L’ultima notizia che ha suscitato un vivace dibattito riguarda la proposta di “riarmo” dei Paesi dell’Unione Europea, tema da tempo al centro dell’attenzione delle istituzioni comunitarie. Donald Trump ha contribuito in modo significativo a stimolare gli Stati europei a rivedere le proprie strategie di difesa, sollecitando un aumento degli investimenti nel settore militare e criticando il limitato contributo degli alleati europei alla sicurezza comune. Secondo Trump, gli Stati Uniti si farebbero carico di un onere sproporzionato.
Lo stesso Trump ha più volte insistito affinché gli Stati membri della NATO rispettassero l’impegno, assunto nel 2014, di destinare almeno il 2% del PIL alla difesa, un obiettivo ancora oggi largamente disatteso. Questa pressione ha spinto diversi Paesi, tra cui Germania, Francia e Italia, ad aumentare progressivamente i propri bilanci destinati alla difesa. Inoltre, la minaccia di un possibile ridimensionamento dell’impegno militare statunitense in Europa ha generato ulteriori timori, alimentando il dibattito interno all’UE sull’autonomia strategica e sulla creazione di una forza armata europea.
Il significato del riarmo
Il termine “riarmo”, nel suo significato più comune, implica il potenziamento degli armamenti in senso strettamente militare e generalmente riferito a intere nazioni. In questo contesto, si suggerisce che ogni Stato membro dell’UE debba rafforzare la propria capacità militare per garantire un’adeguata difesa, sia nazionale che collettiva.
La richiesta del riarmo dell’Europa
Il concetto di riarmo europeo, se interpretato come rafforzamento delle capacità difensive, ha trovato crescente sostegno negli ultimi anni. Questa esigenza si è accentuata a seguito di eventi come l’invasione russa dell’Ucraina, le crescenti tensioni con la Cina e il timore di un progressivo disimpegno statunitense dalla sicurezza del continente europeo.
Le principali motivazioni che giustificherebbero un rafforzamento dell’apparato difensivo europeo sono:
aumentare la capacità militare per scoraggiare eventuali aggressioni, in particolare da parte della Russia;
ridurre la dipendenza dalla protezione statunitense;
reagire alla pressione psicologica indotta dal conflitto in Ucraina;
soddisfare le insistenti richieste della NATO e degli USA affinché i Paesi europei rispettino l’impegno del 2% del PIL destinato alla difesa.
Sembra quindi indispensabile rafforzare le capacità militari dei singoli Stati dell’Unione, ma ciò dovrebbe avvenire nel quadro di una strategia collettiva. Una difesa europea efficace non può essere affidata a iniziative frammentarie o a decisioni troppo lente, bensì deve poggiare su una struttura unitaria e organica, guidata da una direzione politica comune, capace di decidere e agire tempestivamente, senza dover sottoporre ogni scelta al vaglio dei singoli governi.
Quanto spendono gli Stati membri dell’UE per la difesa1?
Nel 2024, la spesa complessiva per la difesa dei Paesi dell’UE ha raggiunto i 326 miliardi di euro, pari a circa l’1,9% del PIL comunitario, con un incremento del 30% rispetto al 2021.
A confronto con altre grandi potenze:
USA: 880 miliardi di euro;
Cina: 309 miliardi di euro;
Europa (UE): 326 miliardi di euro;
Russia: 126 miliardi di euro.
Nonostante l’Europa investa in difesa cifre comparabili a quelle della Cina e nettamente superiori a quelle della Russia, la sua efficienza e capacità operativa restano limitate, a causa della frammentazione del settore, della dipendenza tecnologica dagli USA e della mancanza di un comando militare unificato2.
Riarmo o difesa europea più integrata?
I dati spingono a interrogarsi sull’effettiva necessità di aumentare ulteriormente la spesa militare. Esistono alternative? È possibile rafforzare le difese europee attraverso l’integrazione delle forze esistenti, evitando sprechi e duplicazioni?
Il dibattito è aperto. Molti sostengono che investire in diplomazia, prevenzione dei conflitti e cooperazione economica rappresenti una strategia più lungimirante per garantire la stabilità geopolitica.
