Mia nonna Enrichetta diceva spesso: "Mariella ha un certo carattere" senza punto esclamativo. E il punto esclamativo fa la differenza. "Mariella ha un certo carattere" è un'affermazione che in quel "certo" contiene una misteriosa certezza.
Ho vissuto cercandola e ho trovato qualche traccia. Ad esempio, non sopporto le file. Quando ne vedo una giro i tacchi e mi dico, "tornerò". È accaduto anche quel giorno, a Milano. Ero andata per vedere una delle tante mostre che richiamano nelle città un folto pubblico. Avevo scelto l'ora del pranzo pensando di trovare... una fila. Perché il destino, per me, quel giorno aveva in mente altre strade. Infatti, vista la fila, le ho subito voltato le spalle e mi sono diretta alla Pinacoteca di Brera sicura di trovarmi, sola, a dialogare con alcune tra le grandi opere del passato. Arrivo così ad una delle esperienze più profonde della mia vita.
Sulla soglia di quella stanza mi appoggio al muro o svanisco per sempre. Dinnanzi a me la La Pala di Federico da Montefeltro di Piero della Francesca, alla mia sinistra Il Cristo morto del Mantegna. Mi concentro sulla luce astratta e immobile della Pala. Sento la presenza del Cristo ma guardo la Madonna, anzi alzo lo sguardo e osservo l'uovo di struzzo, che messo in risalto dalla luce e dallo sfondo in ombra, si proietta in primo piano. Ricordo le lezioni di Ornato disegnato del professore Umberto Folli quando frequentavo il Liceo Artistico.
Erano inverni gelati, il professore veniva da Massalombarda. Entrava in aula puntuale alle otto del mattino e posava sulla cattedra un uovo sodo e a noi allieve addormentate e infreddolite diceva, indicandolo, "È tutto lì". Le più, si davano gomitate e ridevano. Io no, non ridevo perché ero già madre e le ore che passavo lontana da mia figlia dovevano avere motivazioni profonde. L'essenziale fatale qualità di quell'uovo è qui e mi guarda dall'alto della sua perfezione. Alzo lo sguardo e un'umanità superiore fatta di santi e di angeli, dall'ovale sublime risiedono in un altro mondo. Anche Federico da Montefeltro, il committente è, come me, fuori da quell'universo.
La proprietà che determina la forma ovale è più grande della forma stessa, è più vasta, più eterna. Illimitata. Forse questo, ci voleva dire il professor Folli. E sono qui senza difese con il solo desiderio di ricambiare. Ora posso girarmi e perdermi nel vertiginoso scorcio prospettico della figura del Cristo morto del Mantegna. Ecco il contraccolpo. È di fronte a me e mi interroga. Qui ritorno al nostro mondo e incontro una delle rappresentazioni più forti e coinvolgenti della morte.
A sinistra tre volti contratti in impressionanti maschere di dolore. A destra il vaso degli unguenti. Al centro la figura di Cristo avvolta nel sudario è distesa sul marmo freddo. Vicino a me i suoi piedi segnati dai chiodi della croce mi conducono al centro della scena. Luci e ombre rivelano una verità senza fraintendimenti. Scende su di me la notte e sento che tutto è perduto. Il mio è un grido muto perché la morte richiede silenzio.
Dove si trova l'enigma? Come rispondere alla domanda che così prepotentemente mi pone questo corpo? Sì, lo spazio si concentra tutto sul Cristo e mentre ne decreta la sua e la nostra fine ne esalta l'impressionante energia. Mi ritorna alla mente Pasolini e il suo film Mamma Roma. Una voce mi annuncia che la Pinacoteca sta chiudendo. Esco e la città mi accoglie nella luce del tramonto. Da quel pomeriggio è trascorso molto tempo ma continuo ad avere, a Milano, parenti e cari amici. In questo momento frequento Luisa e Giovanni che oscillano tra Milano, Ravenna e il lago. Il nostro incontro è così ricco di sorprese che merita un racconto a parte. Sono proprio loro che una domenica pomeriggio mi hanno invitata a Fusignano per presentarmi un loro amico che ha una galleria di antiquariato a Brera. Mi sono trovata così, una domenica pomeriggio, in una grande sala dove nella penombra numerose coppie ballavano il tango.
Il tango, i colombi e il gatto
Non so ballare. Sono una nuotatrice e una ciclista ma in me è assente il movimento armonioso della danza. Sarà per questa ragione che il guardarla mi commuove. E anche quella domenica vedevo le coppie seguire con passione ed eleganza la musica e mi sembravano corpi nati con le ali. In un abbraccio frontale nella penombra della sala, le coppie davano forma e sostanza al tango, quel "pensiero triste che si balla". Mentre in un angolo della sala ammiravo la bellezza del linguaggio del corpo, è arrivato un poco in ritardo Sergio Baroni, l'amico antiquario. Ci ha salutati ed è sceso subito in pista.
Sergio balla, poi ceniamo e prima che riprenda a ballare di nuovo credo sia arrivato il momento di parlargli. Parto con la grinta di una giornalista freelance - la maschera - che non sono - il volto - perché le domande fatte e ricevute mi creano disagio. A volte è meglio non farle e a me ricordano le interrogazioni scolastiche che mi trovavano regolarmente impreparata.
Come l'acqua di un fiume che scorre mi racconta i percorsi attraversati nell'arco della sua vita. Parte come insegnante di lettere, abbandona la scuola per il mondo della moda come modello poi come organizzatore di eventi artistici per Versace. Ha il coraggio di ritirarsi al momento giusto per mettere a frutto la sua profonda cultura e apre, a Brera, la galleria di antiquariato che una volta all'anno organizza una mostra a tema, quest'anno Il volto, la maschera. Naturalmente il suo è un racconto molto articolato ma mentre parla rivedo Fusignano e Brera. Partenze e ritorni.
La sua casa nella "bassa romagna" con centinaia di colombi di razza pregiata, la piazza con la sala dell'Arci dove balla il tango e il grande gatto bianco che insieme a lui parte e ritorna, sono segni di autentiche passioni. Da qui credo sia necessario partire per comprendere una vita ricca di avvenimenti. Inoltre credo che i gatti -tutti - facciano parte di una razza superiore e chi li ama come me ha tutta la mia simpatia e la mia attenzione. Sergio mi dice che il suo gatto è la mascotte di Brera. Così mi rendo conto che è il gatto a unire due mondi: Fusignano, l'origine, le antiche e le nuove parentele, i colombi e il tango e Brera, il divenire, il mutamento.
Di nuovo Brera. Ritorno con la mente ai miei soggiorni milanesi, agli incontri indimenticabili con gli artisti e gli amici milanesi e soprattutto alla Madonna dell'uovo di Piero della Francesca e al Cristo Morto del Mantegna. Al mio professore di Ornato disegnato e alla ragazza che all'inizio degli anni sessanta portava sua figlia Marcella all'asilo nido e poi andava a scuola.