Ho trovato me stessa, ho creato me stessa
e ho detto ciò che avevo da dire.
Suzanne Valadon
A quanto pare era bella. Di una bellezza eburnea e cristallina. Una bellezza acquatica e felina. Occhi azzurri, corpo sinuoso e sensuale. E un insolito impulso alla trasgressione. Suzanne, al secolo Marie-Clémentine, non conobbe mai le sue autentiche origini e neppure le cercò, ma raccontò spesso di esser stata abbandonata ancora in fasce davanti al portale della cattedrale di di Limoges. In verità era nata a Bessines-sur-Gartempe il 23 settembre 1865, da una relazione segreta tra sua madre, allora vedova, e uno sconosciuto che taluni identificano come lavandaio e tal altri come ingegnere ferroviario. Visse un’infanzia infelice, fatta di stenti e povertà, fino a quando le due donne non si trasferirono in una località rurale a nord di Parigi, vicinissima al nucleo urbano. Era la collina di Montmartre, un luogo in aperta campagna. Insospettabile preludio al suo futuro di modella e artista.
Marie-Clémentine crebbe senza padre e con una madre poco presente, che non fu per lei né un modello né un punto di riferimento. Fu un’adolescente ribelle e curiosa, offesa dall’indifferenza materna e dagli affanni in cui era costretta a vivere. Prese a trasgredire le regole del buon costume, fino a farsi espellere per cattiva condotta dal convento dove stava portando a termine gli studi primari. A 15 anni iniziò a lavorare. Prima come pasticciera, poi come sarta e fiorista. Infine fu sedotta dalla vita circense, tanto da divenire trapezista, acrobata e cavallerizza. Ma in seguito a un incidente fu costretta a smettere, ritrovandosi quasi per caso a posare per alcuni pittori. Pittori con i quali intrecciò legami. Alcuni di questi furono amici, altri consiglieri in ambito artistico. Altri ancora, amanti. Fu il caso di Toulouse-Lautrec, che per lei ideò lo pseudonimo di Suzanne Valadon, ritenendo che la bella e avvenente creatura, così delicatamente spregiudicata, provocasse negli artisti che la ritraevano la medesima reazione che la Susanna dell’episodio biblico aveva causato nei “vecchioni”.
Nel frattempo Montmartre da collinetta agreste quale era stata sino a quel momento, si trasformò in una vera e propria alcova di artisti e poeti bohemienne. Integrata nel tessuto urbano dal Barone Hausmann, urbanista di Napoleone III, questa località divenne per antonomasia il luogo in cui si svolgeva la vita dissoluta parigina. Vennero aperti cabaret come il Moulin Rouge o Le Chat Noir e artisti come Pisarro, Van Gogh e lo stesso Lautrec (autore dei manifesti illustrati del Moulin Rouge) presero a frequentarla assiduamente. Marie-Clémentine, oramai Suzanne, si lasciò presto travolgere dall’edonismo della Belle Époque. Era l’ultimo ventennio dell’Ottocento. Erano gli anni del movimento Impressionista, dell’apertura delle frontiere nipponiche, dell’uso sempre più arbitrario e simbolico del colore, del primitivismo di Gauguin, del pre-espressionismo di Van Gogh. Gli anni in cui sbocciava e si consumava una delle più celebri e dannate storie d’amore: quella tra August Rodin e Camille Claudel. La Parigi di fine Ottocento e inizi Novecento accompagnava la pittura lungo un percorso rivoluzionario che dal Realismo alle Avanguardie si era fatta sempre più sperimentale. Il colore, soprattutto, veniva usato in modo assolutamente arbitrario e sovente finalizzato a raccontare dinamiche interiori, soggettive, emozionali. Contro il concetto di mimesi, dunque, e passando dalla più lucida razionalizzazione a una espressività estrema.
