Circa l'efficacia delle terapie farmacologiche generalizzate, esistono numerosi studi scientifici e di pensiero. Quando viene prescritta una terapia se ne suggerisce il dosaggio in base all'età del paziente, ma questo è davvero sufficiente affinché un farmaco sia efficace, e venga correttamente metabolizzato? È sufficiente per uno smaltimento dei cataboliti? È sufficiente per la nostra capacità di assimilarlo?
Purtroppo no, i meccanismi che entrano in gioco per far sì che 1 microgrammo di principio attivo svolga la sua funzione chimica sono molteplici e difficilmente schematizzabili, semmai possono essere riconducibili ad alcune linee guida. Le differenze tra uomo e donna nella risposta al farmaco sono notevoli e sono da considerarsi dovute a vari fattori, uno dipende alla differenza di peso: normalmente una donna sana pesa in media il 25-30% in meno di un uomo e se questo non viene considerato, accade che una donna assuma una maggiore quantità di principio attivo rispetto a un uomo.
Esiste poi il problema della variabilità enzimatica e ormonale, sia per l'alternanza di estrogeni e progestinici in un ciclo femminile normale che in presenza di terapie ormonali anticoncezionali o per stabilizzare il ciclo. Gli estrogeni e i progestinici, è risaputo, modificano il metabolismo femminile e di conseguenza anche la cinetica e la dinamica di un farmaco. Le differenti reazioni ai farmaci sono legate anche ai cromosomi sessuali X e Y: è stato infatti scoperto che nel cromosoma Y maschile sono presenti alcuni geni responsabili delle diversa risposta allo stress, alla pressione arteriosa e ai livelli di colesterolo nel sangue che si osserva tra uomini e donne e che può influenzare l’assunzione di un farmaco. Da considerare anche che nella donna la quantità di tessuto adiposo è maggiore di circa il 25% rispetto agli uomini. Ciò significa che nelle donne, i farmaci lipofili (cioè solubili nei grassi) tendono più facilmente ad accumularsi nella massa grassa per poi essere rilasciati nel tempo.
Un altro fattore da considerare è la minore secrezione gastrica della donna rispetto all’uomo, e un’acidità più elevata. La motilità intestinale femminile inoltre è inferiore, per questo un farmaco tenderà a sostare più a lungo nell'organismo, con tutti gli effetti che ne conseguono. In Europa non esiste l’obbligo all’inserimento delle donne negli studi di ricerca clinica, come invece avviene da tempo secondo una legge della Food and Drug Administration negli Stati Uniti. Le donne infatti, in Europa, non sono presenti nel programma di sperimentazione di Fase I, cioè volto a scoprire quale sia il loro meccanismo d’azione, e sono escluse anche dalla sperimentazione della Fase IV, quella relativa al monitoraggio del farmaco una volta commercializzato. Tutto questo impedisce di capire la reale efficacia di un farmaco nell’organismo femminile e i suoi eventuali danni. Pertanto l'atto fiducioso di assumere un farmaco, a volte nasconde insidie per la salute oltre alla possibile inefficacia del trattamento stesso.
Purtroppo per noi, la fisiologia umana è il frutto di una delicata coesistenza di reazioni chimiche in precario equilibrio, una minima alterazione scombina la programmazione della demolizione di una determinata sostanza e la possibile produzione eccessiva dei prodotti del suo catabolismo, come pure il suo rallentamento. L'eccessiva produzione porta a un più veloce abbattimento delle potenzialità del farmaco se esso ha la sua attività da molecola primaria oppure a una più rapida concentrazione nei tessuti dei metaboliti attivi con conseguente eccessivi livelli sierici e successiva difficoltà di eliminazione. La situazione è esattamente ribaltabile al contrario.
Si pensi che all'interno del nostro sistema cellulare sono presenti enzimi di detossificazione per le sostanze xenobiotiche, cioè non biologiche, deputati allo smaltimento di tutte quelle sostanze che assimiliamo dall'esterno, come farmaci, pesticidi, coloranti, aromi chimici, molecole aromatiche, conservanti, ecc. Queste sostanze devono transitare il più velocemente possibile nel nostro corpo e altrettanto velocemente devono essere abbattute ed eliminate. Per questa funzione, cioè di ossidazione degli xenobiotici, i principali responsabili sono quelle proteine con attività enzimatica chiamate citocromi P450. Questi producono metaboliti, cioè prodotti di demolizione dello xenobiotico che vengono coniugati a sostanze in grado di inertizzarli ed espellerli attraverso i liquidi biologici.
A volte può accadere che alcuni metaboliti siano più pericolosi della sostanza di partenza e creino inneschi di mutazione nel patrimonio genetico cellulare responsabili di un differenziamento lungo una linea cancerosa. È estremamente importante conoscere quali citocromi e in quale quantità essi siano presenti nelle nostre cellule, per capire quale destino avranno i farmaci nel percorso metabolico e quindi il loro potere terapeutico. Ed è inoltre importantissimo capire se le nostre abitudini alimentari o la permanenza in ambienti con aria insalubre possano alterare in quantità e composizione i farmaci. I citocromi rappresentano l'elemento base per il metabolismo delle sostanze estranee al corpo umano, e sono il veicolo del metabolismo dei farmaci e della loro efficacia terapeutica.
Assumere farmaci per terapie a lungo periodo è una scommessa legata alla reale efficacia sull'individuo e alla tossicità che ne può derivare. È quindi necessario conoscere il target a cui si rivolge il trattamento, un'operazione di modulazione dei quantitativi in base alla persona che li deve assumere, insomma uno studio di base e un'osservazione nel tempo che porti a una cura “sartoriale” e alla realizzazione di un programma farmacologico “come un abito, su misura”.