Annaida Mari: Durante un’intervista, suo padre Sandro Zara, imprenditore veneziano che da oltre cinquant’anni coniuga costume e moda, producendo tabarri dal 1974, dichiarò “Vendendo il tabarro, vendo Venezia”: quali sono le caratteristiche della laguna che si ritrovano nei vostri tabarri?
Enrico Zara: Il Tabarro è uno spaccato del vivere veneziano che ancora persiste in maniera forte in città, è normale incontrare persone che lo indossano abitualmente ed è per noi fonte continua di ricerca ed ispirazione per nuovi modelli da inserire nel catalogo.
Interagire con la città di Venezia per noi è ossigeno puro, collaboriamo con il Teatro La Fenice oltre che essere stati selezionati dalla boutique del treno Orient Express che parte proprio da Venezia, ufficializzati dall’ordine dei Cavalieri di San Marco come produttori dei loro mantelli. Tutto questo ha reso indissolubile il legame con la città di Venezia che rappresentiamo attraverso la realizzazione dei nostri Tabarri.
Il tabarro è una vera e propria testimonianza storica: durante la prima guerra mondiale era indossato dai soldati che venivano chiamati alle armi in battaglia. Suo padre ha vinto la sua battaglia guardando indietro e realizzando capi talmente antichi che erano di moda. Da figlio quali sono i valori che conserva e tramanda e quali le novità della sua generazione?
Perdere una tradizione, come un costume, comporta un impoverimento della cultura, che caratterizza e connota la storia di un territorio e il vissuto individuale di ognuno di noi. Per noi veneti “intabarrarsi” significa indossare il ricordo della nostra tradizione e perpetuarne il valore di cui il tabarro è buon ambasciatore.
Tenere vivo un ricordo con un indumento che proviene dal passato, ma che trovo più che mai moderno, è stata l’intuizione, la missione sarà quella di conseguire una espansione significativa in ambito territoriale, cercando di conquistare mercati esteri dove lasciare piccoli tasselli del mosaico del costume veneto. Progetto che abbiamo già avviato e che sta ottenendo buoni risultati.
Che caratteristiche ha il tessuto con il quale è prodotto il tabarro e quale la sua funzione?
Il particolare panno che utilizziamo per i nostri tabarri viene realizzato appositamente, è cento per cento lana, in alcuni casi per i modelli più eleganti impreziosita dalla presenza del cachemire, la grammatura utilizzata va tra i 600-800 grammi al metro lineare, l’armatura, l’intreccio dei fili, definita a “corda rotta o mezza spina” dà vita ad una mano molto battuta e compatta, tale da permettere al tessuto, una volta tagliato, di restare integro e senza sfilacciature, in gergo tenere il “taglio vivo”.
Questo tipo particolare di lavorazione del panno lo trasforma, di conseguenza, in un “anti goccia naturale” difatti versando dell’acqua su un nostro tabarro si può osservare il formarsi di tantissime goccioline che però non vengono assorbite dal tessuto e che si possono eliminare scuotendo energicamente il tabarro stesso.
Tra le sue caratteristiche principali del tabarro riconosciamo quella della trasversalità: il tabarro veniva e viene indossato da tutte le classi sociali ma la diversa appartenenza a un ceto sociale da cosa si riconosce?
Il tabarro è sempre stato un indumento molto democratico, indossato dal brigante e dal notaio, dalla cortigiana e dalla madre badessa. Tuttavia, non tutti i tabarri sono uguali, alcune caratteristiche potevano essere interpretate come indicatori del ceto di appartenenza. Il materiale utilizzato denotava l’appartenenza al censo. Infatti lane più raffinate, più morbide potevano permettersele i più facoltosi mentre le lane “ignoranti” che personalmente adoro, meno trattate, più ruvide, ma più resistenti, in sintesi più vere erano per coloro che usavano tutti i giorni questo indumento per lavoro.
L’ampiezza della ruota era generosa per i più ricchi, per i meno fortunati invece la “moda forzata” prevedeva tre quarti di ruota o addirittura la mezza ruota. Anche la scelta del colore era un indicatore: il nero austero per le classi privilegiate, mentre tutte le tonalità dei grigi fino al marrone erano destinate alle altre categorie.