Suzanne iniziò a dipingere in questo clima, trovando in Edgar Degas un grande maestro ed estimatore. Degas credeva in lei. Ne riconosceva il talento. Le insegnò alcuni segreti tecnici e divenne il suo primo collezionista. Il rapporto che nacque fra loro fu simile a quello che può instaurarsi tra un padre e la propria figlia. Probabilmente Suzanne vide in lui il genitore che non aveva mai avuto. Intanto continuava a fare la modella. Posò nuda per Puvis de Chavannes, Toulouse-Lautrec e gli italiani Federico Zandomeneghi e Giuseppe De Nittis. La sua immagine è rintracciabile nelle Bagnanti di Renoir. A diciannove anni rimase incinta. Alcuni ritengono che il padre fosse proprio Puvis, ma questi non riconobbe mai il bambino, che invece prese il cognome di un pubblicista spagnolo amico di Suzanne. Figlio di padre ignoto, dunque, con un cognome donatogli per bontà, Maurice Utrillo ebbe lo stesso destino di sua madre. Ma non resse come lei alle intemperie della vita. Mostrò da subito un carattere fragile e difficile. Alcolizzato e depresso, aggrappato – si dice – alla sottana della madre, era spesso preda di crisi nervose e fu più volte ricoverato in case di cura. A seguito di un tentato suicidio, Suzanne lo portò con sé in un castello vicino a Lione per metterlo a più stretto contatto con la natura ed educarlo a dipingere en plein air. Pensò che la pittura potesse lenire il suo dolore, fino a salvarlo dal male di vivere. E in effetti la pittura divenne un’ancora per lui, tanto da renderlo più celebre di sua madre. Tra gli esponenti dell’Ecòle de Paris, Utrillo viene ricordato per i suoi paesaggi accanto ai nudi di Modigliani, alle fiabe di Chagall e ai buoi squartati di Soutine.
Quella di Suzanne fu un maternità difficile. Per garantire a suo figlio un tenore di vita privo di stenti e le giuste cure per i suoi disturbi psichici, finì per sposare un uomo che non amava. Ma il matrimonio non durò a lungo. Nel 1914, a un passo dal Primo Conflitto Mondiale, ormai quarantacinquenne si innamorò perdutamente di un artista di soli 23 anni, amico di suo figlio. Per lui chiese il divorzio e con lui si risposò. Era Andrè Utter. È a questo periodo che risalgono le sue opere migliori: i nudi femminili. All’inizio della sua carriera da autodidatta, Suzanne aveva dipinto con tecnica perfezionista animali, per lo più gatti. Poi passò ai ritratti. E infine all’indagine della nudità. I suoi nudi femminili – e talvolta anche maschili – in cui l’incarnato chiaro e compatto viene recintato da un contorno nero e deciso rimandano, per la resa volumetrica, alla lezione cezanniana, mentre per l’uso del colore a quella di Gauguin. Le donne di Suzanne sono donne poderose, a tratti rubensiane. Certamente vigorose. Le cromie scelte sono quasi sempre vivide e luminose, compatte e ben campite. A posare per lei erano spesso donne comuni, avulse dalla loro quotidianità domestica. La cameriera, la portinaia. Donne normali. Che non conducevano vita sregolata e non avevano peculiari velleità. Rimandi all’Orientalismo introdotto dal fauvista Matisse sono invece rintracciabili nella Camera Blu, datata 1923.
Suzanne fu la prima donna a essere ammessa alla Sociètè Nationale des Beaux-Arts. Partecipò anche al Salon des Indépendants nel 1912 e successivamente al Salon d'Automne. Nel 1932 espose presso la Galleria Georges Petit riscuotendo un discreto successo. Destino volle, però, che la produzione pittorica del figlio occultasse la sua. Per questa ragione l’opera di Suzanne è stata messa in secondo piano e quasi dimenticata per una buona fetta di tempo. Si spense il 7 aprile 1938. Era seduta davanti al suo cavalletto quando la morte la colse. Stava semplicemente dipingendo. Stava felicemente dipingendo. Sempre lì, a Montmartre. A 73 anni e facendo la cosa che amava di più.