L’UE deve decidere se orientarsi verso una maggiore potenza militare o se privilegiare la cooperazione e una riorganizzazione razionale delle risorse già disponibili. La crescente instabilità internazionale ha spinto l’UE a dotarsi di strumenti come la Bussola Strategica3 e il Fondo Europeo per la Difesa4, ma l’acquisizione di nuove armi, senza un assetto organizzativo efficiente, rischia di rivelarsi inutile, se non controproducente.
L’identità pacifista dell’Europa e il suo ruolo internazionale
L’Europa ha costruito, negli ultimi decenni, un’identità fondata sulla diplomazia, la cooperazione e la mediazione. Ruoli centrali sono stati ricoperti in contesti come il negoziato sul nucleare iraniano e la stabilizzazione dei Balcani. Rinunciare a questa identità per abbracciare logiche esclusivamente militari significherebbe rinnegare le radici stesse dell’Unione.
Integrazione della difesa dell’UE e rapporto con la NATO
La questione dell’integrazione della difesa europea solleva anche interrogativi sul rapporto con la NATO. La creazione di un esercito europeo autonomo potrebbe essere percepita come un doppione delle strutture esistenti. Tuttavia, autonomia strategica non significa necessariamente contrapposizione, ma può tradursi in complementarità.
È importante valutare i problemi che potrebbero sorgere tra UE e NATO se l’Unione decidesse di attuare un’integrazione difensiva. L’UE dovrebbe perseguire un approccio equilibrato, rafforzando la propria capacità di deterrenza senza abbandonare il suo ruolo di potenza diplomatica. Un’Europa più forte militarmente non dev’essere sinonimo di un’Europa bellicista, ma di un attore globale capace di difendersi e di negoziare da una posizione di forza.
Non si può dimenticare che la NATO ha garantito oltre settant’anni di pace nell’Unione Europea. Tuttavia, un’integrazione difensiva europea potrebbe entrare in conflitto con il ruolo della NATO per diversi motivi: sovrapposizioni strategiche, divergenze politiche, timori di un indebolimento dell’alleanza transatlantica. Inoltre, si rischia una duplicazione di risorse: la creazione di un esercito europeo e di un sistema di difesa comune potrebbe generare strutture parallele a quelle della NATO, con costi elevati e potenziale riduzione dell’efficienza a causa di possibili conflitti interni.
Un’Europa più indipendente non dovrebbe mirare a ridurre drasticamente il ruolo americano nella sicurezza del continente. Va considerato che esistono interessi geopolitici divergenti: gli Stati Uniti guardano prioritariamente alla Cina e all’Indo-Pacifico, mentre l’UE è più preoccupata di Russia, Mediterraneo e Africa. Alcuni Stati membri, come Polonia e Paesi baltici, vedono nella NATO la principale garanzia contro la Russia e temono che un’integrazione europea riduca l’impegno statunitense nella loro difesa, generando potenziali divisioni interne. Altri Stati UE potrebbero rifiutarsi di partecipare a un esercito comune, preferendo mantenere un rapporto diretto con la NATO.
Infine, Washington potrebbe percepire un esercito europeo come una minaccia alla coesione della NATO, riducendo il proprio supporto alla difesa europea. Anche il Regno Unito, ora fuori dall’UE ma ancora pilastro della NATO, potrebbe osteggiare un’Europa che si muova autonomamente nel settore della difesa.
La supremazia USA nella NATO
Il peso degli Stati Uniti all’interno della NATO è evidente. Il Comandante Supremo delle Forze Alleate in Europa è sempre un generale americano. Le tecnologie militari avanzate utilizzate dai Paesi europei sono prevalentemente di origine statunitense: aerei da combattimento, sistemi antimissile, satelliti spia. Finché non si svilupperà un’autonoma capacità tecnologica europea, l’indipendenza militare sarà solo formale. Alcuni progetti comuni, come il caccia franco-tedesco FCAS e il carro armato MGCS, rappresentano tentativi di emancipazione. Ma l’assenza di un comando militare europeo, con potere decisionale e operativo, limita ancora l’efficacia dell’UE come attore strategico globale.