I fregi, alamari o Mascheroni erano evidenti segnali di ricchezza. La gente comune si accontentava invece dei “gangheri”, semplici ganci di chiusura del collo. Anche il materiale con cui veniva realizzato Il collo era un eloquente indicatore: velour o astrakan erano raffinatezze da “nobiluomo” mentre il popolo il più delle volte utilizzava lo stesso tessuto di cui era composto il tabarro, senza alcuna diversificazione .
La più importante piattaforma internazionale di moda e lifestyle uomo, il Pitti, ha rappresentato un po' il vostro trampolino di lancio: se e come è cambiata, secondo voi, questa partecipazione oggi?
Il mondo è cambiato rispetto al tempo in cui debuttammo tanto tempo fa a Pitti Uomo, manifestazione a cui dobbiamo essere molto grati e che rappresenta ancora oggi la più importante fiera del settore in ambito nazionale. Noi per la nostra tipologia di prodotto cerchiamo fiere oltre confine che ci possano fare incontrare buyer internazionali e un buon palcoscenico è sempre Parigi.
Il vostro Tabarrificio Veneto è stato il primo esistente in Italia, un vero e proprio spazio della memoria, dove passato e futuro convivono. Che ricordi ha da bambino di questo luogo magico e se da adulto sente la responsabilità di continuare a tramandare un passato a rischio di estinzione?
L’ambiente in cui sono cresciuto, senza ombra di dubbio, mi ha condizionato. Il profumo della lana, la ritmica della macchina da cucire e le nuvole di vapore del ferro da stiro costituivano gli elementi sensibili del film che ogni giorno “andava in onda” e che io continuo ancora oggi a guardare con lo stesso entusiasmo, come se fosse la prima volta.
Inoltre, sono molto felice nel constatare che in Azienda si sta approcciando, con il giusto piglio, anche la terza generazione, alludo all’inserimento di Vittorio Maria Zara, classe 2002, che dà un nuovo entusiasmo e una nuova prospettiva di futuro all’azienda stessa.
Dato il considerevole archivio di capi storici, provenienti da Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, avete mai pensato di donarli ad un Museo o aprire una vera e propria esposizione permanente per comunicare la storia e l’identità lagunare alle future generazioni?
Siamo alla ricerca di uno spazio a Venezia, le cui caratteristiche a livello di metratura dovrebbero essere tali da permetterci di esporre gran parte del nostro archivio, così da renderlo fruibile dai visitatori, oltre che fungere da show-room/negozio per la vendita diretta dei nostri prodotti al consumatore finale.
Il vostro Tabarro numera progressivamente ogni singolo tabarro e lo marchia con il proprio nome. Brigantino, Nobilomo, Lustrissimo, Ruzzante, Ca’ D’oro, Hepburn, sono solo alcuni dei modelli proposti per l’uomo e la donna. Da dove derivano questi nomi e il suo modello preferito?
Tutti i nostri tabarri sono realizzati uno per uno, tagliati e cuciti da mani esperte che confezionano con passione questi capi, tanto da numerarli. Esistono modelli di tabarro a cui sono stati attribuiti dei nomi riconducibili alla storia con cui abbiamo reperito l’originale e ogni tabarro da noi realizzato è la riproduzione fedele di un esemplare originale acquisito in quasi mezzo secolo di ricerca. Ad esempio, il modello “Brigantino” risale al tempo dei corpi volontari contro il brigantaggio. A questi apparteneva il bisnonno di una nobildonna che ha salvato il capo dalla scomparsa, consegnandocelo.
Sembrerà retorico, ma non ho un modello di tabarro preferito. Negli anni ho accumulato in guardaroba più tabarri che giacche a vento, li utilizzo in base all’occasione e talvolta anche allo stato d’animo. In questo periodo di preludio all’inverno, adoro indossare il mio “Lustrissimo”, fascinoso modello di tabarro in perfetta sintonia alle sensazioni legate all’autunno.
Progetti futuri?
“Il tabarro non dorme mai”, la ricerca di vecchi esemplari è continua, così come lo studio attinente alla riproduzione fedele dei materiali del passato. Lo stimolo è continuo ed unito ad una passione per quello che facciamo diventa una miscela perfetta per affrontare il futuro.