I collezionisti sono disposti a tutto pur di avere l’opera d’arte che manca nella loro raccolta. A volte i prezzi pagati sono esorbitanti e non sembrano corrispondere al vero valore delle opere. Ma qual è questo valore? Possiamo provare a farcene un’idea cercando innanzitutto di capire un’opera d’arte contemporanea.
Un paio di anni fa alla Christie’s di New York è stato venduto il grande dipinto Orange, Red, Yellow di Mark Rothko (Markus Rothkowitz, 1903-1970) a 87 milioni di dollari. Circa un anno fa un certo Vladimir Umanets, mentre il capolavoro era esposto alla Tate Modern, ha pensato bene di scriverci sopra con un pennarello nero per poi sedersi e ammirare il suo operato nei pochi minuti che hanno preceduto l’arresto. “Era per incrementarne il valore! Io non sono un vandalo, sono un artista” ha dichiarato convinto.
87 milioni di dollari. Una cifra record, da capogiro, che fa subito pensare a quante cose si potrebbero fare avendola a disposizione ma che allo stesso tempo facciamo fatica a immaginare in contanti. Eppure l’acquirente non desiderava altro e si è aggiudicato l’asta di questo dipinto per poi concederlo in prestiti. Cos’è che spiega una simile vendita? Appena l’asta è stata annunciata in internet qualcuno non si è risparmiato di sottolineare che il suo imbianchino, per cento euro, avrebbe potuto fare un lavoro anche migliore. Pare, quindi, che quando si parla d’arte contemporanea tutto sia lecito ma esistono delle regole e i migliori risultati delle aste si hanno quando vengono battute opere di alta qualità (opinione che deve essere condivisa da tutto il mondo di teorici, critici, collezionisti e galleristi). Rothko non fa eccezione, è unanimemente considerato uno dei massimi esponenti dell’arte del Novecento e questa sua tela è la più costosa del secondo dopoguerra.
Etichettato per comodità, e contro la sua volontà, nella famiglia degli espressionisti astratti questo artista di origini ebraiche si trasferì giovanissimo negli Stati Uniti frequentando artisti come Pollock che a un certo punto decisero di abbandonare il cavalletto e di ripensare la pittura. Orange, Red, Yellow, realizzato nel 1961, ha la monumentalità dei dipinti antichi (236 x 206 cm) e la tecnica tradizionale dell’olio su tela. Pochi colori in ampie campiture che assorbono completamente lo sguardo dell’osservatore. Più che raccontare qualcosa o descrivere una porzione di realtà, il dipinto agisce su chi guarda, ci fa immergere in una atmosfera di emozioni primitive. Rosso che può essere rabbia, amore, fuoco o sangue. Lievi gradazioni più chiare e più scure incorniciano la visione e guidano l’occhio di chi sta di fronte. Nulla di più. Nemmeno quelle spiegazioni che alcuni titoli possono dare.
Rothko riflette sul senso della pittura, non gli interessa dimostrare una certa bravura tecnica. Ha qualcosa da dire attraverso colori intensi, ne ha l’urgenza, come tutti i grandi artisti e lo fa a modo suo, da pittore. La forza, il valore e quindi l’efficacia di questo quadro sta tutto in quello che fa. Non in quello che dice. Ecco perché funziona: le sue dimensioni ci fanno mettere in una posizione precisa per essere guardato, ci impongono di non guardare niente altro assorbendo tutto il nostro campo visivo. Non ci chiede se è bello o se è brutto, non ci chiede nemmeno se abbiamo capito qualcosa. Quando usciamo dal museo non possiamo non pensarlo, un’opera che vale rimane impressa nella memoria, nello spirito. E poi è la storia che decreta il successo di un lavoro: nessun artista che meriti davvero questo nome può ignorare il lavoro dei grandi e Rothko, per queste e molte altre ragioni, è stato ricordato da tutti i suoi posteri.
Forse sì, anche un artista vandalo, a modo suo, è in grado di dichiarare quanto valore abbia il lavoro di un altro e le grandi aste, che vivono delle passioni bulimiche dei collezionisti, riflettono quasi sempre la bontà di un dipinto.
Articolo di Chiara Casarin
The Power of Art - Mark Rothko from abril on Vimeo.