Chi è Letizia Marabottini?
Mi piace leggere questa come una domanda intima e istintivamente rispondo che sono il frutto dell’accudimento. Nella mia vita ho trovato sempre, nonostante tutto, qualcuno che si è preso cura di me e questo mi ha resa una persona per certi versi fortunata. Consapevole di questa fortuna, non riesco a fare a meno di prendermi cura a mia volta di tutto. E quando la paura di non bastare mi assale, sono sempre consapevole che c’è un motivo celato in un regresso, e che è necessario e vale la pena percorrere a ritroso la strada fatta, attingendo alla memoria per comprendere e superare. Mi succede soprattutto da quando sono diventata madre.
Cosa, del mondo che ti circonda, attrae la tua attenzione e cosa riesce ad avere un effetto tale da influenzare la tua ricerca artistica?
Del mondo sono assetata, affamata, curiosa. Sono in costante osservazione della natura - dei suoi cicli e delle sue evoluzioni, del micro mondo che contiene e del suo opposto -, dell’uomo - dei suoi atteggiamenti e movenze, dei suoi sguardi, delle sue nevrosi -, e di come i rapporti tra uomo e natura si fondono e si respingono. Mi affascina la vita vissuta, i racconti degli anziani, non solo nelle grandi imprese, ma soprattutto nel vivere quotidiano. Tento di mettermi nei panni degli altri non tanto per trovare un’arma per la competizione, quanto per trovare il nucleo di un eventuale processo di comunicazione. Le modelle dei miei progetti, per fare un esempio, le ho sempre trovate per strada, proprio grazie a questa osservazione costante di ciò che mi circonda, e sono nate delle profonde collaborazioni. I momenti di isolamento, quelli vissuti in contemplazione della natura o nei contenitori di vita che sono le stanze dei nostri moderni appartamenti, sono soprattutto quelli, i momenti in cui viene fuori la verità. Nel nostro mondo occidentale i momenti con se stessi, i momenti di riflessione, si limitano a volte al tempo di una doccia. Così, da qualche anno, la mia riflessione si è concentrata, per appartenenza, sull’indagine della condizione di isolamento urbano della donna.
Qual è il pensiero/progetto che sta dietro alle tue opere: il tuo lavoro nasce dall’impulso che segue a un’idea o a una necessità?
La necessità. La necessità convoglia tutta la sua forza in un’idea che poi diventa progetto.
C come consapevolezza, M come memoria, P come persona... che significato hanno queste parole nella tua ricerca artistica?
È una trilogia inseparabile per me, il punto di partenza per i miei lavori. La consapevolezza affiora nella persona anche grazie alla memoria. La persona è la sua propria storia, ma anche la storia di chi l’ha generata e indietro ancora. La presa di coscienza del proprio passato ci rende consapevoli nel presente per affrontare il futuro prossimo. Dico prossimo perché la consapevolezza della fragilità della vita porta purtroppo a vivere soprattutto il presente, troppo spesso in uno stato di compiacimento apparente per quelle cose che ci sono imposte e con un grande assente, quell’aspetto creativo visionario che nasce in momenti di lentezza, di contemplazione, anche di noia, e che dovrebbe appartenere a tutti.
Quali delle tue opere ci proporresti come punti di snodo fondamentali nel tuo percorso?
Tracce del 2009. È il lavoro che ha aperto il percorso di indagine sulla condizione della persona nell’isolamento urbano, percorso che sto affrontando da un po’ di tempo. È un lavoro di grandi dimensioni, frammentato in pensieri visivi conservati preziosamente in teche di plexiglas in cui una donna, chiusa nel box doccia, in un intimo gesto quotidiano, vive uno dei momenti più importanti della sua esistenza: la gravidanza. In una condizione urbana in cui la solitudine rende spesso la realtà artificiale, amplifica e distorce la qualità della vita, questa donna si concede una meditazione sul suo stato, con grande onestà, senza nasconderne il disagio. Sui vetri appannati dal vapore è alla ricerca di se stessa lasciando tracce di ciò che è, di ciò che è stata e di ciò che sarà.
Per appartenenza e non per una discriminazione di genere, mi sono soffermata sulla figura della donna e ho proseguito la riflessione nel 2013 con il progetto Sweet instant of memory, un progetto a cui tengo molto anche per la collaborazione che si è creata con A. M. Soldini. Il momento di vita indagato in questo caso è la maturità; protagonista, una donna che si ritrova a ripercorrere la strada fatta: dalle sue radici ai suoi amori, dalle passioni alle rinunce, tendendo al sogno. Nelle fotografie, i lunghi capelli bianchi della modella, diventano emblematici e fondamentali raccoglitori del tempo passato: ogni punto della lunghezza equivale a un ricordo. Questo progetto si è poi concretizzato in una mostra personale che proponeva il viaggio a ritroso nel tempo attraverso una serie di stimolazioni sensoriali: un odore, una visione, un sapore, un contatto, un suono. Un viaggio, che proprio come succede quando si ricorda, gradualmente, lentamente, porta a una presa di coscienza di sé. Una serie di racconti intimi che si offrono all’osservatore per attivare in lui stesso il processo del ricordo. E poi, Trans substantia. Una performance che attraverso un gesto sacro, quello che vede la modella del progetto scegliere per intuito le persone alle quali offrire se stessa, corpo e anima, in un’ostia con impresso il suo profilo di bambina che si fonde con quello presente tramite i capelli, racchiude l’intero viaggio di un essere umano e ne chiude il cerchio con un atto di generosità.
