1914-1918 The Centenary of World War I è il tema della quarta edizione della International Canakkale Biennial avente luogo nella città di Canakkale in Turchia, importante punto geografico di incontro tra la cultura mediterranea, europea e medio-orientale. Quest’anno infatti partendo dall’affermazione di Platone “solo i morti hanno visto la fine della guerra” la Biennale vuole riflettere sugli eventi politici, sociali e culturali contemporanei e sugli impatti che la guerra ha avuto dal 1914 in un mondo nel quale le guerre e i massacri sono tuttora in corso in un’ampia area che va dalla Palestina, Iraq e Siria fino alla Somalia e all’Africa Centrale senza contare le ulteriori numerose aree di alta tensione. La Biennale ha così invitato molti artisti contemporanei di fama internazionale (tra i quali Maja Bajevic, Ergin Cavusoglu, Douglas Gordon, IRWIN, Anri Sala, ecc.) a interpretare le conseguenze politiche, economiche, sociali e culturali del ciclo di guerra e pace in Europa, nei Balcani, nel Caucaso e nel Medio-Oriente stimolando non solo il patrimonio delle generazioni più giovani ma anche le loro attività. In occasione dell’inaugurazione della Biennale ho incontrato Ergin Çavuşoğlu e ne ho approfittato per parlare del suo progetto Lundy, Louis, Barge and Troy creato proprio per la 4th International Canakkale Biennial.
Ergin Çavuşoğlu è nato in Bulgaria facendo parte della minoranza turca e ha studiato a Istanbul e Londra dove vive e lavora. Ha al suo attivo molte mostre personali in diversi spazi e paesi come per esempio BM Contemporary Art Centre, Istanbul (1996), Haunch of Venison, Zurich (2007), ShContemporary, Shanghai (2008), Ludwig Forum Fur Internationale Kunst, Aachen (2009), The Pavilion Downtown Dubai – UAE (2011), Whitechapel Gallery, London (2011), ecc. Ha rappresentato la Turchia alla Biennale di Venezia del 2003 ed è stato tra i finalisti dell’Artes Mundi 4, uno dei più prestigiosi premi di arte contemporanea internazionale, e il Beck’s Futures Prize nel 2004. Ha preso parte a numerose mostre collettive e biennali internazionali d’arte come la First Kyiv International Biennial of contemporary art (2012), la 3rd Berlin Biennial (2003) e la 8th Istanbul Biennial (2003). È molto conosciuto per le sue videoinstallazioni nelle quali esplora e si interroga sul nostro posto in una società globalizzata caratterizzata dalla mobilità e dall’incontro tra diverse culture. Nelle suo opere riflette su concetti come spazio, non luoghi, confine e sulle condizioni di produzione culturale.
Lundy, Louis, Barge and Troy (2014) è il tuo ultimo capolavoro commissionato e prodotto per la quarta edizione della International Canakkale Biennial. Puoi raccontarci questo tuo ultimo progetto e il suo legame con il tema della Biennale?
Lundy, Louis, Barge and Troy è una doppia installazione audio e video commissionata e prodotta proprio per la 4th International Çanakkale Biennial 2014. Il suo quadro concettuale è duplice: uno schermo presenta il naufragio della flotta degli Alleati affondata nel suo approccio allo Stretto dei Dardanelli in Turchia durante la “Campagna di Gallipoli” della Prima Guerra Mondiale. Il secondo video mostra il traffico delle navi contemporanee che si incrociano sulle acque blu. Il titolo dell’opera è basato sui nomi delle navi e il montaggio del filmato sottointende che le navi da guerra perirono lungo gli stessi assi una dietro all’altra. La telecamera si muove lentamente sulla lunghezza dei relitti rivelandoli in questo modo da una insolita prospettiva a volo d’uccello. I resti in decomposizione sono sia di una bellezza inquietante sia sinistri. Non possiamo evitare di pensare alle circostanze del loro triste destino. Ad ogni modo l’opera non intende illustrare o narrare queste incontrollabili condizioni e atti di guerra. Piuttosto attraverso una tecnica cinematografica molto particolare di scansione verticale del fondale e delle acque soprastanti l’opera prova a dare un significato all’importanza dell’atto di cupa memoria e riconciliazione. Questo è ulteriormente enfatizzato dall’installazione che presenta il filmato cinematografico su due grandi schermi posizionati verticalmente e allestiti separatamente così da sembrare porte del Paradiso o dell’Inferno, passato e presente.
Tra le opere presenti in questa edizione della Biennale quali hanno attirato la tua attenzione?
La Biennale comprende tipologie di opere molto diverse come installazioni multimediali, dipinti, sculture e fotografie. Tra queste la mia attenzione si è concentrata sulla performance e sul video War Capriccio (2011) di Klaus vom Bruch, su 10 ms-1 (1994) di Douglas Gordon, sul video Low Approach (2009) di Murat Gok, sulla serie di acquerelli di Radenko Milak, sui dipinti di Tunca Subasi e sul video Letter to a Refusing Pilot (2013) di Akram Zatari, oltre a molti altri.
Ritornando alla tua opera e ai due diversi video che la compongono (uno con il naufragio della flotta degli Alleati e uno con il traffico delle imbarcazioni contemporanee) mi sembra che si tratti di una riflessione su due diversi ideali e approcci. Viviamo in un’epoca di grandi e veloci cambiamenti come per esempio la Globalizzazione e il Multiculturalismo, pensi che l’arte possa aiutare a riflettere su questi cambiamenti facendoci recuperare un nuovo senso etico o comunque una certa consapevolezza delle nostre responsabilità?
