dalla parola per viaggiare nei luoghi in cui furono assegnati i nomi alle cose, per visitare i Musei segreti che custodiscono oggetti appartenenti alla lingua della nostalgia, per ritrovare il piacere di giocare con l’illusionismo della fantasia.
Ogni luogo può essere una stazione di sosta nell’infinito viaggio delle parole.
Ogni raccolta di parole da salvare trova la propria lingua, il proprio modo di entrare in armonia con il luogo che la accoglie nel suo passaggio.
Ogni stazione della parola è un incontro, una sosta di ascolto sempre diverso, una condivisione di emozioni lungo il cammino della nostra umanità.
E nel nomadismo della parola che si muove ad incontrare luoghi sempre diversi eppure accomunati dal loro essere sacrari di saperi tracciati da passaggi antichi di esistenze e circostanze, torna ad aver peso l’incontro, lo scambio, l’incanto, l’attesa, forse la speranza che nell’ascolto condiviso, nel luogo condiviso si possano riannodare i fili di un tappeto sul quale ritrovarci seduti sotto una tenda a sorseggiare un tè nel deserto.
A cura di SAVE THE WORDS™