Che approccio hai con la materia per arrivare agli aspetti contenutistici e concettuali delle tue opere?
La materia è stata fondamentale e lo è tuttora nel mio percorso artistico, direi che è vitale. Fin da bambina ho sempre amato giocare con la terra, sporcarmi le mani, sperimentare. I miei primi lavori pittorici, già ai tempi dell’Accademia, avevano come focus la materia intesa come forza, estensione, potenza e soprattutto mezzo per acuire i sensi tramite il contatto, sprigionando energia nuova o evocando quella passata. Per questo motivo i materiali che utilizzo per i miei lavori sono i più svariati: dalla classica fotografia su carta, alla stampa su rasi, legni di vario tipo, plexiglas, ostia, eco pelle… La scelta è frutto di un’attenta analisi del contenuto per trovare il supporto adatto, nel tentativo di evocare sensazioni vissute.
Quali sono le “sfide” che proponi a te stessa come artista? Come continui a sperimentare?
Ogni progetto che affronto è una sfida con me stessa, non mi voglio porre limiti, non ho voglia di adagiarmi su qualcosa che in qualche maniera possa aver accontentato me e i fruitori del mio lavoro. La sperimentazione e la ricerca sono in continuo fermento dentro di me, devo ancora crescere e penso che trovare soluzioni ogni volta oneste sia, oltre che stimolante, il modo migliore per arrivare alla altrui sensibilità.
Cosa vuoi che le tue opere dicano a te stessa e a chi le osserva?
Molti dei miei lavori fanno il punto su momenti della mia vita e diventano uno strumento per comunicare con gli altri. Il tentativo è nel voler attivare nell’altro e con l’altro i meccanismi di rinnovamento delle sensazioni, dei ricordi, della ricerca della propria identità, e quando questo meccanismo si innesca, si crea un contatto che ci unisce e che arriva profondamente a segnare un altro punto della vita.
Quali sono le motivazioni, le spinte, i condizionamenti, i limiti e le conseguenze di essere un'artista oggi?
Quello che m’induce a produrre qualcosa che si avvicini all’arte oggi, per me, nasce da un’esigenza interiore che si spiega in tutto ciò che finora ho raccontato e che si traduce in interesse per quello che mi circonda, per la società in cui vivo e in cui viviamo. I limiti spesso sono legati a qualcosa che va oltre noi stessi, qualcosa di pratico, qualcosa che è più legato a un circuito economico e non culturale. L’investimento di tempo e denaro per chi crea diventa piuttosto oneroso in alcuni casi, se non si riesce a trovare nel momento giusto chi ti supporta. Si è costretti a volte a cambiare direzione, a rettificare i costi e di conseguenza i progetti. Si è bombardati quotidianamente da proposte indecenti per la partecipazione a mostre personali o collettive senza alcun valore, se non quello di far guadagnare chi le organizza. Ci si sente a volte incastrati in una rete che non ha niente a che vedere con il punto di partenza. Poi ci sono dei casi in cui vedi la passione, il coinvolgimento, la dedizione, la cura vera e, anche grazie a questo, prosegui il viaggio.
A che cosa può aprirsi il mondo attraverso l’arte?
Alla bellezza profonda del processo di comprensione di sé e dell’altro da sé, nonostante la durezza del percorso; alla bellezza dell’analisi storica che è aiutata dall’arte; alla bellezza dell’andare oltre senza troppe parole.
Che progetti hai in cantiere?
Sto lavorando già da qualche mese a un nuovo progetto di cui ho esposto due lavori inediti in due occasioni differenti. Il primo, Resilienza, stampato su raso, porta il nome dell’intero progetto, ed è stato selezionato per il Premio Opera 2014 a Ravenna, premio curato da Daniele Casadio, Beatrice Buscaroli, Claudio Cerrittelli e Paola Babini. L’altro, Spirito resiliente, stampato su legno di pioppo, è stato esposto a Roma, al Centro Culturale Elsa Morante nella collettiva Utopia, curata da Mauro Tropeano. In questo nuovo progetto, la donna è giovane, ha da poco abbandonato l’adolescenza, è alla ricerca di un ruolo sociale in una società che non le dà certezze e neanche spinte per progettare il proprio futuro. E così, la giovane donna appare abbandonata, assente, accostata, nella sua solitudine, a elementi naturali. In realtà, questa condizione di smarrimento è solo apparente: ciò che la donna sta facendo è un tentativo di entrare in empatia con la natura, di accoglierne gli elementi cercando di coglierne il senso di libertà e forza. Un’ultima ancora di salvezza. Il suo riflettere in solitudine sul rapporto con la natura, la porta a essere consapevole del suo grande potenziale di resistenza, di adattabilità e di resilienza, per affrontare le avversità della vita, superarle e uscirne trasformata positivamente.
Dai la risposta alla domanda che volevi io ti facessi e che non ti ho fatto...
Se non avessi avuto l’arte come compagna di viaggio nella mia vita, mi sarei persa.