L’arte ha sempre svolto diversi ruoli socio-politici a seconda del contesto, dalla scena nella quale viene presentata e anche dalla capacità interiore di raccontare una storia o un commento sulla vita di ogni giorno secondo uno schema non lineare. L’epoca a passo veloce nella quale viviamo spesso richiede pause, interruzioni e spunti di riflessione. L’arte nei suoi correnti modi di produzione e diffusione spesso diventa un’àncora o uno stimolo alla comprensione e alla risposta alle questioni legate a globalizzazione, multiculturalismo, moralità e quindi etica.
“Limen” è una parola latina che significa una linea, un confine che stabilisce una relazione di inclusione/esclusione, un legame tra ciò che è dentro e ciò che è fuori. È un concetto antico, spesso presente nella tua pratica artistica. Perché è così importante nella tua pratica?
Il più ampio concetto dello stare insieme e della liminalità sono spesso presenti nelle mie opere. Il concetto di liminalità è centrale sia nella mia pratica artistica secondo diversi livelli ed esperienze sia nel mio stretto rapporto con le diverse forme di espressione che ho acquisito durante la mia vasta formazione in arte dalle forme classiche di espressione a quelle più contemporanee. I diversi progetti sono strutturati su diversi temi che comprendono differenti aspetti dell’analisi delle concettualizzazioni dello spazio, del luogo e del ritmo in un senso più ampio. Spesso presentano diversi registri di mobilità rifacendosi all’idea di un senso progressivo dello spazio, a modelli di “spazi sociali” e alla nozione di confine da diverse prospettive. L’architettura delle installazioni inoltre enfatizza e aiuta a comprendere questi concetti nei modi attraverso i quali sono esperiti dal visitatore.
La Turchia è una terra che confina con Oriente e Occidente, un luogo storico di incontro e dialogo tra culture e persone diverse. Quanto questa condizione ha inciso sulla tua formazione come artista?
Lundy, Louis, Barge and Troy rappresenta un’altra tappa del mio lavoro nella direzione di temi come l’estraniamento e la geometria spaziale come già si è visto in Downward Straits (2004). La zona liminale dello stretto che separa l'Oriente dall'Occidente all’altezza del Bosforo è qui riposizionato lungo l'asse verticale guardando verso il basso e verso l'alto in modo da implicare uno spazio propositivo tra esistenza e non-esistenza. Questa inversione di spazio funge contemporaneamente da punto di riflessione e di dislocamento spaziale.
Come e quando nasce la tua passione per l’arte e come si è sviluppata in questi anni?
Sono nato in Bulgaria e ho cominciato i miei studi in arte alla tenera età di 14 anni presso la Scuola Nazionale di Belle Arti Iliya Petrov di Sofia nei primi anni ‘80. Comunque anche mio padre è un artista professionista e studioso e io in realtà ho iniziato a prepararmi per la scuola d'arte già all'età di 8 anni. Questo inizio è stato seguito da un'ampia educazione artistica nelle sue forme moderne e contemporanee presso l'Università di Marmara, al Goldsmiths, all’University of London, e all'Università di Portsmouth. Questo ampio impegno con varie forme di espressione e di pensiero ha influenzato la mia pratica a diversi livelli.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Come sempre lavoro su più progetti contemporaneamente. Si va dai grandi video e installazioni di film, ai progetti scultorei tridimensionali alle installazioni site-specific di disegno anamorfico ai disegni più tradizionali e qualche volta utilizzando o riappropriandomi di alcuni oggetti trovati, quelli che chiamo oggetti “nature-made” (fatti dalla natura). Il nucleo della mia pratica è la stratificazione delle idee procedendo così a mappare i processi di pensiero che ci aiutano a comprendere le questioni socio-politiche così come a indirizzare introspettivamente verso argomenti correlati alle condizioni di produzione culturale e scolasticamente alla comprensione dell’arte di oggi. Attualmente sto collaborando con lo sceneggiatore newyorkese Arnold Barkus a un film dal titolo Ephemeral Patterns. Questo lavoro nasce da una iniziativa più ampia dell'allora UK Film Council e Arts Council England nel 2007 quando mi è fu chiesto di proporre un'idea, commissionandomi poi di scrivere la sceneggiatura di un lungometraggio basato sulla forza della mia ricerca sull’immagine in movimento a base narrativa. Sono anche in fase di produzione di un video a tre canali di grandi dimensioni e al progetto di un'installazione sonora commissionato da Extra City Kunsthal, Antwerp in collaborazione con 0090 Festival, Belgium, FLACC, Genk, SAHA Istanbul, Spacex, Exeter e Z33 House for Contemporary Art, Hasselt. La collaborazione si tradurrà in una serie di mostre personali in ogni sede nel pariodo 2014 - 2015 e una pubblicazione di accompagnamento. Il progetto si chiama Desire Lines - Tarot and Chess. Il concept prende spunto dal libro di Italo Calvino Il castello dei destini incrociati (1973), e trasversalmente riflette su alcuni elementi dal libro di Vladimir Nabokov The Luzhin Defence (1930). Una delle ambientazioni sarà una scena che raffigura un reading poetico. Le poesie sono state commissionate proprio per il progetto e ho già la disponibilità di poeti di fama internazionale come Jo Shapcott, Philip Gross vincitore del Premio T.S. Eliot, il geografo umano e poeta Tim Cresswell e Susan Wicks, tra gli altri.