Gli Stati membri dell'UE, che sono anche membri della NATO, hanno propri rappresentanti militari presso la NATO. Questi rappresentanti partecipano al Comitato Militare della NATO, che è composto dai Capi di Difesa degli stati membri o dai loro rappresentanti permanenti, manca però un proprio unico rappresentante militare presso la NATO. Se l’UE avesse un proprio centro di comando per la difesa, potrebbe decidere autonomamente quando e come intervenire, senza dover seguire sempre la linea americana o, cosa ancora più importante, avrebbe una voce univoca da parte europea nelle decisioni da assumere sulle azioni della NATO.
L’UE potrebbe così rafforzare la propria presenza geopolitica costruendo relazioni di sicurezza autonome con Africa, Medio Oriente e Asia, senza dover sempre passare dagli USA, puntando su una difesa complementare alla NATO, ma autonoma.
Europa e autonomia strategica: una strada percorribile?
L’idea di autonomia strategica divide i Paesi europei. Francia e Germania sono favorevoli; Parigi ha parlato di “morte cerebrale della NATO”2 per giustificare un nuovo corso europeo; Berlino è più prudente, ma ha aumentato gli investimenti. L’Italia condivide l’idea, ma senza rinunciare al legame con Washington. I Paesi dell’Est Europa, al contrario, vedono nella NATO la loro unica garanzia di sicurezza. L’UE, con un PIL comparabile a quello statunitense, potrebbe teoricamente costruire una propria difesa comune, un progetto mai decollato.
I motivi del fallimento ripetuto di un’autentica difesa comune europea sono molteplici. Innanzitutto, la riluttanza degli Stati membri a cedere sovranità militare ha sempre frenato ogni progetto ambizioso. Le forze armate, simbolo della sovranità nazionale, sono tra gli strumenti più delicati del potere statale.
In secondo luogo, le profonde divergenze strategiche tra i Paesi europei hanno impedito una visione condivisa: mentre i Paesi dell’Est sono focalizzati sulla minaccia russa, quelli del Sud temono l’instabilità nel Mediterraneo e in Africa. Inoltre, la dipendenza tecnologica e industriale dagli Stati Uniti, soprattutto in ambito armamenti, ha ostacolato la nascita di un'autentica industria militare europea integrata. Mancano soprattutto gli strumenti essenziali: una politica estera condivisa con una struttura di comando unitaria.
Considerazioni finali verso una difesa intelligente, coordinata e coerente
Non sembra indispensabile investire ulteriori risorse economiche per la difesa, soprattutto considerando che nel 2024 l'Unione Europea ha speso complessivamente 326 miliardi di euro, superando il budget militare della Russia, stimato in 126 miliardi di euro. Tuttavia, la frammentazione delle forze armate nazionali e la mancanza di interoperabilità limitano l'efficacia complessiva. Un esercito europeo integrato, o almeno una pianificazione militare unificata, permetterebbe di ottimizzare la spesa esistente, migliorare la cooperazione tra Stati membri e rafforzare la deterrenza, senza necessariamente aumentare i bilanci nazionali.
Solo una volta riorganizzate le forze armate in chiave europea, potrà essere chiaro se e dove sia necessario investire di più, per colmare lacune strategiche in ambiti come la difesa aerea, l'intelligence, i droni o la cybersicurezza. Parlare oggi di "riarmo" europeo ha senso solo se collegato a una strategia comune; altrimenti, rischia di diventare l'ennesima corsa disorganizzata, inefficace e costosa. L'Europa ha bisogno più di efficienza e integrazione che di un semplice aumento degli armamenti.
Si è affermata una nuova consapevolezza: l'Europa deve poter contare su sé stessa, almeno in parte, per garantire la propria sicurezza. A tale scopo, sono già nate numerose iniziative, come l'adozione della Strategia Industriale della Difesa Europea (EDIS) e del Programma dell'Industria della Difesa Europea (EDIP), che mirano a rafforzare la produzione e l'autonomia strategica del settore difensivo europeo. Tuttavia, nonostante questi progressi, l'Unione Europea non dispone ancora di un vero coordinamento unico in ambito militare. Le decisioni in materia di difesa richiedono ancora l'unanimità tra gli Stati, non esiste una catena di comando operativa europea autonoma, né un'autorità politica forte con poteri in materia di sicurezza e difesa.
