Il tempo in cui il sistema dell’abito convergeva con quello delle passerelle è da ridefinirsi.
L’immagine è una costruzione chirurgica dell’anima che non si discosta da un baricentro selvaggio o educato che è per sua natura intimo e stratificato.
Quando parliamo di moda di fatto parliamo di un pubblico che per definizione la osserva e la segue. E se il pubblico non esistesse più? Se per questa scena la moda non avesse altro che soggetti pagati per rappresentarla e nulla più? Il pubblico è chi osserva le forme della moda, mentre il privato è chi sceglie per sé al di là dell’ecumenismo e della seduzione mediatica.
Chi segue la moda come sistema produttivo ne rimane coinvolto ed influenzato, mentre chi non paga il dazio dell’osservanza sceglie su basi “Fauviste”. Il Fauvismo è un’attitudine innata dell’essere umano che può aumentare di proporzione dal momento in cui ci si traccia fuori schema o meglio lo si racconta in una sorta di isolamento dalle tendenze.
Vi sono poi I narratori dello stile e coloro che dettano le tracce dei narratori, i quali sono conniventi con il sistema che non lascia trasparire coscienza di valore ma solo appropriazione indebita di forme senza eco. In questo modo, il rumore aumenta ma non la sua lirica sostanza. Lo spazio interstiziale dovrebbe essere dato dal ritorno di senso, ritorno di suono per il valore che si espande, il suo riverbero una contingenza legata alla necessaria comprensione di una forma qualitativa.
Il suono dei narratori è accomodante mentre quello dei dettatori è officiante attorno ai “miracoli” di sua maestà l’ossequio. Il pubblico non c’è ma il rumore è tale che nessuno di questi attori se ne accorge. I media contemporanei concedono autonomia e gestione del proprio universo relazionale ad ognuno senza la presenza dialettica di alcun “precettore” o “mentore” a fargli da guida. I contenitori perimetrano i contenuti senza impedire il loro libero approccio ma non vi è alcuna indicizzazione sulla qualità o verità della forma proposta: dell’in-formazione data. Il libero arbitrio regna sovrano e forma nuove gerarchie dialettiche o puramente formative come se ci fosse sempre e solo un cono di luce che è più spesso ombra della medesima.
La figura del corpo umano è divenuta sempre più una planimetria che non ha altra specularità se non il suo ambiente di riferimento fuori dai temi dell’Ideale Formale come pura spinta ispirazionale. Il costruire il proprio progetto editoriale avviene su scala privata per la coscienza che si è sviluppata: è al di là dei progetti altrui ma da essi non prescinde perché cerca l’approvazione convergente del contenitore.
Oggi l’individualismo è esasperato proprio dai termini relazionali ed interconnettevi e sempre meno contempla il lavoro sul modellato che è stato sostituito dal modello. Il primo guarda al processo il secondo al prodotto finito.
L’uso crescente dell’onomatopea (Tik Tok…), del sentimento (Facebook, amicizia…), della cromia (bandiera arcobaleno…), rappresenta la “cerchia collettiva” che è di per sé un limite, un perimetro. Bandiere e simboli che determinano un’appartenenza che rimane esterna alla complessità della natura e alla sua multiforme esperienza. Lungo andare la natura ottiene il suo spazio originario e disarciona dal destriero del pensiero convergente tutti coloro che non si lasciano ingravidare dalle sue forme spontanee.
Ci sono esperienze che informano il mondo di una distanza plausibile tra ciò che siamo e ciò di cui ci convinciamo che rappresentano di buon grado l’azione naturale sopra descritta. I tracciati storici ci cristallizzano in una visione determinata da una maniera e in realtà questo non corrisponde sempre al vero perché non di caleidoscopici confronti necessita l’uomo ma di ispirazione naturale.
Nell’esempio dell’industria della moda si ha la visione netta di un bisogno legato a moduli produttivi e comunicativi che non corrispondono alla sua reale attitudine emersiva e distintiva perché privata della vitalità dell’eco dello stile.
Il terzo millennio lascia la bocca asciutta a coloro che sono legati alla stabilità dei sistemi e alla reggenza dei medesimi come arbitri e conducenti che vanno con la patente ma senza passeggeri. La concentrazione di moltissime esperienze creative in pochissimi canali formalmente espressivi, già codificati, porta ad una deflagrazione del gioco nella omologazione. Più pensieri si inseriscono nel sentimento del tempo e si riconoscono nella loro eterogeneità dopo che hanno lasciato i figli del tempo che li ha preceduti e gli hanno teso la mano come a un precettore che ti libera la mente con la ricchezza del sapere e lo sguardo rivolto al domani. Quando troppo si comunica è perché troppo ci si giustifica e questo determina che si è già perso.
Il Fauvismo delle forme che è dell’arte è di Gauguin, Van Gogh…, non ha un solo momento espressivo ma è un’attitudine necessaria alle esperienze infinite del rappresentarsi epidermico dell’uomo. Lontani dalle regole delle passerelle, lontani dalle regole dei media ognuno fa per sé e muove le sue pedine lontane da tutto e da tutti ma tracciabili per tutti. L’esclusivo non ha contemplato l’escludente e questo è stato l’errore grave della società dell’interconnettività.
Il periodo formativo in cui gli specialisti del settore moda si formano è ricco ed intenso e le ricerche poetiche che raccontano il corpo traslato dell’uomo nell’abito sono fervide di nuove trame. Questo fa ben sperare che ci sia un nuovo mondo per raccontare e immedesimarsi in una visione alta che rappresenta la specialistica competenza dell’arte della moda fuori dalle logiche del gioco dell’economia.
Creatori di emozioni si manifestano al mondo con l’occhio di chi li vuole raccontare e tracciare. Chi sceglie di parlare di forme del contemporaneo e sentimenti che esse elaborano crede in un possibile pubblico che è cosciente dell’esistenza di un’arte che si chiama vestire.
I grandi gruppi, con i loro concorsi di selezione internazionale, giocano le loro carte e mascherano i loro intenti “Vestendo” con il passato “Vestivo” il falso futuro di chi spazio non ottiene per l’economia e lo cerca attraverso di essa. Chi sceglie di aprire la propria referenzialità come un multiforme spettro editoriale di geometrie per il corpo e per l’anima oggi è più che mai il “Fauvista” che ragiona con la “retina” del cuore nelle vergini personalità che osservano ancora la clorofilla ad occhio nudo cercando l’acqua in un altrove certamente divergente dall’affare e convergente nel fare.