La crescente instabilità del contesto globale e l'incertezza sul futuro impegno americano in Europa spingono l'UE a rivedere la propria vulnerabilità strategica. È in questo contesto che si torna a parlare, con sempre maggiore convinzione, di un Commissario europeo per la Difesa, di una pianificazione strategica comune e, in prospettiva, di un vero esercito europeo.
L’UE si trova oggi di fronte a una sfida cruciale: rafforzare la propria capacità di difesa senza tradire i principi fondanti della sua identità. Il riarmo, se inteso come semplice aumento della spesa militare, non basta. È necessaria una profonda riorganizzazione: integrare le capacità esistenti, eliminare gli sprechi, coordinare strategie e sviluppare tecnologie comuni.
Una difesa europea autonoma e coesa non significa abbandonare la NATO, ma ridisegnare il rapporto transatlantico su basi più paritarie. L’Unione Europea ha il dovere di garantire la sicurezza dei propri cittadini, ma non può rinunciare alla propria vocazione originaria: essere un progetto di pace fondato sull’integrazione, il dialogo e la cooperazione tra i popoli.
Il rafforzamento della difesa comune non deve trasformarsi in una corsa agli armamenti, bensì inserirsi in una strategia intelligente e coerente, volta a prevenire i conflitti e promuovere la stabilità globale. La NATO rimane il pilastro della sicurezza collettiva in Europa, soprattutto per la deterrenza nucleare e la protezione dell’intero spazio euroatlantico. Tuttavia, una maggiore capacità autonoma dell’UE permetterebbe di agire più rapidamente e in maniera più coerente in situazioni in cui la NATO non intende o non può intervenire (come nel Sahel, nei Balcani o in missioni umanitarie).
Una vera “autonomia strategica” europea deve fondarsi non solo sulla capacità militare, ma anche sulla forza morale di un’Europa che rifiuta la guerra come strumento di soluzione dei conflitti, scegliendo la diplomazia, la solidarietà e la giustizia come pilastri della propria azione internazionale.
Solo con una visione chiara, una leadership condivisa e un forte impegno politico, l’Europa potrà garantire ai propri cittadini sicurezza, pace e libertà in un mondo sempre più complesso. In un mondo in cui la minaccia sembra diventare la norma, l’Europa può – e deve – essere il baluardo della Pace, dimostrando che la sicurezza non nasce dalla paura, ma dalla fiducia reciproca e dalla cooperazione tra le nazioni.
Se la difesa dell’UE ha già una consistenza paragonabile a quella di Paesi che appaiono molto più forti, perché non puntare su una forte riorganizzazione delle forze disponibili, anziché sul riarmo? Il riarmo ha il sapore della guerra più che della difesa. Noi europei abbiamo lottato per la democrazia e la pace tra i popoli; dovremmo augurarci che le minacce ci fortifichino, senza distoglierci dai nostri obiettivi di pace. La pace conquistata solo con le armi non è una pace condivisa, ma una pace effimera, che offre una gioia temporanea per poi cedere presto il passo a un nuovo conflitto.
Note
1 La difesa dell'UE in cifre, aprrofondimento dal sito ufficiale del Consiglio dell'Unione Europea.
2 L'espressione "morte cerebrale della NATO" è stata utilizzata dal presidente francese Emmanuel Macron in un'intervista del 2019 con The Economist. Macron ha criticato la mancanza di coordinamento strategico tra gli Stati Uniti e i loro alleati, sottolineando che la NATO stava affrontando gravi problemi di coesione e rilevanza. Macron ha evidenziato come le azioni unilaterali di alcuni membri, come la Turchia, e il disimpegno degli Stati Uniti in alcune aree, abbiano messo in discussione l'efficacia dell'alleanza1. Questa dichiarazione ha suscitato un ampio dibattito sulla necessità di un'Europa più autonoma nella difesa e sulla ridefinizione del ruolo della NATO nel contesto geopolitico attuale.
3 Bussola Strategica, da El Paìs.
4 Fondo Europeo per la Difesa, dal sito ufficiale del Consiglio dell'Unione Europea.